di Paolo Coccorese
I residenti in periferia: l’alternativa è la fame
Mauro D. disoccupato di 44 anni, ha sorriso quando è caduto il governo Draghi. La politica c’entra fino a un certo punto per questo «simpatizzante, ma non troppo» del M5S. «Non erano mai d’accordo. E parlavano solo di Pnrr: io però di quei miliardi non ho visto un cent». Troppe teste. E quattro pance da riempire, la sua e quella della moglie e dei figli.
«Spero di tornare all’ufficio elettorale di Chivasso come alle scorse elezioni — aggiunge —. Un mese di lavoro: 1.300 euro netti. Un lusso per un mondo che ti offre 3 euro e mezzo per fare il cameriere e 4 per andare a vendemmiare». In via Scotellaro, periferia nord, davanti alla scuola dove ha studiato pensando che avrebbe fatto il ragioniere fino alla pensione prima che la crisi del 2011 lo condannasse a qualche occupazione saltuaria (compresa quella da giardiniere), Mauro oggi si chiede: «Ma quei politici come Meloni e Salvini che vogliono cancellare il reddito di cittadinanza lo sanno che senza siamo a fondo?».
Con un piede nell’abisso c’è Filippa P. 63 anni, divorziata, vive da sola nelle case popolari di via Cena. «Non so come pagare le bollette. Mio figlio non può aiutarmi. Per mangiare vado alla Caritas».
La signora percepiva 563 euro di reddito di cittadinanza fino ad aprile. «Poi ho iniziato a fare la colf, con i libretti. Ma quando mi sono rotta il femore, i miei datori hanno comunicato a mia insaputa le mie dimissioni all’Inps e adesso ho perso tutto». Per arrivare ai 480 euro per presentare la domanda di fondo sociale all’Atc, passaggio necessario per evitare lo sfratto, è disposta a tutto. Anche diventare cameriera o lavapiatti in quei ristoranti rimasti orfani del personale «Tempo fa ho lavorato anche in cucina per una catena che ha chiuso — spiega —. Laverei anche i cessi». Il reddito di cittadinanza non è da cancellare. Questo è il pensiero di chi abita nelle vecchie Case Fiat o nelle popolari di via Ivrea. In questa zona di Torino, dove la media dei percettori è alta come nel Meridione, chiedono però controlli più severi.
«Perché vada alle persone veramente povere e non agli imbroglioni», dice Daniela Simonetti, 59 anni, casalinga che votava Pci «da giovane» e adesso si divide tra Lega e Fdi. A pochi passi dalla strada di casa, dove ieri un furgone vendeva frutta porta a porta come nei paesini del Sud, svettano i cartelloni di Salvini. Il Carroccio annuncia «Faremo la flat tax». Eppure, nessuno sa cos’è da queste parti. Anche l’incubo caro- bollette, per il momento, è una eco lontana. A tenere banco sono le stesse cose: gli stranieri da punire, i politici che non fanno niente. E il reddito di cittadinanza.
«È una misura valida se i centri per l’impiego funzionassero — spiega Mauro —. Tutti i lavoretti che ho fatto non li ha trovati il tutor. Sono il risultato delle nottate passate a cercare sul web». Così, anche la vacanza diventa un lusso: «Non vado da anni. Agosto l’ho passato a passeggiare in centro con i miei figli, da fontana a fontana, perché non potevo permettermi la piscina o un gelato».
Il 30 agosto scade il suo reddito di cittadinanza. Per almeno due mesi non avrà neanche i 920 euro. «Come faremo? Non lo so».
24 agosto 2022 (modifica il 24 agosto 2022 | 22:18)
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, 2022-08-24 20:21:00, I residenti in periferia: l’alternativa è la fame, Paolo Coccorese