Sono cresciuto con l’ossessione di essere perfetto perché nessuno mi ha detto che non ce n’era bisogno?

Sono cresciuto con l’ossessione di essere perfetto perché nessuno mi ha detto che non ce n’era bisogno?

Spread the love

di Jonathan Bazzi

Media del 9 e mezzo, Maturit sostenuta con un anno d’anticipo, libretto universitario con tutti 30 e lode. Eppure l’emozione in me prevalente era il terrore, scrive Jonathan Bazzi in questo racconto autobiografico

Sono sempre stato il primo della classe. Al liceo, poi all’universit. Il cocco dei professori. Corteggiato, invidiato, preso a modello. Media del 9 e mezzo, poi 30 o 30 e lode agli esami. Un diadema di prodigi, di cui conservo le vette: la mattina di quarta liceo in cui il preside bussa alla porta della nostra classe, interrompendo la lezione su Dante, per comunicare che Jonathan Bazzi, dato il clamoroso profitto, pu sostenere l’esame di maturit un anno prima dei suoi compagni. La professoressa della prestigiosa facolt di filosofia che imprime pubblicamente il sigillo al microfono, l’investitura: cos giovane e gi cos pronto a rubarmi il mestiere, dice. E io per un attimo mi sento in salvo.
Primo ma non per caso, predisposizione o talento – scarsa memoria, probabile deficit dell’attenzione, intelligenza solo nella media, se va bene nella media. Io dovevo svettare: primo, massimo vertice e obbligato a esserlo. Qualsiasi tentennamento mi risultava inaccettabile, vergognoso, mortifero. Dunque lo sforzo, costante e ossessivo, l’angosciosa insistenza. Eccellevo ma sotto il giogo della volont, ero lo studente modello ma l’emozione in me prevalente era il terrore.

Prima di compiti e interrogazioni, a quindici, sedici, vent’anni, puntavo la sveglia alle due del mattino per ripassare nonostante non facessi altro da giorni. Mi chiudevo in bagno e, fino all’ora di uscire di casa, camminavo avanti e indietro negli stessi tre metri per due ricoperti di piastrelle bianche e rosse, nella mia mente impressi il bianco e il rosso, ripetendo ad alta voce manuali e appunti accartocciati dall’ansia, imponendomi di aderire alle parole, trasformarmi in esse, per scongiurare qualsivoglia imprecisione, dimenticanza, difetto. Io ero il senza difetto. Il migliore, grazie all’accanimento inflessibile che si riversava sulla mente e sul corpo: l’unica attivit fisica che per anni mi sono permesso sono stati gli spasmi muscolari al ritmo di schemi e riassunti, la contrazione furiosa della bocca, della gola e del collo che mi provocava decine di laringiti e afonie ogni inverno.

Tutto o niente, mi dicevo senza dirlo. Ho pensato di abbandonare la scuola quando mi esploso davanti l’orrore di un 6 e mezzo in un compito in classe – mai un’insufficienza in cinque anni, questo l’incubo che mi faceva visita -, ho covato la tentazione di strappare a morsi il libretto universitario dopo che venne macchiato da un 28 – inutili le suppliche al professore di Indologia, e le minacce: io lo rifiuto. Dunque conosco bene il sogno dell’eccellenza, della competizione spasmodica con s stessi e gli altri: una malattia, un’allucinazione malefica scambiata da tutti per trofeo, meraviglia. Il rimedio sadico e masochistico di cui nessuno si accorge. Inversioni prospettiche: collezionavo quei voti sempre pi alti e in realt ero il pi debole. Incapace di reggere la normalit – scendere, salire, semplicemente essere -, e sempre sul punto di andare in mille pezzi, precipitare nel pozzo dell’insignificanza. Avevo bisogno di quel piedistallo eretto freneticamente perch sentivo di non valere nulla: fuori rilucevo al bagliore di pagelle e medie ponderate, dentro ero completamento cavo, disconnesso, vuoto. Invocavo il risultato insuperabile, incontrovertibile: mi serviva per mettere a distanza l’incapacit di accettare di essere me, solo me. La performance scolastica stata l’armatura con cui ho cercato di vivere nonostante il disprezzo sotterraneo che nutrivo verso il mucchio di niente che sentivo di essere. Il merito, per oltre un decennio, stata la mia sostanza stupefacente.

