Siamo nell’era della scarsità: ma è reale o fabbricata?

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Nell’elenco dei disagi, disservizi e problemi quotidiani, comincerò dagli ultimi, forse ai vostri occhi i meno gravi. I produttori di birra tedeschi sono in gravi difficoltà perché manca (o costa cifre stratosferiche) l’anidride carbonica da addizionare per rendere la birra frizzante. Lo stesso sovrapprezzo ha messo in crisi celebri marche italiane di acqua minerale frizzante, anch’esse a corto di bollicine. E’ il colmo, no? Scarseggia oppure costa troppo – nella sua versione chimicamente utilizzabile per l’industria delle bevande – perfino una materia prima, l’anidride carbonica, di cui riempiamo l’atmosfera con le emissioni che accelerano il cambiamento climatico.

Siamo entrati in un’era segnata dalla scarsità. Ci sentiamo accerchiati da ogni sorta di penuria. Mancano l’energia e l’acqua. Gli alimenti essenziali costano più cari. In molti settori le aziende lamentano di non trovare più lavoratori. Sullo sfondo c’è la decrescita della popolazione che non risparmia più neppure la Cina. Infine con l’inflazione e il rialzo dei tassi d’interesse diventa più rara e cara anche la moneta. Quanto è reale, quanto è «fisica», oggettiva e indiscutibile, la scarsità in ciascuno di questi suoi aspetti? Quanto è invece fabbricata, artefatta, il risultato di comportamenti e scelte politiche sbagliate? E’ irreversibile? O invece è un fenomeno temporaneo da cui usciremo come uscimmo da altre crisi? Stiamo attraversando un incubo cominciato con la pandemia e poi aggravato dalla guerra in Ucraina, oppure quei due eventi sono solo l’inizio di una lunga fase storica segnata dalle ristrettezze, dai sacrifici, dai razionamenti e dai tagli?

L’ultimo periodo storico segnato da fenomeni simili furono gli anni Settanta: due shock energetici, iperinflazione, costo del denaro alle stelle, recessione. Andarono a schiantarsi in modo brutale i vari miracoli economici del dopoguerra. Nacque allora una riflessione sui «limiti dello sviluppo», autorevoli esperti affacciarono l’ambientalismo e l’esaurimento delle risorse naturali nei loro scenari. Ironia della sorte, in seguito lo sviluppo ripartì alla grande con l’avvio di una modernizzazione in Cina e in India, le due nazioni più popolose del pianeta. Lungi dal sentirsi entrata nell’era della scarsità, anziché subire limiti allo sviluppo, per la maggior parte dell’umanità la corsa verso la modernità e il benessere stava appena cominciando. Da allora, da quella profezia errata sulla fine dello sviluppo che fu l’ossessione degli anni Settanta, potrebbe essersi insinuato fra noi un dubbio: che vedere dietro l’angolo l’Apocalisse imminente sia un tratto distintivo di civiltà decadenti come la nostra. Le visioni che proiettiamo sul nostro futuro sono intrise di ideologia e come tali servono a poco.

Già negli anni Settanta, una delle ragioni per cui sbagliammo a prevedere la fine dello sviluppo, fu la sottovalutazione dell’economia di mercato. Nel bene e nel male, la dinamica della domanda e dell’offerta continua ad essere una forza potente per determinare il cambiamento. I fenomeni di scarsità possono essere dei benefici segnali di allarme, che ci inducono a correggere il tiro, ad aggiustare gli squilibri, a innovare, a esplorare strade nuove. Tra cui vanno incluse tutte quelle innovazioni che consentono di risparmiare risorse. Qualche aggiustamento di mercato si è già visto all’opera nel triennio maledetto fra lo scoppio della pandemia e l’invasione russa in Ucraina.

