di Monica Guerzoni Così la conversione del decreto Ucraina verrebbe «protetta» da ordini del giorno rischiosi per la maggioranza. Comunque non ci sarebbero risorse per aumenti entro il 2024 Il «buon senso» che Giuseppe Conte chiede a Mario Draghi per disinnescare il tema politicamente esplosivo degli armamenti militari è lo stesso atteggiamento che il presidente del Consiglio si aspetta dal predecessore a Palazzo Chigi. Nei vertici internazionali il capo del governo italiano invoca l’unità degli alleati contro la guerra di Putin all’Ucraina e la stessa unità Draghi pretende, sul piano interno, dai partiti che sostengono la variegata coalizione di unità nazionale. Una politica che «vuol bene al Paese e vuole la pace» non deve dividersi, è il mantra dell’ex presidente della Bce. A Draghi certo non fanno piacere tensioni e fibrillazioni in Parlamento e nemmeno gli sfugge la ritrovata consonanza di accenti tra Conte e Salvini. Eppure il premier si mostra convinto che il M5S sarà responsabile e «la maggioranza resterà compatta». La questione dell’aumento delle spese per la difesa agita da giorni i partiti. Conte è arrivato a stoppare preventivamente ogni «forzatura», chiedendo in sostanza a Draghi di non puntare all’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil entro il 2024, ma di diluire l’impegno in un arco temporale più lungo. Altrimenti, ha ammonito il presidente del Movimento, toccherà allo stesso premier assumersi la responsabilità di mettere a rischio la tenuta della maggioranza. Le parole che Conte ha scandito in tv da Lucia Annunziata, su Rai3, sono state ascoltate con attenzione nelle stanze della presidenza del Consiglio e nelle segreterie dei partiti. E la lettura, ai piani alti del governo, è che il leader dei 5 Stelle stia parlando non tanto a Draghi, quanto agli iscritti e ai militanti. «Si sta montando una gran caciara sul nulla», è la conclusione ottimistica di un esponente del governo. D’altronde i fondi per aumentare entro il 2024 le spese per la Difesa non ci sono, per arrivare al 2% del Pil mancano una quindicina di miliardi e la gradualità invocata da Conte «è già nelle cose». La ex ministra dem Roberta Pinotti, che guida la commissione Difesa del Senato, è rimasta colpita dai «toni molto duri» di Conte, ma poi anche lei si è convinta che il leader del M5S non cerchi la crisi di governo: «Se si fa l’analisi dei suoi ragionamenti si capisce che Conte è contrario a un aumento massiccio delle spese per la difesa, ma comprende come gli impegni assunti in sede Nato vadano rispettati». Lo stesso Conte quando era premier li rispettò ed è anche per questo che i suoi toni ultimativi vengono interpretati nel governo come una «mossa tattica» per parlare agli iscritti del M5S, chiamati a votarlo come presidente. Non risulta che ieri il premier e il leader del Movimento si siano parlati, né che ci sia nell’agenda di Palazzo Chigi un incontro imminente. Ma quando si sentiranno o si vedranno sarà lo stesso Conte a spiegare a Draghi il perché della sua virata, dopo che alla Camera l’intera maggioranza, M5S compreso, aveva votato compatta l’ordine del giorno della Lega sull’aumento delle spese per gli armamenti fino al 2%. Domani il decreto Ucraina approda nella commissione Esteri del Senato, guidata da Vito Petrocelli. L’esponente filo-Puntin del Movimento preme su Conte perché ritiri i ministri dal governo e ha coniato l’hashtag #nofiduciaDraghi. Visto il clima, a Chigi devono aver pensato che non sia il caso di procedere al buio. Alle otto di stasera il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà presiederà la videocall con i capigruppo di maggioranza, i presidenti delle commissioni Esteri e Difesa e il sottosegretario agli Affari europei, Enzo Amendola. Obiettivo: trovare un accordo prima che si cominci a votare. Il problema sono gli ordini del giorno ed è per disinnescarli che a Palazzo Chigi si è ormai deciso di porre la questione di fiducia: soluzione che consentirebbe a Conte di tenere compatto il gruppo, nonostante i maldipancia. Nel vertice con D’Incà si valuterà l’ipotesi di un ordine del giorno di maggioranza, così «soft» da tenere tutti dentro. E di come fronteggiare l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia, che ricalca quello approvato alla Camera e poi rinnegato come «un errore» da Conte. Il governo potrebbe recepire il testo dell’opposizione, che verrebbe così votato solo in commissione. FdI segnerebbe un punto e per Draghi sarebbe un pareggio, perché eviterebbe la spaccatura della maggioranza. Ragionamenti e strategie che il voto di fiducia sembra destinato ad azzerare. 28 marzo 2022 (modifica il 28 marzo 2022 | 07:18) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-28 08:32:00, Così la conversione del decreto Ucraina verrebbe «protetta» da ordini del giorno rischiosi per la maggioranza. Comunque non ci sarebbero risorse per aumenti entro il 2024, Monica Guerzoni