Se il Sud finisce in soffitta

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Mezzogiorno, 31 agosto 2022 – 10:15 di Paolo Ricci Quanto si parli di Sud nei programmi elettorali non è del tutto facile comprenderlo. Per Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa il grande assente sarebbe il Pnrr, mentre green, prezzi e Sud sarebbero al centro della sfida. Francesco Dandolo, dalle pagine del nostro giornale, ha posto nella sostanza la stessa questione, sollecitando acutamente la riflessione sui temi più urgenti. In parte l’argomento è stato delegato al Pnrr, e quindi non parlare del Piano dovrebbe equivalere a trascurarlo. Sembra un tema da utilizzare con prudenza, considerato il quadro della competizione in atto tra le forze politiche, e le ipotesi che queste ultime formulano sulla distribuzione del voto sui territori. A prescindere da quanto e come se ne parli, di garanzie e di promesse se ne sentono tante, resta fondamentale capire ciò che si potrà fare da domani per il Mezzogiorno. Il Pnrr è stato ed è uno straordinario serbatoio di aspettative economiche positive, alcune delle quali divenute realtà, almeno sotto un profilo macroeconomico. Il Paese, stando ad alcuni indicatori (direi obsoleti), reagisce: la crescita del Pil al 3,4% e l’incremento del 13,50% delle entrate fiscali, su base semestrale, sembrano segnali da cogliere positivamente. Ma c’è un altro Paese, sofferente, che ha perso e continua a perdere il senso della propria partecipazione e che vede, ormai da anni, dissolvere le certezze acquisite: progettare e costruire il proprio futuro. In estrema sintesi, i sistemi economici e i governi non sono in grado di arginare disuguaglianze e povertà, di non produrle. Servirebbero interventi forti e più coraggiosi, tali da eradicare dipendenze sociali ed economiche, capaci di rovesciare alcuni paradigmi che hanno segnato l’economia globale. Servirebbe innanzitutto ripristinare un certo equilibrio tra poteri e uscire da un evidente impasse morale. Questa parte del Paese la conoscono bene le associazioni di volontariato, le parrocchie e i Comuni, chiamati ad assistere giornalmente un numero crescente di persone, per assicurare loro il minimo essenziale. Siamo testimoni di una campagna finora deludente, nei toni e nei contenuti, che semplifica le questioni o le complica a piacimento, e che si delizia a trasformare i già fragili elettori in disorientati tifosi, improvvisatori del voto. Si ha la sensazione che i temi vengano scelti solo per marcare una distanza, per ribattere, e non per un raffinato diverso convincimento, sparati o proposti lì per caso. Tra i candidati, ciascuno con il suo miniprogramma, è diffusa la tentazione di affermare tutto e il contrario di tutto. Chi si affida ad antiche e sicure gratitudini, chi agli apparati meglio organizzati e più fedeli. Una campagna che offre argomenti al dibattito pubblico vomitando analisi superficiali e terapie inspiegabili. Sono sparite dal confronto le priorità. Perché? Per calcolo elettorale o per incapacità ad individuarle e ad affrontarle? Sanità e welfare, guerra e crisi energetica sono poste sullo stesso piano e con la stessa rapidità della cura degli animali domestici e dell’estensione dell’obbligo scolastico. Mai come in questa occasione sarebbe servito un confronto su poche priorità, sulle scelte di fondo. La politica dovrebbe soprattutto saper disegnare visioni ed elaborare priorità, educare i cittadini a comprenderle, a sentirle e a renderle parte viva delle proprie intenzioni. Forse siamo alla vigilia di un ulteriore ripiegamento della democrazia, dettato da una politica della non virtù: la politica è virtuosa solo se capace di individuare e selezionare le priorità e a formare persone (a tal proposito potrebbe aiutare la lettura del poderoso volume di James Hankins, La politica della virtù. Formare la persona e formare lo Stato nel Rinascimento italiano). Il Sud è debolmente presente nel dibattito politico per varie ragioni, nessuna nobile si intende, ma una più di tutte dovrebbe allarmarci: perché ritenuta una causa persa, difficile da affrontare seriamente, impossibile da risolvere. Per molti vuota o comune. È come se tutte le possibilità di un rilancio del Mezzogiorno e di una sua concreta rinascita si fossero nel tempo esaurite, o semplicemente perse in soluzioni scontate, di ripiego, di sopravvivenza. Un Sud nemmeno più buono per le elezioni. 