Prendo un settore poco noto eppure cruciale per tutti noi: i trasporti marittimi, arteria vitale di tutte le economie del pianeta. All’uscita dalla pandemia, con la ripresa di produzione (cinese) e consumi (occidentali), per un biennio la marina mercantile è diventata una delle macchine dell’inflazione globale. Scarseggiavano navi e container, gli ingorghi moltiplicavano le tariffe fino all’inverosimile, e quei rincari pazzeschi si ripercuotevano a valle su tutti i prezzi delle merci, fino al supermercato sotto casa nostra; senza parlare dei ritardi nelle consegne, i disservizi, le inefficienze scaricate su ogni professione e ogni attvità, anche il muratore o il falegname o il piastrellista che non riceveva la materia prima per continuare i lavori di ristrutturazione di casa nostra. Tutto questo è stato vero fino a quando gli armatori stimolati dalla domanda e attratti dal guadagno hanno investito per potenziare la capacità di trasporto. Mentre i loro clienti, scottati dalle tariffe esose, hanno gestito meglio la logistica e le scorte. Allora la curva dei noli marittimi ha ricominciato a scendere verso una quasi-normalità. Anche se alcune strozzature fisiche sono molto lente da risolvere – ci vuole tempo per costruire nuove banchine nei porti, nuove linee ferroviarie – laddove esiste un vero mercato la scarsità è un fenomeno transitorio, perché l’aumento dei prezzi crea convenienza a investire di più, produrre di più.

Lo stesso meccanismo può funzionare al contrario, in modo perverso: se non investi e non produci, stai preparando nuove scarsità e nuovi focolai d’inflazione. Nel settore del gas, a parte le contro-sanzioni inflitte da Vladimir Putin all’Europa, l’estrazione ristagnava da tempo perché un ambientalismo superficiale e anti-scientifico aveva creato l’illusione di un passaggio veloce ad un mondo con il 100% di energia rinnovabile. Il gas non sgorga spontaneamente dai giacimenti, per avere un flusso costante e affidabile bisogna investire ininterrottamente in questo settore. Invece nel gas c’è stato uno sciopero degli investimenti motivato da un’ideologia irrealistica. Gli stessi governi che avevano contribuito a condannare prematuramente ogni energia fossile nel 2022 sono stati protagonisti di uno spettacolare rovesciamento di posizioni: le nazionalizzazioni di grandi utility come Uniper in Germania o Edf in Francia, nonché gli espropri delle filiali tedesche di Gazprom e Rosneft decisi dal cancelliere Olaf Scholz, segnano una statalizzazione del settore per rianimarlo dal coma artificiale in cui si trovava. L’Occidente si scopre a copiare ciò che la Cina o la Russia o il Golfo Persico facevano da tempo: nei paesi emergenti l’energia fossile è da decenni sotto il controllo dello Stato.

Un viaggio dentro il nuovo mondo della scarsità deve fare i conti con questo intreccio tra fenomeni reali – una vera mancanza di cose – e le loro cause spesso altamente politiche; nonché gli aspetti culturali, i valori e le aspettative che cambiano. L’energia è solo uno dei settori dove l’opinione pubblica sembra scoprire di colpo un’emergenza, che in realtà veniva preparata e fabbricata da molti anni di decisioni sbagliate. Putin ha dato la spallata finale a un edificio già pericolante, pronto a crollare. L’Europa si vantava di procedere a grandi passi verso un futuro pulitissimo, senza vedere l’assurdità di quel che stava facendo. Lo «sciopero dei venti» nel Mare del Nord per due estati consecutive ha ricordato in modo crudele che le energie rinnovabili allo stato attuale della nostra tecnologia hanno limiti insormontabili e devono essere affiancate da energie fossili. La meno inquinante di queste energie fossili è il gas, ma italiani e tedeschi hanno quasi smesso di estrarlo dal loro sottosuolo per delegare questo lavoro sporco alla Russia. Fino a diventarne schiavi. Il rifiuto irrazionale del nucleare ha contribuito al disastro. Per non parlare di uno pseudo-ambientalismo che ha bloccato per anni centinaia di progetti di centrali eoliche e solari, vietati in nome del paesaggio da tutelare. Intanto Pechino ha costruito le premesse per la nostra prossima débacle: la transizione dell’Occidente verso un mondo di auto elettriche e pannelli fotovoltaici quasi interamente “made in China”.

