Serbia e Kosovo, la guerra delle targhe arriva a Bruxelles: «Nessun accordo»

Serbia e Kosovo, la guerra delle targhe arriva a Bruxelles: «Nessun accordo»

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di Francesco Battistini

Il premier Albin Kurti ha accettato d’aspettare altre 48 ore prima d’infliggere le multe di 150 euro promesse per chiunque non «kosovarizzi» l’immatricolazione dell’auto. Il presidente Aleksandr Vucic risponde dicendo che rilascerà altre targhe made in Serbia

Rks o Srb? Lunedì a Bruxelles sono rimasti otto ore a guardarsi in cagnesco, come accade regolarmente da ventitré anni, senza trovare un’uscita sull’autostrada che li sta riportando allo scontro. Niente accordo. Kosovari e serbi non fanno retromarcia e anche l’ultima, ridicola, piccola guerra delle targhe, l’illusione di un’autonomia almeno automobilistica, ora diventa un bell’intoppo nell’infinito ingorgo delle dispute balcaniche.

Scende in campo la diplomazia europea

Nemmeno l’intervento diretto del capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha potuto qualcosa. E poche speranze sembra avere la missione italiana di queste ore guidata dai ministri degli Esteri e della Difesa, Antonio Tajani e Guido Crosetto: dietro richiesta americana, il premier Albin Kurti ha accettato d’aspettare altre 48 ore, non una di più, prima d’infliggere le multe di 150 euro promesse per chiunque non «kosovarizzi» l’immatricolazione dell’auto; col totale appoggio russo, il presidente serbo Aleksandr Vucic dice che rilascerà altre targhe made in Serbia, denuncia la presenza di forze speciali inviate da Kurti sul confine e avverte che la situazione può degenerare.

La targa della discordia

Inutili gli appelli perché tutti si diano una calmata. Inascoltata la Nato, che vigila sulla «peggiore crisi degli ultimi anni». Da una parte resiste la decisione del governo di Pristina d’imporre a tutte le auto del Paese, e dunque alle diecimila della minoranza serba, un’unica targa con la sigla Rks, Repubblica del Kosovo, concordata con l’Unione europea. Dall’altra cresce la protesta di dieci deputati e di migliaia di poliziotti, giudici, funzionari pubblici serbi che si sono dimessi in massa, su spinta di Belgrado, chiedendo di serbare la vecchia «Srb» della Grande Madre Serbia o almeno un «Km» che li distingua a Kosovska Mitrovica, la loro roccaforte del Nord.

Scende in campo anche Putin

In mezzo, quasi inutile spiegarlo, c’è il fallimento d’un progetto di Stato che doveva essere multietnico e mai lo è diventato: i 120mila serbi, rimasti nel Kosovo albanesizzato dopo la guerra del 1999, vivono da sempre in una decina d’enclave assistite dall’Onu e protette dai 3.700 soldati Nato a guida italiana, sono finanziati direttamente da Belgrado e mantenuti da quel nazionalismo che considera il Kosovo la culla storica dell’identità serba. A Mitrovica, a Gracanica, a Leposavic sventola il tricolore panslavo, s’usa il dinaro, non si pagano acqua e luce, s’evadono tasse per decine di milioni d’euro, si sputa sui poliziotti albanesi di Pristina e si guarda fiduciosi a Mosca: in fondo non è proprio il Kosovo che Putin citò, dieci mesi fa, per giustificare la sua invasione del Donbass ucraino e rinfacciare all’Occidente d’aver usato due pesi e due misure nel riconoscere la secessione kosovara da Belgrado, ma non quella di Donetsk e di Lugansk da Kiev?

Una frattura eterna

Il target, ovvio, non sono le targhe. In agosto, cosa rara, Pristina e Belgrado s’erano accordate sull’abolizione dei visti per attraversare la frontiera kosovaro-serba. Ma sullo sfondo resta l’eterna frattura: un Kosovo indipendente dal 2008, presente con le ambasciate in un centinaio di Paesi di tutto il mondo, ammesso alla Banca mondiale e al Fondo monetario e alle Olimpiadi, che però la Serbia (ma pure la Russia e un gruppo di governi europei come Spagna e Grecia) non ha mai riconosciuto. I serbi accusano Pristina di sognare una Grande Albania che schiacci la loro minoranza: altro che targhe, dicono, l’obbiettivo finale sarà la confisca delle proprietà della Chiesa ortodossa e l’espulsione di chi non è albanese. «Parlarsi è necessario – ha detto lunedì Vucic -, ma a volte non si può solo parlare». E per far capire meglio, mentre a Bruxelles si negoziava, il suo governo s’è incontrato coi cinesi, che sono sulla stessa linea di Mosca, non hanno mai riconosciuto il Kosovo e da un decennio si stanno costruendo una Via della Seta nei Balcani. S’è parlato d’altri aiuti economici ai serbi e pure di forniture d’armi. «Un patto d’acciaio», han detto: proprio così.

22 novembre 2022 (modifica il 22 novembre 2022 | 12:07)

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, 2022-11-23 12:34:00, Il premier Albin Kurti ha accettato d’aspettare altre 48 ore prima d’infliggere le multe di 150 euro promesse per chiunque non «kosovarizzi» l’immatricolazione dell’auto. Il presidente Aleksandr Vucic risponde dicendo che rilascerà altre targhe made in Serbia, Francesco Battistini

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