La strage sulle strade. Guidereste bendati? Leggere un messaggio significa esserlo per quasi 200 metri

La strage sulle strade. Guidereste bendati? Leggere un messaggio significa esserlo per quasi 200 metri

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di Gianna Fregonara

Il numero di vittime in Italia sceso di poco rispetto ad altri Paesi. Chi si fa un autoscatto al volante, per esempio, percorre alla cieca una lunghezza che corrisponde a due campi da calcio. La psicologa Annamaria Giannini: Si deve e si pu fare molto

No, direte voi, certo che no. La domanda semplice e diretta quanto la risposta: vi mettereste alla guida bendati? No, appunto. Eppure, sulle nostre strade, di guidatori che circolano come se fossero pericolosamente a occhi chiusi ce n’ pi d’uno. Ascoltate la professoressa Annamaria Giannini, direttrice del dipartimento di psicologia generale della Sapienza, che si occupa di sicurezza stradale e prevenzione da 25 anni: Forse non tutti si rendono conto che digitare un messaggio sullo smartphone mentre si alla guida come mettersi una benda sugli occhi. Per un bel po’ di metri, anche se la nostra percezione di un istante soltanto, quella persona non sar in grado di controllare la sua auto. Quando poi ci facciamo un selfie – azione, ahim, non infrequente – come se percorressimo 200 metri, che la lunghezza di due campi di calcio uno dopo l’altro, senza guardare la strada e senza essere in grado di frenare, sterzare o usare quelle reazioni e strategie che ci permettono di mettere in salvo noi stessi e gli altri nel caso ci sia un ostacolo, una curva, un semaforo rosso, una persona davanti a noi.

I numeri del pericolo

I conti son presto fatti: Per digitare o leggere un messaggio ci vogliono circa 10 secondi, a 70 km/h il tempo in cui percorrono 194 metri. Per scattare un selfie servono 14 secondi circa. A 50 km/h, sono duecento metri. Bendati. Quando arriva una notifica sullo smartphone spiega Giannini, che forma operatori che vanno nelle scuole per parlare e coinvolgere gli studenti nella campagna per la sicurezza stradale e dirige un pronto soccorso psicologico che assiste le vittime degli incidenti e le loro famiglie siamo tutti tentati di dare immediatamente una risposta, pensiamo di poter governare tutto, auto e telefono. E invece ci si trasforma – senza neppure pensarci – in proiettili che vagano per centinaia di metri sulle nostre strade. E infatti distrazione, mancato rispetto della precedenza e velocit elevata – cio il “fattore umano” – sono la causa di due incidenti su cinque. Secondo i dati di Aci e Istat quest’anno da gennaio a giugno ci sono stati 81.437 incidenti stradali. Vuol dire + 24,7 per cento rispetto al 2021, quando per via delle restrizioni anti-Covid le strade erano pi vuote. Sono gi morte oltre 1.450 persone, ci sono stati 108.996 feriti. A questo ritmo, che confermato dalle notizie di cronaca che arrivano ogni giorno, a fine anno saranno peggiori di quelli del 2019, l’anno della “normalit” prima della pandemia.

Ogni tre ore

Per chi ama le statistiche il dato spaventoso: ogni tre ore muore una persona a causa di un incidente stradale. Ogni giorno otto vittime, persone che avevano un futuro da vivere, che potrebbero essere qui con noi e non ci sono pi. Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte tra i giovani: “un’epidemia silenziosa”, l’ha definita la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni nell’evento in ricordo di Francesco Valdiserri, il diciottenne falciato mentre camminava sul marciapiede in via Cristoforo Colombo a Roma il 20 novembre. La donna al volante poi risultata positiva all’alcoltest. Quando parliamo di incidenti, va anche aggiunto che, oltre a morti e feriti continua Giannini ci sono famiglie distrutte dal dolore, vittime indirette di gesti irresponsabili.

