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Serena Mollicone, la teste conferma: «Quella mattina entrò in caserma»

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di Fulvio Fiano

In corte d’Assise a Cassino parla Sonia Da Fonseca, amica della amante del brigadiere suicida Santino Tuzi, che raccolse la confidenza sulla presenza di Serena nella sede dei carabinieri. Il pm apre il caso della testimone ricattata per mentire

Cassino (dal nostro inviato) – «Anna Rita Torriero era preoccupata, la mattina in cui Santino Tuzi venne trovato morto. Usò il mio telefono per chiamarlo e in quella occasione mi disse di aver visto Serena Mollicone nella caserma dei carabinieri di Arce, dove lei si trovava per essere andata a portare un panino a Tuzi». In corte d’Assise a Cassino parla Sonia De Fonseca, una testimone chiave citata dalla parti civili. È amica della Torriero, la donna che aveva una relazione con il brigadiere morto poi suicida dopo aver rivelato la presenza della 18enne in caserma la mattina in cui scomparve, l’1 giugno 2001. Assieme a Tuzi quella mattina c’era appunto Torriero, che rivelò la presenza della ragazza in caserma, mettendola in relazione al suicidio del carabiniere l’11 aprile 2008. La rivelazione sulla circostanza di cui lei e il brigadiere erano a conoscenza avvenne infatti proprio nella concitazione dei momenti del suicidio mentre Torriero cercava di mettersi in contatto con l’uomo. «Torriero mi disse anche che secondo lei Marco Mottola era coinvolto nel delitto di Serena», dice ancora la testimone su domanda dell’avvocato Dario De Santis, che assiste Guglielmo Mollicone, il padre defunto della 18enne. Sul suicidio di Tuzi, la Da Fonseca dice: «Anna Rita mi disse che Santino si era suicidato perché sapeva del coinvolgimento di Marco Mottola nel delitto di Serena e che Tuzi temeva per sé e la sua famiglia».

L’attendibilità e il rilievo delle parole di Sonia Da Fonseca, vengono riassunte nell’informativa dei carabinieri che raccolsero il suo verbale il 6 ottobre 2008: «Non aveva interessi o implicazioni nella vicenda e di certo non poteva conoscere aspetti molto particolari e circostanziati che non ha vissuto direttamente né potevano essere di dominio pubblico: ne consegue che l’unica fonte da cui la stessa abbia potuto attingerle è davvero la sua amica Anna Rita Torriero, come d’altronde la Da Fonseca ha sempre affermato».

Le difese degli imputati provano a minare proprio questo aspetto, puntando su due elementi. Il primo, relativo ai ricordi labili della Torriero quando è stata sentita in aula , dove si è detta non sicura di aver visto Serena in caserma proprio l’1 giugno e non in altra data. Il secondo, sull’ipotesi adombrata in una intervista in cui Da Fonseca faceva cenno a un’auto regalata da Mottola a Torriero per comprare il suo silenzio, intervista poi non confermata dalla donna. Sulla data dell’1 giugno Da Fonseca non ha però dubbi: «Torriero mi disse: “la mattina in cui Serena è scomparsa l’ho vista in caserma”. Poi mi chiese di non parlarne perché l’avrei messa nei guai». Alla fine della deposizione i legali degli imputati chiedono un confronto tra le due donne.

Ma nell’udienza il pm Beatrice Siravo ha rilanciato anche il caso di un teste che sarebbe stato minacciato e ricattato per mentire. L’episodio riguarda le dichiarazioni rese in aula da Simonetta Bianchi, che la procura chiede di ignorare per acquisire invece quelle da lei fatte nella prima fase delle indagini. Bianchi è la barista del bar Chioppetelle che disse (il 17 aprile 2002) di aver visto Serena litigare con un ragazzo «biondo meshato» alle 10 della mattina in cui poi scomparve. È la stessa descrizione fatta anche da Carmine Belli (poi processato e assolto per l’omicidio) e corrisponde all’aspetto di Marco Mottola, il figlio del comandante della stazione dei carabinieri.

Il 25 luglio 2002, però, chiamata a confermare queste dichiarazioni e il riconoscimento, produsse un certificato medico che attestava lo stress dovuto all’incidente stradale in cui suo padre aveva perso la vita mentre era lei alla guida: «non ricordo più nulla perché sono successe molte cose», disse. La testimone poi in aula ha opposto una serie di «non ricordo». Ma la tesi della perdita di memoria secondo il pm è «illogica» perché prima di quella data di luglio la stessa Bianchi era stata sentita altre sette volte senza mai produrre documentazione medica. La pm Siravo ritiene quindi che «il teste è stato «condizionato e quindi non è attendibile» per quanto detto nel corso del processo. Il suo è stato un «Atteggiamento timoroso dovuto non da interna paura ma da influenza esterna, altrimenti non sarebbe andata a testimoniare già con certificato medico». La spiegazione di questi timori sarebbe nella causa di risarcimento e nel processo penale cominciato il 18 giugno 2002, quindi fra le due testimonianze. In quel processo i carabinieri Mottola e Tuzi erano testimoni per aver redatto il verbale del sinistro e, secondo il pm , l’avrebbero posta sotto «minaccia di esito negati del procedimento a suo carico, facendola oggetto di indebite pressioni».

Va aggiunto che l’incidente in cui morì il padre di Simonetta Bianchi è del 21 novembre 1999 e che mai la donna aveva detto di averne subito lo stress, non chiedendo mai un giorno di assenza dal lavoro. Una richiesta sulla quale la corte si è riservata di decidere e alla quale le difese si sono opposte per questioni di logicità («Se fosse inattendibile lo sarebbe stata già ai tempi della prima testimonianza»), sia per questioni procedurali che infine per questioni di contenuto perché il suo primo riconoscimento del ragazzo che era con Serena non corrisponderebbe all’aspetto di Marco Mottola: «A domande esplicite sul fatto che abbia mai ricevuto minacce, la Bianchi ha sempre detto di no».

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25 marzo 2022 (modifica il 25 marzo 2022 | 16:50)

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, 2022-03-26 00:51:00, In corte d’Assise a Cassino parla Sonia Da Fonseca, amica della amante del brigadiere suicida Santino Tuzi, che raccolse la confidenza sulla presenza di Serena nella sede dei carabinieri. Il pm apre il caso della testimone ricattata per mentire, Fulvio Fiano

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