Spese militari, da Parigi e Roma spinta per un Recovery sul budget per la Difesa

Spese militari, da Parigi e Roma spinta per un Recovery sul budget per la Difesa

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di Federico Fubini e Francesco VerderamiIl ministro per la Difesa Guerini: in gioco la nostra sovranità. E un pezzo di Pil Al vertice europeo di Versailles il 10 marzo e poi di nuovo a quello di Bruxelles venerdì scorso, Emmanuel Macron ha fatto mettere a verbale della discussione un punto che nei comunicati ufficiali si intravede appena. Il leader francese propone un nuovo strumento europeo sul modello del Recovery. Potrebbe chiamarsi «fondo per l’autonomia», se servisse a finanziare tanto le spese per la difesa che quelle per rompere la dipendenza energetica dalla Russia. O potrebbe coprire solo i bilanci militari, se non fosse possibile altro. Un obiettivo implicito è impedire che la Germania, dopo tre quarti di secolo di latenza, compia un salto che la lasci da sola a un livello diverso rispetto al resto d’Europa. Prima ancora di spendere tutti i 100 miliardi di euro nella difesa annunciati dal cancelliere Olaf Scholz questo mese, il raddoppio previsto quest’anno porta il bilancio militare di Berlino su un’altra scala: oltre il doppio di quello francese, al quadruplo di quello da 25,9 miliardi di euro dell’Italia. Persino l’Olanda è aperta all’idea di Macron, benché voglia allentare le regole di bilancio nazionali. La Germania invece resta riluttante per ora, prima che il negoziato parta seriamente dopo il secondo turno delle presidenziali francesi di fine aprile. Intanto Berlino ha già ordinato per oltre due miliardi 35 modelli di F35 dell’americana Lockheed Martin, dimostrando di non avere una fiducia cieca nei progetti europei della difesa. Roma acceleraSu cifre non paragonabili, visto il debito pubblico, anche a Roma qualcosa sta cambiando. Il premier Mario Draghi e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini puntano ad avvicinarsi gradualmente a una spesa militare al 2% del prodotto lordo, come da impegni sottoscritti nell’Alleanza atlantica. Dai livelli attuali significa aggiungere a termine nove miliardi, ma già in questa legislatura il bilancio della difesa deve salire dall’1,54% attuale all’1,65%: un aumento di quasi due miliardi nel 2023. «Nel settore della difesa servono ammodernamenti per stare al passo delle tecnologie — dice Lorenzo Guerini — altrimenti la nostra sovranità sarà sempre dipendente da altri». Non preoccupa in questa fase la riluttanza sbandierata da Giuseppe Conte, anche perché il leader dei 5 Stelle promette un voto contrario all’aumento delle spese nella difesa «nel Documento di economia e finanza» di aprile. Sarebbe il momento sbagliato: in quel genere di testi entrano mai riferimenti specifici, dato che le scelte si faranno poi con la legge di bilancio in autunno. Certo però anche l’opinione pubblica dovrà evolvere di fronte al nuovo quadro in Europa. «Bisogna far crescere in Italia la cultura della difesa. Vanno superati i retaggi del passato per uscire dal vecchio dualismo bellicismo-contro-pacifismo», osserva Guerini. Tra l’altro, aggiunge il ministro, «l’investimento nella difesa produce sviluppo tecnologico, occupazione di qualità e crescita». Per esempio, in Italia si creeranno centinaia di posti per costruire gli F-35 ordinati dalla Svizzera. Il paradosso europeo In questo l’Italia può giocare un ruolo di aggregatore in Europa, perché intanto la situazione è diventata paradossale. Germania e Gran Bretagna spendono ciascuna in difesa più della Russia, in valori assoluti. E i primi sette Paesi del continente hanno un bilancio militare aggregato di quattro volte e mezzo superiore a quello di Mosca. Eppure la forza convenzionale e nucleare agli ordini del Cremlino resta nettamente superiore. Italia e Germania insieme contano pochissime decine di tank funzionanti, mentre la Russia sembra averne senza limiti. Solo Francia e Gran Bretagna hanno dei missili balistici in numero significativo, ma la Russia sembra averne molte migliaia. E così per gli aerei caccia o gli uomini dispiegabili sul terreno. Conta il fatto che Mosca spenda quasi il 5% del suo prodotto lordo nell’esercito, mentre pochi governi europei arrivano o superano il 2%. Contano i costi di produzione e i salari, per Mosca molto più bassi: un euro speso in Russia genera molta più capacità militare. Pesa però anche il fatto che i governi europei non sono sincronizzati, dunque abbondano le duplicazioni e gli sprechi negli investimenti. Per esempio in questa fase sono in sviluppo due modelli di aerei da combattimento di sesta generazione concorrenti: il Future Combat Air System (franco-tedesco-spagnolo) e il Tempest (italo-britannico-svedese). I progetti europei comuni sono scesi ad appena l’11% degli investimenti negli ultimi anni. «Servono accordi comuni nell’industria della difesa — dice Andrea Margelletti del Centro studi internazionali di Roma —. Ma solo le scelte politiche potranno produrli». 28 marzo 2022 (modifica il 28 marzo 2022 | 23:09) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-28 21:10:00, Il ministro per la Difesa Guerini: in gioco la nostra sovranità. E un pezzo di Pil, Federico Fubini e Francesco Verderami

Pietro Guerra

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