Il perfezionismo un regime totalitario, condanna a morte ogni avversario: per riuscire a diventare/rimanere il migliore via via ho messo a tacere passioni, ho amputato le parti di me ritenute d’intralcio. Niente pi lezioni di canto, niente romanzi, e poi niente disegno, pittura, arti visive: studiare e basta, mandare a memoria come una macchina che non sente niente. L’intero impianto espressivo e creativo stritolato al solo fine di dominare la classifica che di volta in volta in me riallestivo. Questa versione della storia che ora vi offro rimasta occulta per anni: da fuori io ero esemplare, un esempio. Perch nessuno mi ha detto che non ce n’era bisogno? Il fatto che la vita grande, piena di rivoli e aspetti: gli adulti dovrebbero insegnare ai ragazzi a sintonizzarsi con questa ampiezza e questa complessit. A variare e bilanciare, e non a rincorrere ricette feroci e standardizzate, volte tutte ad arrivare non si capisce poi bene dove. Non hanno senso le corse incondizionate, i destini raccontati coi numeri. C’ ancora tanto automatismo nel modo di educare ed educarsi, molta superficialit: i copioni bellici, sprezzanti che costringono le persone in binari netti e convulsi creano spesso individui piatti, striminziti, accecati da qualcosa che, presto o tardi, riveler il suo fondo di aridit. Dovremmo abituarci a pensare che ogni vita ha la sua fisionomia, i suoi ordini e fini, che i giri lunghi o persino lunghissimi, i tragitti incidentati o confusi, distratti o contraddittori, valgono quanto quelli concisi e al galoppo. Dovremmo onorare il gesto che congiunge le varie esperienze, il senso che ciascuno trova o non trova in esse, pi che il bilancino della performance .

Il perfezionismo un mostro a due teste: una che attira onori e l’altra che sferra colpi contro il suo stesso corpo, che mira a sbranare s stessa. Mentirei se dicessi di essermelo lasciato del tutto alle spalle, ma oggi accedo ad altre intonazioni affettive: mi interessa la qualit del fluire e dell’esplorare, l’unicit data dallo stile individuale – che intreccia elementi, interessi, competenze diverse -, pi del trionfo compulsivo e anestetizzato senza se e senza ma. Sono stato perfetto ma ero solo impaurito: l’eccellenza che oggi mi orienta quella della disponibilit a vivere per intero lo spettro delle esperienze. Alti e bassi, fulgore, tonalit medie e momenti in cui ammetto di sentirmi piccolo e bisognoso degli altri.

Perch la perfezione, ancor prima che un ologramma disperato, la negazione del nuovo, di ogni margine di imprevisto, ogni sorpresa: la coazione a ripetere uno schema innaturale e autoriferito, che sostituisce le mille diverse possibilit della condizione umana con la dittatura dell’ideale. Molti solo dopo anni arrivano a capire quanto fosse oscuro e doloroso il sogno attraverso il quale pensavano di diventare s stessi, altri restano schiacciati a vita da un ciclopico giudice interno: per questo dovremmo offrire ai pi giovani periodiche annotazioni di benevolenza e curiosit verso i tanti modi in cui una vita pu andare, pi che perpetuare allo sfinimento ricette blindate e asfissianti. Le battute d’arresto, i sentieri interrotti e i ripensamenti sono anch’essi vita: precondizione, apertura, spazio, e non solo anomalie, errori, tab. Smettiamo di impartire ai ragazzi l’arte della loro sistematica rimozione, come se crescere non ci avesse insegnato niente. Portiamogli in dono questo sguardo obliquo, dispositivo di liberazione: forse anche questo uno dei modi con cui lasciare che resti aperto, per loro, il futuro.

16 dicembre 2022 (modifica il 16 dicembre 2022 | 07:55)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-12-16 06:57:00, Media del 9 e mezzo, Maturità sostenuta con un anno d’anticipo, libretto universitario con tutti 30 e lode. «Eppure l’emozione in me prevalente era il terrore», scrive Jonathan Bazzi in questo racconto autobiografico, Jonathan Bazzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.