editoriale Mezzogiorno, 10 giugno 2022 – 07:54 di Giuseppe Coco Riparte la giostra del regionalismo differenziato. La ministra Gelmini ha predisposto un testo di Legge Quadro all’interno del quale dovrebbero maturare le eventuali intese tra Stato e Regioni, che secondo la possibilità aperta dall’Articolo 116 della Costituzione porterebbero alla devoluzione di competenze, poteri e risorse alle regioni che le richiedano sulla base di motivazioni di efficienza ed efficacia dell’intervento. I dubbi sul piano giuridico sulla appropriatezza della strada seguita sono molteplici, ma personalmente vorrei discutere delle motivazioni economiche e politiche per cui è un errore. La richiesta di nuovi poteri da parte delle regioni è comprensibile sul piano politico, ma difficile da giustificare sul piano dell’efficienza o efficacia se non su presupposti ideologici di superiorità di un sistema federale. L’idea sottostante è che la fornitura dei servizi pubblici avviene sempre in condizioni di superiorità da parte di livelli di governo più «vicini» ai cittadini. Personalmente non condivido affatto questo principio anche per motivi storici. L’unità d’Italia e la performance complessiva dello Stato Italiano autorizzano al contrario la tesi che molti traguardi siano stati possibili in forza della standardizzazione delle procedure e dei servizi su base nazionale. Questo è certamente vero per l’istruzione che per un lungo tempo ha rappresentato, soprattutto per i cittadini delle parti più deboli del paese, una strada per l’ascesa sociale indipendente da contesti locali, spesso dominati da classi estrattive. La preoccupante involuzione del sistema di istruzione va ricondotta all’affermazione sempre più aggressiva dei principi localistici, che corrompono la utilità del segnale che l’istruzione fornisce e diminuiscono la fiducia della società e dell’economia nel sistema. Ricordo a tutti ad esempio che la certificazione linguistica Cambridge avviene con test standardizzati a livello mondiale che vengono corretti da un’unica autorità centrale, proprio per conservare il valore di segnale del test. In Italia questo avveniva nelle scuole superiori con l’esame di Stato con membri esterni che venivano da lontanissimo, per assicurare l’omogeneità relativa del sistema, l’assenza di collusioni era anche una garanzia per gli studenti provenienti da famiglie meno influenti. Dubito poi che qualcuno ritenga che l’esperienza dei 20 sistemi sanitari diversi possa essere utilizzata come argomento a favore di una ulteriore devoluzione dell’istruzione, anche nelle regioni più ricche. La ragione principale però è che il federalismo funziona solo quando esiste una corrispondenza ragionevole tra poteri fiscali e poteri di spesa. Solo questa corrispondenza assicura che i cittadini possano far valere la responsabilità del sistema politico. Nel federalismo all’italiana invece le Regioni non hanno entrate proprie e dipendono da trasferimenti dello Stato (anche in forma di compartecipazioni non cambia niente): ogni disfunzione dipende quindi sempre per i governatori dalla mancanza di risorse. Inoltre il sistema costituzionale prevede sovrapposizioni di competenze su un numero di materie assolutamente irragionevole. La riforma in oggetto è quindi sbagliata perché aumenta l’irresponsabilità del sistema politico. Allo stesso tempo aumenterebbe la confusione e la conflittualità tra i poteri in materie in cui necessariamente una legislazione quadro dovrebbe rimanere (come l’istruzione). Abbiamo già fatto esperienza dell’assurdità di autorità regionali che in forza delle competenze sanitarie, hanno chiuso le scuole durante la lunga emergenza Covid. Con l’espansione delle competenze regionali questo tipo di conflitti non può che aumentare e rendere del tutto disfunzionale il sistema decisionale. La devoluzione comporterebbe notevoli problemi di ripartizione delle risorse tra Regioni con competenze diverse tra di loro. In un paese con i nostri problemi di conti pubblici, tale esercizio è molto complesso e condizionato dalla nostra stessa stabilità come paese. È ragionevole modificare i rapporti finanziari tra Stato e Regioni, mentre stiamo per entrare in un periodo di potenziali instabilità sistemiche? La devoluzione dovrebbe poi essere giustificata da ragioni specifiche. Nel caso dell’istruzione però abbiamo una certa evidenza che i sistemi educativi di alcune regioni che chiedono più poteri sono già molto competitivi. L’ultima indagine «Pisa» sulla performance comparativa degli studenti quindicenni a livello regionale (2012), mostra come gli studenti delle regioni del nord-est siano in media comparabili a quelli degli Stati europei più virtuosi e che Veneto e Lombardia performano in maniera molto simile a Trento e Friuli e sistematicamente meglio della provincia di Bolzano, nonostante l’autonomia di queste ultime Provincie/Regioni. Siamo davvero sicuri che serva l’istruzione regionale per migliorare la sua performance o si tratta di una semplice questione di poteri e di risorse, che di certo non è contemplata dalla Costituzione? L’ultima ragione per evitare la devoluzione la leggiamo giornalmente sui quotidiani. Il dibattito sull’autonomia ha un solo tema: la distribuzione delle risorse tra noi e loro. Sulla razionalità, ad esempio, del nuovo sistema di istruzione per gli studenti del sud e del nord nessuno discute. È questa la maggiore sconfitta del nostro paese e la dobbiamo ai leghisti del nord e del sud. 10 giugno 2022 | 07:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-10 