31 agosto 2022 | 10:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-08-31 08:16:00, Mezzogiorno, 31 agosto 2022 – 10:15 di Paolo Ricci Quanto si parli di Sud nei programmi elettorali non è del tutto facile comprenderlo. Per Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa il grande assente sarebbe il Pnrr, mentre green, prezzi e Sud sarebbero al centro della sfida. Francesco Dandolo, dalle pagine del nostro giornale, ha posto nella sostanza la stessa questione, sollecitando acutamente la riflessione sui temi più urgenti. In parte l’argomento è stato delegato al Pnrr, e quindi non parlare del Piano dovrebbe equivalere a trascurarlo. Sembra un tema da utilizzare con prudenza, considerato il quadro della competizione in atto tra le forze politiche, e le ipotesi che queste ultime formulano sulla distribuzione del voto sui territori. A prescindere da quanto e come se ne parli, di garanzie e di promesse se ne sentono tante, resta fondamentale capire ciò che si potrà fare da domani per il Mezzogiorno. Il Pnrr è stato ed è uno straordinario serbatoio di aspettative economiche positive, alcune delle quali divenute realtà, almeno sotto un profilo macroeconomico. Il Paese, stando ad alcuni indicatori (direi obsoleti), reagisce: la crescita del Pil al 3,4% e l’incremento del 13,50% delle entrate fiscali, su base semestrale, sembrano segnali da cogliere positivamente. Ma c’è un altro Paese, sofferente, che ha perso e continua a perdere il senso della propria partecipazione e che vede, ormai da anni, dissolvere le certezze acquisite: progettare e costruire il proprio futuro. In estrema sintesi, i sistemi economici e i governi non sono in grado di arginare disuguaglianze e povertà, di non produrle. Servirebbero interventi forti e più coraggiosi, tali da eradicare dipendenze sociali ed economiche, capaci di rovesciare alcuni paradigmi che hanno segnato l’economia globale. Servirebbe innanzitutto ripristinare un certo equilibrio tra poteri e uscire da un evidente impasse morale. Questa parte del Paese la conoscono bene le associazioni di volontariato, le parrocchie e i Comuni, chiamati ad assistere giornalmente un numero crescente di persone, per assicurare loro il minimo essenziale. Siamo testimoni di una campagna finora deludente, nei toni e nei contenuti, che semplifica le questioni o le complica a piacimento, e che si delizia a trasformare i già fragili elettori in disorientati tifosi, improvvisatori del voto. Si ha la sensazione che i temi vengano scelti solo per marcare una distanza, per ribattere, e non per un raffinato diverso convincimento, sparati o proposti lì per caso. Tra i candidati, ciascuno con il suo miniprogramma, è diffusa la tentazione di affermare tutto e il contrario di tutto. Chi si affida ad antiche e sicure gratitudini, chi agli apparati meglio organizzati e più fedeli. Una campagna che offre argomenti al dibattito pubblico vomitando analisi superficiali e terapie inspiegabili. Sono sparite dal confronto le priorità. Perché? Per calcolo elettorale o per incapacità ad individuarle e ad affrontarle? Sanità e welfare, guerra e crisi energetica sono poste sullo stesso piano e con la stessa rapidità della cura degli animali domestici e dell’estensione dell’obbligo scolastico. Mai come in questa occasione sarebbe servito un confronto su poche priorità, sulle scelte di fondo. La politica dovrebbe soprattutto saper disegnare visioni ed elaborare priorità, educare i cittadini a comprenderle, a sentirle e a renderle parte viva delle proprie intenzioni. Forse siamo alla vigilia di un ulteriore ripiegamento della democrazia, dettato da una politica della non virtù: la politica è virtuosa solo se capace di individuare e selezionare le priorità e a formare persone (a tal proposito potrebbe aiutare la lettura del poderoso volume di James Hankins, La politica della virtù. Formare la persona e formare lo Stato nel Rinascimento italiano). Il Sud è debolmente presente nel dibattito politico per varie ragioni, nessuna nobile si intende, ma una più di tutte dovrebbe allarmarci: perché ritenuta una causa persa, difficile da affrontare seriamente, impossibile da risolvere. Per molti vuota o comune. È come se tutte le possibilità di un rilancio del Mezzogiorno e di una sua concreta rinascita si fossero nel tempo esaurite, o semplicemente perse in soluzioni scontate, di ripiego, di sopravvivenza. Un Sud nemmeno più buono per le elezioni. 31 agosto 2022 | 10:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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