God save the King, ma anche un po’ noi. Dal giorno della proclamazione, re Carlo III ha commesso alcune infrazioni al rigido protocollo reale. Una prosa meno rispettosa potrebbe anche definirle figuracce. Pochi giorni fa, tanto per citare l’ultimo caso, riceve a Buckingham Palace Liz Truss, per uno dei rituali colloqui settimanali, secondo una consolidata tradizione voluta da Elisabetta. «Maestà, è un piacere rivederla», dice la premier, facendo l’inchino. «Di nuovo qui?», risponde il re, mormorando a favore di telecamera: «Dear, oh dear» (Santo cielo!).
La cronaca, quasi allegorica, sussurra quanto ci manchi la regina Elisabetta perché, senza di lei, sembrano venir meno la forma, il carisma, l’essere all’altezza (nel doppio senso della parola) di un ruolo e di un compito, l’autorevolezza.
Questo vale nel Regno Unito, ma vale ovunque siano in gioco le Istituzioni. La forma non è una sorta di «apparenza superficiale», un impoverimento della sostanza. È sostanza essa stessa perché il potere si esercita attraverso le procedure. Su re Carlo possiamo sorridere, su alcune nostre derive aggressive, populiste, retrive molto meno. La forma, come ricorda Nicolás Gómez Dávila, «deve essere maneggiata con impersonalità liturgica». Ne siamo ancora capaci?
May God help us! (che Dio ce la mandi buona).
16 ottobre 2022, 07:09 – modifica il 16 ottobre 2022 | 07:09
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, 2022-10-16 05:16:00, Il mancato rispetto del protocollo finisce anche per impoverire la sostanza, Aldo Grasso