05:55:00, editoriale Mezzogiorno, 10 giugno 2022 – 07:54 di Giuseppe Coco Riparte la giostra del regionalismo differenziato. La ministra Gelmini ha predisposto un testo di Legge Quadro all’interno del quale dovrebbero maturare le eventuali intese tra Stato e Regioni, che secondo la possibilità aperta dall’Articolo 116 della Costituzione porterebbero alla devoluzione di competenze, poteri e risorse alle regioni che le richiedano sulla base di motivazioni di efficienza ed efficacia dell’intervento. I dubbi sul piano giuridico sulla appropriatezza della strada seguita sono molteplici, ma personalmente vorrei discutere delle motivazioni economiche e politiche per cui è un errore. La richiesta di nuovi poteri da parte delle regioni è comprensibile sul piano politico, ma difficile da giustificare sul piano dell’efficienza o efficacia se non su presupposti ideologici di superiorità di un sistema federale. L’idea sottostante è che la fornitura dei servizi pubblici avviene sempre in condizioni di superiorità da parte di livelli di governo più «vicini» ai cittadini. Personalmente non condivido affatto questo principio anche per motivi storici. L’unità d’Italia e la performance complessiva dello Stato Italiano autorizzano al contrario la tesi che molti traguardi siano stati possibili in forza della standardizzazione delle procedure e dei servizi su base nazionale. Questo è certamente vero per l’istruzione che per un lungo tempo ha rappresentato, soprattutto per i cittadini delle parti più deboli del paese, una strada per l’ascesa sociale indipendente da contesti locali, spesso dominati da classi estrattive. La preoccupante involuzione del sistema di istruzione va ricondotta all’affermazione sempre più aggressiva dei principi localistici, che corrompono la utilità del segnale che l’istruzione fornisce e diminuiscono la fiducia della società e dell’economia nel sistema. Ricordo a tutti ad esempio che la certificazione linguistica Cambridge avviene con test standardizzati a livello mondiale che vengono corretti da un’unica autorità centrale, proprio per conservare il valore di segnale del test. In Italia questo avveniva nelle scuole superiori con l’esame di Stato con membri esterni che venivano da lontanissimo, per assicurare l’omogeneità relativa del sistema, l’assenza di collusioni era anche una garanzia per gli studenti provenienti da famiglie meno influenti. Dubito poi che qualcuno ritenga che l’esperienza dei 20 sistemi sanitari diversi possa essere utilizzata come argomento a favore di una ulteriore devoluzione dell’istruzione, anche nelle regioni più ricche. La ragione principale però è che il federalismo funziona solo quando esiste una corrispondenza ragionevole tra poteri fiscali e poteri di spesa. Solo questa corrispondenza assicura che i cittadini possano far valere la responsabilità del sistema politico. Nel federalismo all’italiana invece le Regioni non hanno entrate proprie e dipendono da trasferimenti dello Stato (anche in forma di compartecipazioni non cambia niente): ogni disfunzione dipende quindi sempre per i governatori dalla mancanza di risorse. Inoltre il sistema costituzionale prevede sovrapposizioni di competenze su un numero di materie assolutamente irragionevole. La riforma in oggetto è quindi sbagliata perché aumenta l’irresponsabilità del sistema politico. Allo stesso tempo aumenterebbe la confusione e la conflittualità tra i poteri in materie in cui necessariamente una legislazione quadro dovrebbe rimanere (come l’istruzione). Abbiamo già fatto esperienza dell’assurdità di autorità regionali che in forza delle competenze sanitarie, hanno chiuso le scuole durante la lunga emergenza Covid. Con l’espansione delle competenze regionali questo tipo di conflitti non può che aumentare e rendere del tutto disfunzionale il sistema decisionale. La devoluzione comporterebbe notevoli problemi di ripartizione delle risorse tra Regioni con competenze diverse tra di loro. In un paese con i nostri problemi di conti pubblici, tale esercizio è molto complesso e condizionato dalla nostra stessa stabilità come paese. È ragionevole modificare i rapporti finanziari tra Stato e Regioni, mentre stiamo per entrare in un periodo di potenziali instabilità sistemiche? La devoluzione dovrebbe poi essere giustificata da ragioni specifiche. Nel caso dell’istruzione però abbiamo una certa evidenza che i sistemi educativi di alcune regioni che chiedono più poteri sono già molto competitivi. L’ultima indagine «Pisa» sulla performance comparativa degli studenti quindicenni a livello regionale (2012), mostra come gli studenti delle regioni del nord-est siano in media comparabili a quelli degli Stati europei più virtuosi e che Veneto e Lombardia performano in maniera molto simile a Trento e Friuli e sistematicamente meglio della provincia di Bolzano, nonostante l’autonomia di queste ultime Provincie/Regioni. Siamo davvero sicuri che serva l’istruzione regionale per migliorare la sua performance o si tratta di una semplice questione di poteri e di risorse, che di certo non è contemplata dalla Costituzione? L’ultima ragione per evitare la devoluzione la leggiamo giornalmente sui quotidiani. Il dibattito sull’autonomia ha un solo tema: la distribuzione delle risorse tra noi e loro. Sulla razionalità, ad esempio, del nuovo sistema di istruzione per gli studenti del sud e del nord nessuno discute. È questa la maggiore sconfitta del nostro paese e la dobbiamo ai leghisti del nord e del sud. 10 giugno 2022 | 07:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,