Silvia, Stefano e gli altri italiani: Qui è la porta dei siriani, apritela per i soccorsi

Silvia, Stefano e gli altri italiani: Qui è la porta dei siriani, apritela per i soccorsi

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di Marta Serafini

Gli operatori umanitari nella citt epicentro del sisma: Qui ho la mia casa da anni

DALLA NOSTRA INVIATA
GAZIANTIEP — come se, in pochi minuti, fossimo tornati indietro di 10 anni: sono rispuntate le tende bianche. Silvia un’operatrice umanitaria italiana. Vive a Gaziantep da anni. Orari, abitudini, amici, colleghi, l’asilo per la bambina. Come lei anche Stefano, Giulia, Davide, Marco.

La comunit di Expat, come si chiamano tra loro gli operatori delle principali ong e delle agenzie delle Nazioni Unite che vengono dall’estero, a pochi chilometri dalla Siria straziata dal sisma e dalla guerra, si riunisce in uno Starbucks. Ho fatto un gruppo WhatsApp per capire se stavamo tutti bene, mi hanno contattato anche dalla Farnesina, dice Stefano. Abbracci, sorrisi. L’importante che siamo tutti vivi. Poco fa Stefano entrato in un palazzo di 14 piani pieno di crepe e calcinacci per recuperare il passaporto e dare da mangiare al pesce rosso. Questa la mia casa da anni. Mia moglie turca, mia figlia anche. Loro sono partite. Io resto. Da luned dormo in auto.

Expat che qui hanno messo un poco di radici, pur in una vita passata a inseguire emergenze, e che questa volta l’emergenza se la sono trovata letteralmente sotto i piedi. La terra a Gaziantep trema ancora. Entrando in citt, i viali sono deserti, i negozi chiusi, nonostante sia sabato, giorno di shopping. Passata la paura e trovata una sistemazione tra cuscini, tappeti, case risparmiate, uffici e cortili, tutti gli stranieri si sono messi a lavorare. Obiettivo: trasformare 10 anni di lavoro di gestione della crisi umanitaria legata alla guerra in una risposta all’emergenza. Soprattutto per i soggetti pi fragili. C’ tanto da fare qui ora. E dobbiamo assolutamente portare aiuti dall’altra parte del confine. Dobbiamo farlo. O sar una catastrofe davvero mai vista, spiega Silvia.

Bab el Salam, la porta della pace, il varco che da Gaziantep passa per Kilis e arriva gi nelle aree controllate dalle milizie filo turche, nonostante sia passata quasi una settimana dalla prima scossa, non ha visto ancora passare aiuti diretti verso la Siria, come invece era accaduto in questi anni di emergenza. Non importa che secondo Unhcr le persone coinvolte siano 5,3 milioni. Non pesa nemmeno sulle coscienze rendersi conto che in Siria non si possa sapere quante sono realmente le vittime perch i dati arrivano solo dalle zone controllate dal regime. Sono troppi gli interessi politici e le partite aperte. E se dal 2016, anno degli accordi tra Bruxelles e Ankara, questo varco stato aperto in ben poche occasioni, ora appare improbabile che il presidente turco Erdogan a pochi mesi dalle elezioni si inimichi il suo elettorato. Vedere passare aiuti diretti ad un altro Paese mentre il tuo ancora in piena emergenza causerebbe polemiche un po’ ovunque, dicono gli expat. In futuro si vedr. Ora per bisogna fare in fretta. Di geopolitica si parler poi. I primi camion passati da Bab el Hawa sono arrivati ad Aleppo, dunque nell’area del Paese controllata dal regime di Damasco.

Ma cosa contenessero e a chi siano stati consegnati, nessuno in grado di dirlo. Eccezion fatta per le bare dei siriani passati in Turchia che ora vengono rispedite oltre confine, quasi nulla sembra essere arrivato alle zone controllate dai ribelli. E idem in quelle sotto l’influenza dai gruppi curdi dove le milizie siriane sostenute da Ankara hanno chiuso i valichi che collegano il nord-est e il nord-ovest perch, secondo gli ordini ricevuti dal governo turco, gli aiuti non devono portare le insegne delle forze curdo-siriane, emanazione del Pkk inviso a Erdogan. E non solo, a impedire l’arrivo degli aiuti in questa regione del Paese ci si messo di nuovo il regime. Il governo di Damasco pretende che la Mezzaluna consegni la met degli aiuti, nonostante gli operatori sanitari abbiano chiarito che intendono farlo anche alle zone controllate dal regime, denunciano dalla ong Un Ponte Per. Perch al presidente Assad e a sua moglie Asma non importa, certo. E dopo aver incassato la sospensione delle sanzioni da Ue e Usa ed essere andati gioved in visita nelle zone colpite dal terremoto, ora si beano del vantaggio. Poco male se il Segretario delle Nazioni Unite Antnio Guterres abbia esortato il Consiglio di sicurezza ad autorizzare l’apertura di ulteriori valichi. In questa parte di mondo, ormai dovrebbero averlo capito tutti, non c’ pace nemmeno di fronte alla morte. Ognuno cerca di fare i propri interessi ai danni del proprio avversario. Poco male se c’ una catastrofe umanitaria. Ed un dettaglio che nelle zone pi martoriate del Paese le case gi danneggiate dalle bombe si siano sbriciolate in un istante. Non certo nemmeno pi una notizia che questa terra abbia inghiottito molte vite umane.

Tanto della Siria ormai non interessa pi a nessuno, si devono essere detti Bashar Assad e sua moglie mentre indossavano i completi eleganti prima di scendere tra le macerie per le fotografie. Ma non hanno fatto i conti con un gruppo di donne e uomini seduti in uno Starbucks di Gaziantep. A loro della Siria interessa, eccome se interessa.

12 febbraio 2023 (modifica il 12 febbraio 2023 | 01:08)

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