Responsabili a nostra insaputa

Eppure dalla rilevazione appena pubblicata dall’Anas, la societ che gestisce strade e autostrade, si ricava che mediamente chi guida non si considera responsabile di comportamenti inappropriati se non illegali. Lo studio descrive come ci sentiamo noi alla guida e come giudichiamo gli altri: dal telefonino al rispetto dei limiti di velocit, dall’attenzione a non bere se ci si mette al volante all’uso del casco, ci autopromuoviamo a pieni voti. Pi di otto, dei secchioni. Alla domanda “se bevo non guido”, ci diamo addirittura 8.7. Professoressa Giannini, come possibile? possibile perch molto spesso noi ci pensiamo pi bravi e soprattutto immuni quando succede qualcosa a qualcuno anche vicino a noi. Tendiamo a ragionare in modo difensivo. In un libro che ho scritto insieme al mio collega Fabio Lucidi abbiamo individuato il “paradosso del giovane guidatore” (che anche il titolo) cio il fenomeno secondo il quale ogni volta che un guidatore inesperto fa un’imprudenza senza pagarne le drammatiche conseguenze, si rafforza nella sua convinzione di essere immune dai rischi di incidente. E imputa agli altri la responsabilit di quello che succede sulla strada. E infatti, sempre dal medesimo rapporto dell’Anas, risultiamo severissimi con gli altri ai quali imputiamo tutti i comportamenti fuori legge o comunque pericolosi: non arriva alla sufficienza, al sei, il nostro giudizio su di loro. Soltanto sull’uso del casco in moto li promuoviamo con un voto del 6.7: Non un caso, proprio l’uso del casco una delle misure che sono state socialmente accettate e infatti la stragrande maggioranza dei motociclisti lo porta.

Le regole

Oltre al casco, obbligatorio dal 2000 per tutte le due ruote a motore, escluse bici elettriche e monopattini, ci sono state molte misure che hanno contribuito a rendere pi responsabili i guidatori, dagli alcoltest (2010) all’introduzione di norme pi dure per l’omicidio stradale nel 2016. I Comuni – non tutti ma molti – hanno installato tutor e autovelox, anche le auto pi nuove sono pi sicure in caso di incidente. E infatti rispetto a trenta-quarant’anni fa incidenti e vittime sono diminuite. Eppure, i numeri di questa strage silenziosa, di giovani soprattutto, faticano a scendere e restano inaccettabili.

In Europa

In Europa ci sono Paesi che dal 2019 hanno ridotto di oltre un quinto le vittime: Malta, Danimarca, Belgio Polonia, Spagna e Lituania. In Italia la diminuzione stata molto pi contenuta: -9,4 per cento se si contano i morti (da 3173 nel 2019 a 2851 nel 2021) e -11 per cento se si guardano i dati degli incidenti (da 172.183 a 151.175). Meglio di noi hanno fatto anche Portogallo, Germania, Repubblica Ceca, Cipro, Svezia e Austria. Nel periodo 2011-2021 in Europa le vittime sono diminuite del 31%: si sono salvate 57mila vite. In dieci anni Italia andata meno bene: gli incidenti sono diminuiti del 26,5 e le vittime del 26,2, un morto in meno ogni quattro. C’ ancora molto da fare.

Il pericolo

Sono soprattutto le citt ad essere pericolose: tre incidenti su quattro avvengono su strade urbane e una vittima sue due – non sorprende – era a piedi, in bici, in monopattino o in moto. Che cosa si pu ancora fare? Altre misure di contrasto possono sicuramente essere prese e innovazioni infrastrutturali sono fondamentali, ma poich moltissimo dipende dalla responsabilit personale necessario creare una vera e propria cultura del corretto modo di interagire sulle strade. L’educazione stradale in ogni ordine e grado della scuola decisiva ma va fatta in modo sistematico. Deve essere una battaglia di tutti noi. E sono importantissime le testimonianze: nella mia esperienza di formazione ed educazione una riflessione su queste tragedie arriva al cuore e serve pi di mille raccomandazioni.

RIPRODUZIONE RISERVATA

29 dicembre 2022 (modifica il 29 dicembre 2022 | 08:14)

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