Una scarsità diversa è quella che colpisce la nostra forza lavoro. Questo è un fenomeno culturale. Fra le sue cause c’è quello shock esistenziale della pandemia che – complice lo smartworking, e in certi paesi il reddito di cittadinanza o sussidi statali di altro genere – ha creato nuove priorità di vita. Soprattutto fra i giovani sono salite le pretese sulla qualità del lavoro. Giusto o sbagliato non importa, il giudizio morale non mi interessa. Siamo però di fronte a un tipico caso di scarsità fabbricata. La manodopera non manca realmente, però «si nega». Il paradosso si complica quando allarghiamo lo sguardo a tutta l’evoluzione demografica. Malati della sindrome apocalittica, siamo passati in poco tempo dall’allarme sulla bomba delle troppe nascite, a quello sullo spopolamento. In questo caso la scarsità è immaginaria (siamo otto miliardi!), e ognuno la usa per tirare acqua al suo mulino. Per esempio con teorie discutibili sul ruolo salvifico dell’immigrazione.

Gli stessi catastrofisti che descrivono un’umanità in via di estinzione perché non fa più figli, sostengono che il pianeta comunque non potrà sfamarci tutti visti i danni del cambiamento climatico sui raccolti agricoli. Questo è un falso, una scarsità inventata. Altro è constatare il rincaro dei prezzi alimentari, provocato da azioni politiche come la scelta autarchica di superpotenze agricole, a volte insospettabili come l’India (vedi più sotto). Il cambiamento climatico avrà riflessi sull’agricoltura, ma oltre ai perdenti ci saranno i vincitori. E una strada maestra per mitigare i danni delle siccità, la ricerca biogenetica su piante che richiedono meno acqua, è stata sabotata dalla campagna anti-scientifica contro gli organismi geneticamente manipolati.

La scarsità di moneta ci riconduce al tema dei fatidici anni Settanta. Li avevamo sepolti un po’ in fretta. Dopo il 2008 e lo schianto della finanza mondiale provocato dalla crisi dei mutui americani, per scongiurare una Grande Depressione le banche centrali inondarono il pianeta di moneta e spinsero i tassi d’interesse sotto zero. La stessa terapia è stata ripetuta durante la pandemia. Sono nate nuove dottrine, come la Modern Monetary Theory, che sospendevano la legge di gravità. Stampare virtualmente moneta era un gioco da ripetere all’infinito, accontentando tutti, e senza pagare alcun prezzo… salvo l’impoverimento occulto dei pensionati e risparmiatori attraverso rendimenti inesistenti. Ora riecco un’inflazione schizzata verso i livelli di quando io ero adolescente, e con essa siamo precipitati dalle nuvole. L’atterraggio è doloroso. Siamo in piena contro-rivoluzione. Torna in uso il vecchio manuale dei banchieri centrali: per combattere l’inflazione si provoca una recessione, che ci rende (quasi) tutti un po’ più poveri. Consumando meno, riducendo la domanda, interviene un altro genere di scarsità, è la parsimonia della nostra spesa. Anche questa è una penuria fabbricata: dall’intervento delle banche centrali che cancella 14 anni di moneta abbondante.

Questo testo è stato pubblicato per la prima volta nella newsletter Global, che Federico Rampini scrive ogni sabato. Per riceverla basta iscriversi qui.

24 settembre 2022, 09:37 – modifica il 24 settembre 2022 | 11:53

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, 2022-09-25 20:15:00, Il folle rincaro delle bollicine per birra e acqua minerale: cosa c’è dietro, Federico Rampini

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