Spese scolastiche, da 300 a 600 euro a figlio. Aumenta il peso sui redditi più bassi

Spread the love

di Francesco Sellari

L’Osservatorio nazionale dei redditi e delle famiglie ha misurato quanto costa avere un figlio in classe. A rischio le spese per la salute

La scuola costa uguale per tutti. Questo almeno in termini assoluti, perché molte sono spese «incomprimibili», fisse. Il peso percentuale però, dipende dal reddito della famiglia. E più e basso più le spese per la scuola pesano. Spiega il ricercatore Gianfranco Zucca: «Se vuoi mandare tuo figlio a scuola, un investimento minimo è necessario. E parametrato al reddito, questo investimento è lo stesso sia per i più ricchi che per i più poveri. Ovviamente, questo investimento fisso incide di più su chi ha meno». Ciò significa che queste spese possono diventare prioritarie a scapito di altre. «Le spese sanitarie, ad esempio – prosegue Zucca – Che possono essere oggetto di scelta. Ovvero, decido di non curarmi per risparmiare. In Italia fortunatamente la scuola è gratuita. Ma per l’accesso ai percorsi di istruzione serve un kit minimo per ogni bambino. E i buoni libro non bastano. È per questo che a settembre vediamo che ci sono associazioni che fanno raccolte di materiale scolastico, le famiglie in fila in libreria con i voucher e molti bambini arrivano a scuola senza che abbiano tutto il necessario».

Le spese per la scuola

Zucca è tra gli autori della prima indagine elaborata dall’Osservatorio nazionale dei redditi e delle famiglie, nato a giugno dalla collaborazione tra l’Area Famiglia delle Acli, il Caf dell’associazione di ispirazione cattolica e l’istituto di ricerca Iref. Lo studio abbraccia il triennio 2019-2021 e si basa sull’analisi di un vasto campione di dichiarazioni dei redditi (974.000 solo per l’ultimo anno). L’indagine si concentra su alcune spese ammesse a detrazione: spese scolastiche, spese sugli interessi per i mutui abitativi e spese sanitarie. Nel 2021 le spese scolastiche tornano a salire dopo il calo del 2020 segnato dal Covid 19. Ma non arrivano ai livelli del 2019. Il campione analizzato è suddiviso in cinque fasce di reddito omogenee (i quintili). Nel 2021, le famiglie del primo quintile (quelle più povere) hanno detratto in media per le spese scolastiche 313 euro. Erano 346 nel 2019. Per il quintile che comprende le famiglie più ricche i dati sono, rispettivamente, 600 e 660 euro. Come si diceva, però, il rapporto tra il 20% più povero e il 20% più ricco è di 1 a 1. Non così per le spese sanitaria (1 a 2,7) o quelle relative agli interessi sui mutui (1 a 3,3). In questi casi, chi ha di più spende fino a 3 volte di più. L’indagine costituisce una fotografia del ceto medio-basso italiano.

I conti in tasca

La maggioranza delle dichiarazioni dei redditi analizzate si situano nella fascia tra i 10 mila e i 30 mila euro all’anno. Nel periodo considerato, per i due terzi del campione si registra una contrazione del reddito. «Tra questi – spiega Zucca – c’è un 25% di lavoratori che ha perso 1.200 euro in tre anni. Parliamo comunque di dipendenti a tempo indeterminato o che hanno una certa continuità lavorativa. A prima vista sembra una perdita non particolarmente elevata. Ma se guardiamo questa situazione in prospettiva c’è da essere preoccupati. Nel 2023, infatti, ci aspettiamo la crescita dell’inflazione, la crescita dei tassi di interesse, rate dei mutui che potranno aumentare anche di 150 euro. Se consideriamo che abbiamo un mercato del lavoro con salari fermi da almeno dieci anni, ci rendiamo conto che questo scenario potrà creare difficoltà a tante famiglie». Ci sono poi quelli che l’indagine definisce gli hard losers: un 4% che in tre anni ha fatto registrare una perdita di oltre il 35% del proprio reddito. Sono lavoratori precari giovani che durante la pandemia hanno perso il lavoro o sono andati in cassa integrazione. «Per queste persone – sottolinea Zucca – la pandemia ha comportato il ritrovarsi in tre anni anche con 10 mila euro in meno». E le donne si confermano ultime tra gli ultimi. Pur costituendo il 52,6% del campione totale, infatti, sono i due/terzi degli hard losers. Lo studio parla di she-cession: una recessione al femminile. Le più penalizzate? Under 40, coniugate, con almeno un figlio. «Segregate in settori specifici come turismo o servizi alle imprese – conclude il ricercatore Iref – con contratti meno garantiti e meno retribuiti, sono state le prime a pagare il conto della crisi pandemica».

19 dicembre 2022 (modifica il 19 dicembre 2022 | 09:59)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-12-19 09:59:00, L’Osservatorio nazionale dei redditi e delle famiglie ha misurato quanto costa avere un figlio in classe. A rischio le spese per la salute, Francesco Sellari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.