Anche Enrico Galiano interviene sul tema delle scuole aperte d’estate. Nei giorni scorsi si era riacceso il dibattito anche a seguito dell’intervento del Ministro Valditara.
Secondo lo scrittore e insegnante, “quel tempo vuoto fra metà giugno (per chi non ha esami) e metà settembre spaventa, specie per chi ha figli in un’età delicata“, scrive su Il Libraio.it.
Tuttavia, Galiano ricorda alcune cose: prima di tutto che “l’Italia è il paese d’Europa in cui si fanno più giorni di scuola: 200 contro una media europea che va dai 170 ai 190. Sembra incredibile, vero?”
In secondo luogo, “circa la metà delle scuole sono totalmente inadeguate a sostenere il clima estivo e situate in zone con una media di due gradi di temperatura in più rispetto alla media regionale. Già affrontare gli esami in questi istituti è particolarmente squalificante (il caldo riduce e altera l’attività cerebrale in maniera significativa), figuriamoci trascorrerci tutti i mesi estivi. Credo che le crisi di nervi sarebbero all’ordine del minuto, non del giorno“.
Inoltre, secondo Galiano, “l’insegnamento è in assoluto una delle professioni più a rischio burnout. Questo significa che i tanto criticati “eccessivi giorni di ferie” (anche se andrebbe verificato se sono più così tanti…) non sono lì per un vezzo o per la pigrizia di chi ricopre quel ruolo, ma per una necessità reale. Tanto è vero che, appunto, in tutto il mondo occidentale i giorni di scuola non sono mai 365 ma circa la metà“.
Per tali motivi, bisogna “ammettere due cose: la prima è che le scuole italiane non sono chiuse per troppo tempo, ma che il tempo in cui sono aperte è distribuito male“.
“Servirebbe insomma – prosegue Galiano – imparare la lezione degli altri paesi: inserire maggiori pause durante l’anno scolastico, per allungare infine il tempo scuola fino almeno a fine giugno o metà luglio“.
Ma per fare ciò “servirebbero investimenti importanti nelle strutture e nel personale, servirebbero scuole climatizzate, servirebbe una formazione per diversificare la didattica. Servirebbero, insomma, soldi e idee“.
Purtroppo, secondo lo scrittore, “viviamo in un paese che storicamente non ha mai dedicato troppo interesse alla scuola: se ne ricorda, di solito, quando poi i figli sono costretti a stare a casa, che sia per un’estate o per una pandemia“.
“E a qual punto – conclude – è molto più facile indicare come colpevoli gli insegnanti, invece che assumersi la responsabilità di pretendere da chi potrebbe – dovrebbe? – quello che ci spetta, quello che dovrebbe essere normale: una scuola davvero a misura di famiglia, ma soprattutto di studente e di studentessa”.
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