Mezzogiorno, 5 novembre 2022 – 08:47 di Giuseppe Coco Il nuovo governo ha consolidato e ampliato la possibilità di riformulare la titolazione dei ministeri secondo le priorità ideologiche dei Ministri. Francamente non si tratta di una pratica da raccomandare per due ragioni. Un paese con delle istituzioni solide non ne cambia il nome a ogni cambio di programma governativo e un ministro con un vero programma trova maniere corrette e più concrete di esporre il proprio programma. La titolazione originale più discussa è stata quella dell’Istruzione, per l’occasione accoppiata al merito. Se il nuovo Ministro voleva lanciare una provocazione per indurre una alzata di scudi che facesse sembrare gli intellettuali di sinistra un branco di raccomandati e lassisti, data l’alzata di scudi antimeritocratica che si è vista sui giornali, ci è riuscito in pieno.D’altronde la temperie culturale sulla meritocrazia si era vista già a giugno di quest’anno quando il tema è stato oggetto principale di discussione al Festival dell’Economia a Torino. Nonostante sia un consesso di economisti, il più applaudito di gran lunga è stato uno scienziato politico di Harvard, Michael Sandel. Sandel è autore di un volume contro la meritocrazia in cui interpreta il termine «all’americana», ovvero come legittimazione delle disuguaglianze ex post sulla base dei risultati ottenuti (anche quelli scolastici). Secondo lui la meritocrazia è sostanzialmente un trucco dei ricchi (quasi tutti i suoi iscritti ad Harvard) per assicurarsi una continuità di redditi e potere. Quindi abbasso il merito. Ma non si capisce quale è il criterio alternativo col quale ci si propone di distribuire le responsabilità. Alcuni economisti, tra cui i premio Nobel Jean Tirole e il massimo esperto di eguaglianza di opportunità Vito Peragine, hanno messo in guardia contro interpretazioni semplicistiche di questo tipo. Se per meritocrazia infatti intendiamo che la posizione all’interno della società sia determinata sulla base di impegno e abilità, e sia indipendente da circostanze esogene, ad esempio classe sociale, genere o regione di nascita, difficilmente possiamo definire gli Stati Uniti o l’Italia società meritocratiche. Credo peraltro che questa sia la definizione che viene in mente a persone comuni. Su queste basi si può stabilire una connessione tra meritocrazia e eguaglianza di opportunità. Una società veramente meritocratica non può tollerare significative diseguaglianze di opportunità tra gruppi sociali. Se le élite si autoriproducono in ambito famigliare, una società è sicuramente non meritocratica. E l’assenza di mobilità sociale è il principale sintomo di assenza di meritocrazia. A questo proposito Peragine ha presentato, tra gli altri, due dati più che preoccupanti sul nostro paese che spiegano molto. Da un lato i rendimenti dell’istruzione sono totalmente diversi tra classi sociali e le differenze sono fortemente aumentate nel corso di questo secolo. Studiare conviene quasi solo se sei borghese e il network famigliare ti sistema. Questo spiega totalmente anche su basi razionali perché gli italiani hanno una minore propensione a studiare e laurearsi. Una seconda evidenza importante è che tra le circostanze esterne che spiegano le differenze di opportunità tra individui negli ultimi 30 anni diminuisce costantemente l’importanza del genere (fortunatamente), mentre aumenta l’effetto del nascere in una regione meridionale. Alla luce di questi fatti risulta tanto più strana la levata di scudi anti-meritocratica. Al netto della crescente diseguaglianza, problema che si può e si deve affrontare separatamente dalla questione del merito, siamo davvero convinti che il problema della società italiana sia l’eccesso di meritocrazia comunque definita? Una volta probabilmente un intellettuale di sinistra avrebbe deprecato la mancanza di opportunità per i meno abbienti e meno connessi, e la battaglia sarebbe stata quella per mettere tutti in condizioni di competere. Anche perché la scelta dei migliori va a beneficio dell’intera società. Invece la battaglia gli intellettuali di sinistra è diventata quella di disconoscere del tutto il merito come criterio di selezione, situazione di fatto oggi. Ma la scuola italiana (e anche americana) in realtà dimostra che quando le competenze e il merito non sono più in nessuna maniera il criterio di scelta, intervengono altri fattori peggiori, posizione famigliare, connessioni e anche corruzione tout court. Sicuramente non sono i poveri a guadagnarci dal lassismo. 