di Massimo Franco Una operazione che tende a sostituire il gruppo dirigente con una nomenclatura legata alla tradizione post comunista Quasi per inerzia, il Pd sta scivolando verso l’asse con il M5S. Le convulsioni sulle candidature in Lombardia e nel Lazio sono solo sintomi di uno slittamento che il risultato del 25 settembre tende a accelerare. Con un obiettivo sempre meno misterioso: spazzare via il gruppo dirigente di Enrico Letta con quello postcomunista che rimpiange il governo con i grillini imploso a gennaio del 2021 e sostituito da quello di unità nazionale di Mario Draghi; liquidare come un’eccezione dannosa l’appoggio all’ex presidente della Bce e alla sua agenda; e plasmare un partito col profilo «laburista». Si tratta di un’operazione in incubazione da mesi. Ha come ispiratrice la nomenklatura che ha in odio, ricambiato, il cosiddetto Terzo polo di Carlo Calenda e di Matteo Renzi. E sogna di ricomporre la scissione con l’estrema sinistra, a costo di subirne un’altra sul fronte moderato. L’obiettivo finale è quello di costruire un «fronte progressista» con i 5 Stelle. Per questo aspetta il congresso del Pd: dovrebbe servire a chiudere questa stagione. Per lo stesso motivo il grillino Giuseppe Conte rifiuta di discutere con «questo gruppo dirigente». Per quanto velleitaria negli obiettivi, la manovra adesso è resa possibile dalla sconfitta elettorale. Prelude alla creazione di un’alleanza estremista e minoritaria col grillismo, per paradosso trainata proprio dai 5 Stelle. Dovrebbe ricreare le condizioni per l’affermazione di una sinistra per la quale il pacifismo e le suggestioni anti Nato, il reddito di cittadinanza, la sintonia con frange dell’associazionismo cattolico dovrebbero essere la bussola politica. A guardare bene, la manifestazione «per la pace» di sabato scorso a Roma è stata una sorta di prova generale. D’altronde, anche l’alternativa di un asse con Calenda e Renzi appare sempre più problematico. Il tentativo di stringere un accordo in Lombardia sul nome di Letizia Moratti, che ha abbandonato il centrodestra, è vissuto come un’operazione di trasformismo; e dunque da rifiutare. E nelle manovre che partono da Azione e da Italia viva il Pd intravede soprattutto la voglia di acuire le sue difficoltà, non di cementare un vero percorso unitario. L’esito è, di nuovo, la frammentazione, figlia di un’idea confusa della propria identità. Il solo fatto di inseguire i 5 Stelle conferma un’analisi approssimativa di quello che il partito grillino rappresenta e esprime. In parallelo, però, dimostra quanto il Pd stia perdendo i punti di riferimento. Ieri il vicesegretario Giuseppe Provenzano ha punzecchiato il M5S sui migranti. «Mi hanno colpito», ha detto, «il silenzio e l’attesa di Conte nell’esprimere un’opinione su una vicenda che riguarda i valori di una forza progressista». Ma è una puntura isolata. 7 novembre 2022 (modifica il 7 novembre 2022 | 22:11) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-07 21:13:00, Una operazione che tende a sostituire il gruppo dirigente con una nomenclatura legata alla tradizione post comunista, Massimo Franco