Scuola e sanità, bisogna costruire insieme. Intervista a Vincenzo Alastra

Scuola e sanità, bisogna costruire insieme. Intervista a Vincenzo Alastra

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Attraverso pratiche educative centrate su contributi artistico-espressivi, come la letteratura, il cinema, la fotografia, la pittura, è possibile esplorare pedagogicamente il tema della cura. Si possono cosi evidenziare gli elementi essenziali, le forme e gli ambiti nei quali la relazione di cura può costituirsi a fondamento di ogni pratica di promozione della salute e di future opportunità di cittadinanza attiva. Ne parliamo con il professore Vincenzo Alastra, che insegna Psicodinamica delle Relazioni all’Università di Torino ed è responsabile Formazione e Sviluppo Risorse Umane dell’ASL di Bella.

Professore, arte e letteratura come dispositivi pedagogici: il suo gruppo di lavoro sta portando avanti questo tema da diverso tempo.

“La cifra distintiva del mio gruppo di lavoro, “Pensieri circolari” è la medicina narrativa, insieme alle pratiche pedagogiche centrate sulla narrazione di sé e l’impiego di linguaggi artistici e creativi. L’aspetto che più ci contraddistingue è il tentativo di mettere insieme ciò che in natura è una unica cosa ma che è stato ingiustamente diviso, cioè il mondo della salute e il mondo dell’educazione”.

Due mondi che il Covid ha forzatamente riunito…

“Il Covid ha messo a fuoco carenze strutturali come la mancanza di personale, ma ancora di più la mancanza di un atteggiamento: la propensione a lavorare insieme. Non siamo attrezzati per l’incertezza della cura e della malattia, serve una mentalità che mischi le carte, che faccia collaborare specialisti di settori diversi, in ospedale come a scuola. Il Covid ha costretto ospedali diversi a lavorare insieme, ha costretto i medici ad uscire dallo specialistico per mettere insieme competenze e risorse. Questo atteggiamento di integrazione, l’unire parti separate che prima andavano ognuna per la sua strada, è fondamentale. Servono strutture che connettano, che mettano insieme. Noi abbiamo creato un’alleanza, nel nostro territorio, tra mondo della sanità e mondo delle scuole, coinvolgendo le istituzioni scolastiche del biellese. Per anni abbiamo coltivato la visione di promuovere  una cura di sé e dell’altro attraverso dispositivi pedagogici di tipo educativo artistico che permettono l’accesso a mondi personali di significato, sia degli studenti che degli insegnanti, permettono di costruire progetti allargando visuali, pensieri e ragionamenti. Lo abbiamo chiamato “Osservatorio” e lo portiamo avanti costruendo una comunità di docenti che agiscono con una progettualità capace di promuovere la  cura delle classi e degli studenti”.

Sperimentazione diretta sul campo, quindi…

“Si, per sperimentazione diretta intendiamo dire che i docenti vengono chiamati a mettersi in gioco loro stessi, con le modalità che poi andranno a proporre agli studenti”.

Secondo lei di cosa ha bisogno la scuola oggi?

“Di prendersi uno spazio per pensare e progettare insieme. E’un bisogno che c’era già molto tempo fa, ma prima c’erano più occasioni, c’era l’idea di  mettersi insieme e di operare insieme con progetti comuni, al di là del mandato del singolo insegnante: è fondamentale. Nella scuola c’è bisogno di una progettualità integrata col mondo esterno e c’è bisogno che il mondo esterno si avvicini con cura e attenzione al mondo della scuola. Oggi si fatica a pensare insieme non solo nella scuola ma ovunque. Chi si ferma a pensare è guardato come un perditempo. In un’epoca in cui pensare è diventato quasi reato bisogna fermarsi a pensare. Sì, c’è proprio  bisogno di recuperare questo spazio”.

Lei si occupa anche di risorse umane per l’Asl, ne vede tante nella scuola?

“Nella scuola ci sono tantissime risorse: tanti docenti che, se sostenuti nel loro ruolo educativo, esprimono il meglio. Il punto è che vanno sostenuti e premiati perché sono persone che oltrepassano ogni orario e impegno personale. Questa grande disponibilità  va coltivata, anche perché la pandemia, nella fascia adolescenziale e post adolescenziale ha lasciato una ferita che ancora fatichiamo a ricucire. Il ruolo il ruolo educativo dell’insegnante è centrale ma non si può semplicemente affermare questo e  poi lasciarli da soli. Io vado nelle scuole con i miei collaboratori ed ho avuto la fortuna di essere circondato da docenti speciali, di grande levatura e di grande impegno. Esiste un potenziale enorme”.

Cosa significa prendersi cura dei ragazzi oggi? Come sa, comportamenti alimentari pericolosi, cyberbullismo, autolesionismo sono sempre più frequenti nelle scuole…

“Sono sintomi di una richiesta di ascolto e di cura. Cosa significa prendersi cura? E’una domanda che dobbiamo mantenere aperta, come ricerca. E’innanzitutto andare alla ricerca. Quando avviciniamo un giovane o un docente abbiamo il dovere di problematizzare con lui o lei il significato di “prendersi cura”: non può essere precostituito, va cercato di volta in volta. Questa è la prima questione che va presidiata, se si è convinti di istruire qualcuno alla cura di sé, si va fuori strada. La direzione è educativa, non prescrittiva. Spesso le risposte che si danno ai ragazzi sono semplici, immediate, banali. Quando ai ragazzi si chiede cosa è per loro la cura e si domanda loro di esprimersi su questo, allora si mettono in gioco ed abbozzano delle visioni, dei progetti che li aiutano nel futuro. I ragazzi hanno bisogno di interlocutori che si mettano a dialogare con loro”.

In relazione alle nuove tecnologie ed a tutti i finanziamenti del Pnrr che stanno arrivando nella scuola, è di questo che hanno bisogno i ragazzi?

“E’ una logica di tipo riempitivo. Partire dall’idea di colmare un vuoto, già questo è da discutere. Abbiamo bisogno di slancio progettuale, di ideali e di valori di riferimento. Sembra forse un discorso ammuffito ma è cosi. Stiamo fornendo tecnologie e va bene, ma se resta l’unica risposta diventa deresponsabilizzante: è come dire, abbiamo dato e quindi siamo a posto, non siamo più implicati. Non è così: ciò che implica un educatore non è la fornitura di un computer ma il “mettersi insieme a pensare”, anche per usare insieme le tecnologie. Spesso, purtroppo, il primo e unico livello di risposta è di tipo strumentale. So che ci sono problemi di edilizia e strutturali ma il primo livello deve essere il pensare insieme”.

Si potrebbe obiettare che un livello cosi concepito è difficilmente monitorabile

“Si certo, è difficile da monitorare perché si fa prima a contare quanti pc mancano. Ma sono queste le azioni che devono essere sostenute. E’ un fenomeno che accade nel mondo della scuola ma anche in quello della sanità che ha bisogno non solo di tecnologie ma anche di nuovi atteggiamenti. Dobbiamo costruire comunità di pratiche, vogliamo portare il linguaggio poetico visivo nelle scuole”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, , Pubblicato da Anna Maria De Luca
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