La scuola non si riduca al voto. Sembra essere l’appello che arriva da più parti in vista del nuovo anno scolastico che inizierà a breve.
Infatti, come più volte riportato dalla nostra testata, anche recentemente, gli studenti si sentirebbero sempre più oppressi dalla pressione del voto, spesso trascurando il percorso di crescita personale e intellettuale. La questione non è nuova, ma sembra aver assunto connotazioni più gravi negli ultimi anni.
Sono già diverse le esperienze di scuole che hanno abolito il voto, proprio per cercare di alleggerire la pressione ai ragazzi e spostare l’attenzione su un apprendimento veramente attivo.
Ad esempio, ricorda l’Ansa, in due classi del liceo Classico Carducci di Milano lo scorso anno scolastico è stata sperimentata la didattica senza voti “che ha trovato il gradimento degli alunni e delle loro famiglie. Ci stiamo sforzando per creare un clima diverso” racconta il preside Andrea Di Mario.
Infatti, invece della classica valutazione, agli studenti venivano forniti degli appunti su punti di forza e debolezze della loro prova e consigli per migliorare.
“Dai registri elettronici abbiamo già eliminato i voti con il meno e il più, vorremmo togliere anche i mezzi e la media – spiega – e c’è bisogno di una didattica diversa. Non è che senza i voti riduciamo l’ansia. Ma la domanda che ci dobbiamo porre è: stiamo sfruttando l’intelligenza dei nostri ragazzi? No. Perché la didattica che c’è non va bene. E la valutazione è la cloaca di un sistema che non va bene“.
E anche la maturità “a che serve? La valutazione dovrebbero farla in entrata le università, farla noi in uscita non serve a niente“.
Nei giorni scorsi anche Raffaele Mantegazza, professore associato di Scienze Pedagogiche presso l’Università degli Studi Milano Bicocca, ha commentato la questione, invitando ad un nuovo corso per la scuola italiana: La pandemia ha privato gli studenti di esperienze vitali”, dice Mantegazza. “Eppure, anziché rivoluzionare l’approccio educativo, la scuola sembra insistere sulla sovraccarica di contenuti e pressioni”.
Altri esperti si sono espressi in merito. Ad esempio, lo psicologo Carlo Trionfi, direttore del Centro studi Famiglia di Milano, dice che “la richiesta degli studenti è di essere considerati nella loro globalità dalla scuola“, osserva. “L’apprendimento – aggiunge – deve passare attraverso il riconoscimento, anche di carattere affettivo: uno studente, per amare la materia, deve sentirsi amato dalla scuola“.
“Oggi il voto – commenta la psicologa di Sondrio Maria Cristina Silvestri che ha tenuto corsi per insegnanti e genitori – rischia spesso di risultare un giudizio sulla persona nella sua globalità“. Specie nei confronti di quegli studenti che vivono un ‘fallimento’ scolastico: “Chi perde un anno o viene rimandato – prosegue – viene etichettato come uno che vale di meno” mentre invece diventa fondamentale “sottolineare la necessità di basare la scuola sul principio di equità“.
Evitando il giudizio insito nel voto “per valorizzare le risorse di base, l’impegno e la capacità di apprendere. Il punto di partenza – prosegue ancora l’esperta- non è la valutazione ma gli sforzi nel correggersi che un alunno sviluppa nel corso degli studi. Siamo ancora lontani da una scuola di questo tipo e dall’eliminazione del voto“.
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