di Marco Imarisio
Il ministro della Difesa, defilato da settimane, non viene più menzionato dall’organo ufficiale del ministero. Dopo i generali morti o silurati, è l’ennesimo segnale di crisi
Negli ultimi due numeri della rivista del Ministero della Difesa russo, il nome del ministro della Difesa russo è stato citato zero volte. Neppure una menzione di sfuggita. Come se non esistesse. Krasnaja Zvedzva, ovvero Stella rossa, venne fondato nel 1923, concepito per essere l’organo di stampa dell’Unione sovietica per gli affari bellici. Ancora oggi è forse il periodico più diffuso del Paese. Ogni soldato e ogni famiglia con un militare ha diritto a riceverlo per posta. Ma in quello che è lo strumento di propaganda bellica per eccellenza, il nome di Sergej Shoigu compare di rado.
Nelle ultime settimane i canali Telegram dei media indipendenti hanno ricominciato a chiedersi dove sia finito il potente ministro nonché capo delle Forze armate. Lo scorso 13 aprile, Leonid Nevzlin, ex socio di Mikhail Khodorkovsky nel gigante petrolifero Yukos e anche ex senatore, che dal 2003 vive in Israele, ha rivelato sui social una serie di notizie apprese da sue «fonti a Mosca». Secondo lui, il ministro sarebbe «ormai fuori gioco» dopo un infarto che lo costringe da tempo alla degenza in un ospedale di Mosca. «E forse rimarrà anche invalido» aggiunge con una nota di perfidia.
La fonte è dubbia, per quanto informata. L’ex oligarca Nevzlin è pur sempre stato condannato in Russia per una serie di omicidi. Ma quello stesso giorno il Cremlino si è sentito in dovere di pubblicare un breve video di una non meglio precisata riunione, dove Shoigu appare per un breve momento. A capo chino, intento a prendere appunti mentre il professor Vladimir Putin sta tenendo lezione. E anche questa immagine, a voler pensare male, ha un certo peso.
All’inizio della guerra, tutti gli osservatori internazionali erano concordi nel considerare Shoigu come il falco che sussurrava all’orecchio del presidente, mentre il ministro degli Esteri Serghey Lavrov era identificato come la colomba che si opponeva all’operazione militare speciale. Adesso, dopo più di cinquanta giorni, appare vero il contrario. Così come appare certificata la posizione precaria del ministro della Difesa all’interno del cerchio ristretto del potere putiniano.
A tenerli insieme è sempre stata la reciproca convenienza. Nell’autunno del 1999, l’opposizione di sinistra ha il vento in poppa per le imminenti elezioni del Parlamento russo. Boris Eltsin è molto impopolare, e il suo primo ministro Putin, che già si è candidato a presidente, teme di subirne le conseguenze. A venirgli in soccorso è Shoigu, giovane e popolare ministro delle Emergenze, una specie di capo della Protezione civile. Gli mette a disposizione il suo partito Edintsvo, ovvero Unità, che adotta come simbolo l’orso tanto amato dai russi. In cambio, vuole la conferma. Il voto del 19 dicembre 1999 vede la vittoria dei comunisti, ma il risultato di Edintsvo consente la formazione di una maggioranza liberale conservatrice. E l’Orso diventerà ben presto il simbolo di Russia Unita, il partito-nazione di Putin.
Non è mai stata amicizia, bensì un accordo di potere tra i due uomini che fino al 24 febbraio riscuotevano il maggiore consenso tra i russi. Poi, uno di loro è sparito dai radar. Ma non è questo l’unico mistero incombente sull’esercito russo, una entità monolitica, circondata da un’aura di sacralità che lo stesso Putin ha contribuito ad alimentare durante il suo ventennio al Cremlino. Sempre Nevzlin, una fonte da prendere con le molle, parla di 20 generali «non di campo ma delle stanze di comando» arrestati con l’accusa di essersi appropriati del denaro destinato a preparare «la dirigenza ucraina e la popolazione a una solenne accoglienza dei liberatori russi». Dal 2014 sarebbero stati sottratti dieci miliardi di dollari, una cifra così alta da sembrare inverosimile.
A oggi, gli unici fatti accertati sono la decisione improvvisa di affidare il comando generale della cosiddetta operazione speciale all’ex capo delle truppe in Siria, Aleksander Dvornikov, e il licenziamento del generale Roman Gavrilov, che dirigeva la Guardia nazionale, uno dei reparti che hanno subito le maggiori perdite in Ucraina. Ma insieme alle notizie che giungono dal fronte e all’eclissi continua di Shoigu, dimenticato anche dal «suo» giornale, tanto basta a far venire qualche dubbio sull’effettiva compattezza dell’esercito russo. O meglio, dei suoi vertici.
16 aprile 2022 (modifica il 16 aprile 2022 | 07:32)
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, 2022-04-16 06:15:00, Il ministro della Difesa, defilato da settimane, non viene più menzionato dall’organo ufficiale del ministero. Dopo i generali morti o silurati, è l’ennesimo segnale di crisi, Marco Imarisio