di Alessandro TrocinoLa locuzione è stata usata per la prima volta nel 1996 al summit mondiale per l’alimentazione da Via Campesina, che riunisce 182 organizzazioni di contadini di 81 Paesi, per contestare il neonato Wto: l’idea era quella di proporre un’alternativa alla liberalizzazione del commercio agricolo e all’industrializzazione dell’agricoltura e dell’alimentazione Chi frequenta Twitter è rimasto sopraffatto in questi giorni dalla consueta ondata di ironia monotematica, questa volta riservata al nuovo ministero della Sovranità alimentare. Tutti a postare carbonare e minestroni e vantarsi della loro propensione alla sovranità. Tutti ad additare il neogoverno Meloni, accusandolo di revanscismo sovranista e destrorso. Poi è arrivato Carlìn Petrini e ha dato il contrordine a nome di Slow Food: compagni, smettetela, la sovranità alimentare è di sinistra. Stupore, sconcerto, diffidenza. Ma come? Ancora ieri Chicco Testa si ritraeva con una manciata di funghi in mano e rivendicava ironicamente la sovranità alimentare. Qualche avvisaglia c’era. Anche i francesi hanno dato lo stesso nome a un ministero: Souveraineté alimentaire. Certo, dalle parti di Macron non sono estremisti di sinistra, ma neanche post-fascisti, come i francesi amano definire Fratelli d’Italia. E allora? Allora si scopre che questa locuzione è stata usata per la prima volta nel 1996 al summit mondiale per l’alimentazione da Via Campesina, che riunisce 182 organizzazioni di contadini di 81 Paesi, per contestare il Wto, appena nato. L’idea era quella di proporre un’alternativa alla liberalizzazione del commercio agricolo e all’industrializzazione dell’agricoltura e dell’alimentazione. Quello contro cui si combatte è la mondializzazione (o globalizzazione) delle politiche agricole. Il modello contestato è quello degli scambi internazionali che grazie all’economia di scala riducono i costi ma tolgono sovranità e soldi ai contadini e alle organizzazioni locali, per favorire le multinazionali agroalimentari. C’è anche una definizione specifica data da Via Campesina della sovranità alimentare: «Il diritto delle persone a produrre in maniera autonoma alimenti sani, nutrienti, adatti al clima e alla cultura, utilizzando risorse locale e con strumenti ecologici, principalmente per rispondere ai bisogni alimentari locali e delle loro comunità». Riassumendo. Sovranità non è sovranismo (come spiegava l’altro giorno il professor Roberto Vecchioni da Fabio Fazio: in soldoni, sovranità è avere il controllo di noi stessi, sovranismo è fregarsene degli altri). Sovranità non è autarchia. Non è sì all’amatriciana, no al cous cous. Non è questa la questione che sollecita l’uso di questa locuzione. Dunque, sovranità alimentare non è una nozione di destra. È un termine che si oppone ai monopoli e allo sfruttamento delle multinazionali, alla globalizzazione selvaggia delle filiere e allo sfruttamento intenso dell’ambiente. Perfetto. Ma se è così, che ci fa in un ministero di destra, retto dal fratello d’Italia Francesco Lollobrigida? Il fatto è che le parole spesso sono ambigue. È «una fregatura lessicale», sintetizza Alice Fanti, della onlus bolognese Cefa. Evidentemente alla destra è piaciuta la parola sovranità, che infatti ha richiamato in molti lettori il sovranismo. Ed evidentemente c’è una quota di battaglie di destra che possono rientrare agevolmente in questo concetto. Quella contro il nutriscore, per esempio, che coincide con la difesa del made in Italy (fa ridere che si debba usare l’inglese per difendere i prodotti italiani ma è il nome ufficiale del ministero di Adolfo Urso). Il sistema di etichettatura a semaforo privilegia i prodotti in base a livelli di zuccheri, grassi, sale e qualità salutari. Ne escono male, per esempio, olio, parmigiano reggiano e vino. Poi c’è la lotta all’«italian sound». Per capirsi, quando vendono un «parmesan» che non ha niente a che fare con il nostro parmigiano dop. È una battaglia di destra? No. Come non lo è quella per il chilometro zero, che in origine sosteneva Petrini (poi si è pentito). Lo diventa se un’idea di buon senso, privilegiare il pomodoro sotto casa rispetto a quello fatto in Cina (peggiore, in termine di qualità e di inquinamento prodotto per farlo arrivare qui) diventa una battaglia autarchica e ariana a favore dei nostri prodotti locali contro il sushi invasore. Il Messaggero ricordava che sulla nostra tavola, attraverso la grande distribuzione, arrivano solo sei varietà di mela, tutte straniere, e nessuna delle nostre 200 varietà autoctone. Proibire le mele straniere sarebbe di destra. Favorire il commercio locale e la biodiversità, invece, sarebbero battaglie di sinistra. Altra declinazione della sovranità alimentare: gli alimenti sintetici. La bistecca in 3D potrebbe essere utile per arricchire le diete povere, grazie al basso costo. Ma rischia di danneggiare seriamente gli allevamenti locali. La destra, semplificando, si schiera a difesa totale degli allevamenti, a prescindere dall’enorme inquinamento ambientale e dell’attenzione alla sostenibilità. Servirebbe un equilibrio, tra la difesa dell’allevamento tradizionale e l’affiancamento con nuove forme di alimentazione. Lo stesso vale per l’uso alimentare degli insetti. La destra (Matteo Salvini in primis) ne fa una battaglia molto spettacolare, come avevamo raccontato in questo pezzo, dove si lanciava l’allarme sulla «decostruzione della sacralità del cibo». In generale, la destra è per la difesa delle tradizioni, non solo agricole, ma anche e soprattutto alimentari (che poi diventa difesa di categoria e protezionista). Ma attenzione: anche certa sinistra, a partire da Slow Food, lo è. Il corto circuito dunque c’è: destra e sinistra, su alcuni temi, si sovrappongono. E la sinistra nostalgica rischia di fare il giro e diventare reazionaria. Certi concetti, come la sovranità alimentare, possono essere di sinistra o di destra, a seconda di come vengono declinati. Insomma, cosa si nasconda davvero dietro la scelta lessicale del governo Meloni, se sia una locuzione filologicamente corretta o se sia una «fregatura», lo scopriremo nei prossimi mesi, quando le parole diventeranno fatti. E si capirà se sotto la parola «sovranità» si nascondeva «sovranismo». O, come scrive su Huffington Post Michele Mezza, se dietro c’è la «mucca Carolina», ovvero «l’emblema delle rivolte della lobby degli allevatori che pretendevano di non pagare la multe che l’Unione europea aveva comminato per le truffe perpetrate dopo aver incassato copiosi finanziamenti per limitare la produzione». 25 ottobre 2022 (modifica il 25 ottobre 2022 | 08:42) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-25 06:43:00, La locuzione è stata usata per la prima volta nel 1996 al summit mondiale per l’alimentazione da Via Campesina, che riunisce 182 organizzazioni di contadini di 81 Paesi, per contestare il neonato Wto: l’idea era quella di proporre un’alternativa alla liberalizzazione del commercio agricolo e all’industrializzazione dell’agricoltura e dell’alimentazione, Alessandro Trocino