5 novembre 2022 | 08:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-05 07:48:00, Mezzogiorno, 5 novembre 2022 – 08:47 di Giuseppe Coco Il nuovo governo ha consolidato e ampliato la possibilità di riformulare la titolazione dei ministeri secondo le priorità ideologiche dei Ministri. Francamente non si tratta di una pratica da raccomandare per due ragioni. Un paese con delle istituzioni solide non ne cambia il nome a ogni cambio di programma governativo e un ministro con un vero programma trova maniere corrette e più concrete di esporre il proprio programma. La titolazione originale più discussa è stata quella dell’Istruzione, per l’occasione accoppiata al merito. Se il nuovo Ministro voleva lanciare una provocazione per indurre una alzata di scudi che facesse sembrare gli intellettuali di sinistra un branco di raccomandati e lassisti, data l’alzata di scudi antimeritocratica che si è vista sui giornali, ci è riuscito in pieno.D’altronde la temperie culturale sulla meritocrazia si era vista già a giugno di quest’anno quando il tema è stato oggetto principale di discussione al Festival dell’Economia a Torino. Nonostante sia un consesso di economisti, il più applaudito di gran lunga è stato uno scienziato politico di Harvard, Michael Sandel. Sandel è autore di un volume contro la meritocrazia in cui interpreta il termine «all’americana», ovvero come legittimazione delle disuguaglianze ex post sulla base dei risultati ottenuti (anche quelli scolastici). Secondo lui la meritocrazia è sostanzialmente un trucco dei ricchi (quasi tutti i suoi iscritti ad Harvard) per assicurarsi una continuità di redditi e potere. Quindi abbasso il merito. Ma non si capisce quale è il criterio alternativo col quale ci si propone di distribuire le responsabilità. Alcuni economisti, tra cui i premio Nobel Jean Tirole e il massimo esperto di eguaglianza di opportunità Vito Peragine, hanno messo in guardia contro interpretazioni semplicistiche di questo tipo. Se per meritocrazia infatti intendiamo che la posizione all’interno della società sia determinata sulla base di impegno e abilità, e sia indipendente da circostanze esogene, ad esempio classe sociale, genere o regione di nascita, difficilmente possiamo definire gli Stati Uniti o l’Italia società meritocratiche. Credo peraltro che questa sia la definizione che viene in mente a persone comuni. Su queste basi si può stabilire una connessione tra meritocrazia e eguaglianza di opportunità. Una società veramente meritocratica non può tollerare significative diseguaglianze di opportunità tra gruppi sociali. Se le élite si autoriproducono in ambito famigliare, una società è sicuramente non meritocratica. E l’assenza di mobilità sociale è il principale sintomo di assenza di meritocrazia. A questo proposito Peragine ha presentato, tra gli altri, due dati più che preoccupanti sul nostro paese che spiegano molto. Da un lato i rendimenti dell’istruzione sono totalmente diversi tra classi sociali e le differenze sono fortemente aumentate nel corso di questo secolo. Studiare conviene quasi solo se sei borghese e il network famigliare ti sistema. Questo spiega totalmente anche su basi razionali perché gli italiani hanno una minore propensione a studiare e laurearsi. Una seconda evidenza importante è che tra le circostanze esterne che spiegano le differenze di opportunità tra individui negli ultimi 30 anni diminuisce costantemente l’importanza del genere (fortunatamente), mentre aumenta l’effetto del nascere in una regione meridionale. Alla luce di questi fatti risulta tanto più strana la levata di scudi anti-meritocratica. Al netto della crescente diseguaglianza, problema che si può e si deve affrontare separatamente dalla questione del merito, siamo davvero convinti che il problema della società italiana sia l’eccesso di meritocrazia comunque definita? Una volta probabilmente un intellettuale di sinistra avrebbe deprecato la mancanza di opportunità per i meno abbienti e meno connessi, e la battaglia sarebbe stata quella per mettere tutti in condizioni di competere. Anche perché la scelta dei migliori va a beneficio dell’intera società. Invece la battaglia gli intellettuali di sinistra è diventata quella di disconoscere del tutto il merito come criterio di selezione, situazione di fatto oggi. Ma la scuola italiana (e anche americana) in realtà dimostra che quando le competenze e il merito non sono più in nessuna maniera il criterio di scelta, intervengono altri fattori peggiori, posizione famigliare, connessioni e anche corruzione tout court. Sicuramente non sono i poveri a guadagnarci dal lassismo. 5 novembre 2022 | 08:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,