di Orsola Riva
Nelle liste per le supplenze fino a 2 milioni di iscritti, ma molti si sfilano perché lo stipendio compensa a fatica il costo dei trasporti. Un rebus per i presidi che scontano anche l concorrenza del reddito di cittadinanza
Dentro c’è un po’ di tutto: molti (e molte) hanno in tasca una qualifica professionale di tre anni rilasciata da un qualche ente riconosciuto dalla Regione o da un istituto statale: meccanico, elettricista, falegname, cuoco, parrucchiere. Lavori che non hanno mai esercitato, oppure sì, ma poi per varie ragioni (per le donne quasi sempre la nascita di un figlio) hanno smesso, oppure sono stati licenziati, o più spesso non sono mai stati messi in regola. Altri hanno un diploma triennale per insegnare negli asili preso ormai un secolo fa (le scuole e gli istituti magistrali sono stati soppressi nel 1998-9). Altri ancora sono riusciti a tagliare il traguardo della maturità e lì si sono fermati. Ci sono perfino alcuni, pochi in verità, neo laureati che stufi di mandare curricula in giro senza ricevere risposta decidono di tentare la strada del posto fisso, per quanto demansionato: altro che i giovani «choosie» (schizzinosi) di una polemica di qualche anno fa.
Sono gli aspiranti collaboratori scolastici, gli ex «bidelli» di deamicisiana memoria, iscritti nelle liste per le supplenze del personale Ata, uno dei tanti acronimi che affliggono il mondo della scuola. Una sigla che tiene insieme tre figure molto diverse fra loro: gli amministrativi, cioè il personale delle segreterie, i tecnici di laboratorio e gli ausiliari, i bidelli appunto. In tutto parliamo di più di 2 milioni di persone in lista d’attesa per 200 mila posti circa, tre quarti dei quali proprio da collaboratore scolastico. Tanti, tantissimi, eppure a ogni ripartenza le scuole faticano a riempire i posti a disposizione. Da Milano a Roma, da Trento a Napoli non sono solo i prof a mancare, pure i bidelli sono merce rarissima. Un bel grattacapo per i presidi, perché mentre gli insegnanti possono temporaneamente essere sostituiti dai colleghi, se manca il collaboratore scolastico è a rischio non solo la vigilanza dei locali ma anche la sicurezza degli alunni all’ingresso e in uscita, durante l’intervallo, nei corridoi, sulle scale, in cortile, in mensa e così via. Per non parlare della pulizia dei bagni e delle aule, dell’assistenza ai disabili, dello scarico e carico merci…
Quest’anno il ministero delle Finanze a luglio aveva autorizzato 10 mila nuove assunzioni, anche se la Cgil scuola lamenta che i posti effettivamente disponibili sono molti di più: 27 mila. Ma quelle effettivamente andate a segno sono state molte di meno perché le graduatorie di prima fascia – ovvero gli elenchi da cui si possono pescare i candidati al ruolo – in molte province sono vuote. Per essere assunti a tempo indeterminato il titolo scolastico da solo non basta: ci vogliono anche 24 mesi di servizio, ma per metterli insieme spesso ci vogliono anni. Risultato a Milano su 1.273 posti disponibili ne sono stati assegnati solo 449 (dati Cisl); a Roma 364 su 988, a Torino 290 su 779. E i dirigenti, come al solito, hanno dovuto rimboccarsi le maniche per trovare dei supplenti. E non è stato facile, perché non sempre si tratta di contratti lunghi, a volte sono solo spezzoni di qualche mese e, in metropoli come Milano e Roma spesso i convocati vengono da fuori provincia se non da fuori regione. A remare contro, negli ultimi tempi, c’è stata anche la concorrenza del reddito di cittadinanza, che va da un minimo di 750 anche a 1.300 euro nei casi dei nuclei familiari più numerosi: l’equivalente esatto dello stipendio lordo di un bidello al primo incarico. Se a un compenso già magro togli pure il costo di treni e corriere e la fatica delle sveglie all’alba, si capisce perché anche se le graduatorie delle supplenze sono piene, in tanti quando vengono chiamati rispondano di no.
Va decisamente meglio ai bidelli che fanno anche i custodi e per questa ragione hanno diritto a un alloggio dentro la scuola, per loro e per la famiglia stretta, anche se i contratti spesso sono molto vincolanti: non possono ospitare estranei e nemmeno tenere un cane a meno che non ottengano il permesso dal preside. A loro spetta solo di pagare le utenze (luce, gas), mentre la casa è gratis. In cambio però, alle 36 ore del contratto ordinario, devono aggiungere quelle legate all’attività di custodia, dall’apertura del mattino (in genere alle 7 e 30) alla chiusura al pomeriggio, e tutte le responsabilità connesse: attivare e disinnescare l’allarme, chiamare la polizia nel caso in cui qualcuno si introducesse a scuola di notte eccetera. Poi certo ci sono anche le storture: come quella denunciata alcuni anni fa dal presidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma Mario Rusconi di 200 alloggi della capitale, alcuni dei quali in pieno centro, che venivano occupati abusivamente da ex bidelli o loro familiari…
Prima di raggiungere il traguardo del posto fisso (con o senza residenza), tutti però devono passare per il purgatorio delle supplenze. E’ di questi giorni la vicenda kafkiano-fantozziana – anche se a lieto fine – di Marcella Primiceri, una bella signora di Mesagne in provincia di Brindisi, che è diventata collaboratrice scolastica 37 anni dopo aver presentato la domanda. Nel frattempo, non trovando lavoro, era emigrata in Germania dove lavorava nella ristorazione e come addetta alle pulizie. Finché è arrivata la sorpresa: una chiamata per una supplenza di un anno in un istituto alberghiero della città. Non ci ha pensato un attimo: ha fatto le valigie ed è tornata a casa. Anche se il rischio è che quando entrerà in ruolo sarà quasi l’ora della pensione.
4 novembre 2022 (modifica il 4 novembre 2022 | 12:05)
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, 2022-11-04 11:10:00, Nelle liste per le supplenze fino a 2 milioni di iscritti, ma molti si sfilano perché lo stipendio compensa a fatica il costo dei trasporti. Un rebus per i presidi che scontano anche l concorrenza del reddito di cittadinanza, Orsola Riva