«Se c’è quello, allora vado via io»: da Calenda a Di Maio fino a Renzi la nuova era del «non ci sto»

«Se c’è quello, allora vado via io»: da Calenda a Di Maio fino a Renzi la nuova era del «non ci sto»

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di Tommaso Labate

Nel centrosinistra quasi ogni leader ha posto (o subito) condizioni

«M a tu ce l’hai presente Di Maio o no?». Alle decine di interlocutori che negli ultimi tempi gli hanno chiesto perché non cedesse all’adesione a una coalizione in cui figura anche Luigi Di Maio, Carlo Calenda — evidentemente stufo della compulsiva elencazione dei peccati ascritti al ministro degli Esteri quand’era nei Cinque Stelle, dall’Ilva al no alla Tap, dal no ai gassificatori alla sfilata coi Gilet gialli — ha perso la pazienza.

«Io con quello non ci sto, ti è chiaro? E in campagna elettorale, se finiamo per fare una coalizione tecnica in cui c’è anche lui, gli faccio un c… così!», ha spiegato calorosamente a un amico giorni fa. Che è più o meno ciò che pensano di Calenda, anche se l’espressione del dissenso è decisamente più urbana, tutti quelli che nel Pd stanno implorando Enrico Letta di tenersene alla larga. Tipo Goffredo Bettini, convinto che «la sua presenza», sua di Calenda, «impedisce l’alleanza con la sinistra di Fratoianni, che nei sondaggi sta poco sotto».

Archiviato il quarto di secolo in cui alle elezioni ci si alleava coi peggiori nemici pur di portare a casa uno zero virgola in più, finito in naftalina il manuale d’istruzione della coalizione elettorale costruita con gli stilemi che agli avversari facevano urlare all’«ammucchiata», la tornata elettorale del 2022 inaugura l’era del veto. Di quel «no tu no!» della gitarella allo zoo comunale cantata da Enzo Jannacci, da opporre a quello che ti sta antipatico (politicamente, umanamente, entrambi), a quello che in coalizione con te proprio non lo vuoi, figurarsi nella stessa lista.

E così Calenda proprio non ne vuole sapere di stare con Di Maio, Bettini non vuole avere a che fare con Calenda, Fratoianni invita il Pd a tenersi a debita distanza da Mariastella Gelmini («Noi non staremo mai con lei o con Brunetta»), la quale a sua volta però ha già preso casa nelle liste di Azione (e infatti, sempre Fratoianni, «noi con Calenda non abbiamo nulla a che vedere»).

Enrico Letta, costretto dal ruolo di segretario del Pd a fare il collettore dei veti altrui, forse per non sottrarsi alla corsa al veto, ne avrebbe messo uno, piccolissimo, anche lui. Riferito non tanto ai renziani, quanto a Matteo Renzi in persona, l’uomo che gli aveva soffiato la presidenza del Consiglio giusto all’indomani di quell’invito a «stare sereno».

La moda del veto, la vera novità della prima campagna elettorale estiva della storia della Repubblica, contagia anche chi occupa posizioni defilate. E così Laura Boldrini, ex presidente della Camera, oggi nel Partito democratico, avverte i suoi dell’inopportunità di stringere accordi «con chi parlò del partito di Bibbiano e dei taxi del mare». E il riferimento, come se si fosse di fronte a quel l ancio dei dadi a Monopoli che ti riporta direttamente alla casella iniziale, è a quello stesso Di Maio su cui pende il veto di Calenda, che a sua volta in precedenza aveva posto, ricambiato, anche un veto reiterato su Clemente Mastella.

Il quale Mastella, partecipando qualche settimana fa alla convention centrista di Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello, aveva ricambiato il leader di Azione con la stessa moneta, avvisando la platea sul pericolo di mettersi in casa «quello dei Parioli». Che, «come tutti quelli con una cultura pariolina, che è una forma di egoismo stravagante, penserà sempre ai cavoli suoi e il centro ce lo fa realizzare alla calenda greca…». Alla fine della giornata, il governatore della Liguria aveva provato a smorzare i toni con una battuta, affidata ai giornalisti prima che gli inservienti entrassero a rassettare la sala: «Vabbe’, ora tiriamo su le cazzuole e vediamo di ripulire il palco dai calcinacci».

E dire che si era nella fase in cui il governo Draghi stava ancora in piedi e la campagna elettorale pareva un miraggio lontano. Prima che il gioco all’ultimo veto appassionasse anche chi, le elezioni, forse le vedrà solo col binocolo. Come Carlo Sibilia, volto storico del Movimento Cinque Stelle, arrivato al limite del secondo mandato. «Chi fa un accordo con Brunetta e Gelmini», ha mandato a dire a Letta, «poi finisce per far vincere la Meloni».

27 luglio 2022 (modifica il 27 luglio 2022 | 23:33)

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, 2022-07-27 21:34:00, Nel centrosinistra quasi ogni leader ha posto (o subito) condizioni , Tommaso Labate

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