Il Sud Sudan tra George Clooney, papa Francesco e la maledizione del petrolio

Il Sud Sudan tra George Clooney, papa Francesco e la maledizione del petrolio

Spread the love

di Federico Rampini

Il greggio alimenta la corruzione e la guerra civile che imperversa dal 2013 scoraggia gli investimenti esteri necessari a sviluppare l’estrazione e la lavorazione dell’oro nero. Quale sar il destino del Paese?

Papa Francesco e George Clooney hanno almeno una cosa in comune: l’attenzione per la tragica sorte del Sud Sudan, la nazione pi giovane del mondo, un paese la cui nascita 12 anni fu circondata da grandi speranze, ma che oggi affonda nella corruzione petrolifera e nella guerra civile tra le due maggiori etnie. Un paese a maggioranza cristiano, ancorch circondato da nazioni islamiche, il che spiega l’importanza che ha avuto nell’ultimo viaggio del pontefice la tappa a Juba, capitale del Sud Sudan.

Prima che si spenga l’eco di questa visita papale in Africa approfitto dei riflettori che ha acceso, per fare il punto sul destino del Sud Sudan. Dove s’intrecciano il ruolo degli Stati Uniti, delle celebrity di Hollywood, e quello della diplomazia vaticana incluso l’attivismo della Comunit di Sant’Egidio (molto vicina a papa Bergoglio) che cerca di tenere in vita il dialogo tra le fazioni in lotta.

George Clooney merita di essere ricordato perch la sua mobilitazione umanitaria ebbe un ruolo dapprima nel sensibilizzare l’opinione pubblica americana alla tragedia del Darfur, il genocidio perpetrato nel Sudan occidentale a partire dal 2003, con 400.000 morti. In seguito l’attore divenne un paladino per la causa (ben distinta) della secessione del Sudan meridionale – a maggioranza nero e cristiano – dalla parte settentrionale del paese con capitale a Khartoum, dove dominano gli arabi e la religione islamica. L’attenzione di Hollywood contribu ad accrescere anche quella della Casa Bianca. Nel 2005 sotto l’Amministrazione di George W. Bush fu proprio il primo segretario di Stato afroamericano, Colin Powell, a firmare come garante gli accordi di pace tra i ribelli del Sud e il leader del Sudan Omar al-Bashir. In seguito (2009) quest’ultimo divenne il primo capo di Stato in carica ad essere incriminato dalla Corte penale internazionale per il suo ruolo nei massacri del Darfur.

Staccandosi dal Nord nel 2011 in seguito a un referendum con il 99% dei consensi per la separazione, il Sud Sudan port in dote nella nuova nazione una popolazione di 11 milioni di abitanti (di cui sei milioni ufficialmente cattolici), e una ricchezza petrolifera teoricamente immensa: mentre il territorio che si separato rappresenta un quarto dell’ex Sudan intero, in quella parte meridionale che si trovano i tre quarti dei giacimenti di greggio del Sudan pre-secessione. Ma questa ricchezza pi teorica che reale. Anzitutto perch il Sud Sudan rimane dipendente dal suo vicino settentrionale sul cui territorio transitano gli oleodotti che servono a distribuire ed esportare il greggio una volta estratto; e i due governi di Juba e Khartum litigano spesso sulle tariffe di uso degli oleodotti (un po’ come accadde a lungo tra Russia e Ucraina). Inoltre perch la guerra civile che imperversa dal 2013 (scoppi appena un biennio dopo l’indipendenza) scoraggia quegli investimenti esteri necessari a sviluppare l’estrazione e la lavorazione del petrolio: tant’ che oggi la produzione del Sud Sudan appena un decimo di quella della Nigeria, primo produttore di energia in Africa.

Il petrolio anche uno dei carburanti che alimenta la rivalit tra le due maggiori etne del paese: i Dinka che rappresentano il 36% della popolazione, guidati dal presidente Salva Kiir, e i Nuer che sono il 16% ed hanno come leader Riek Machar. Tutti cristiani ma fieramente avversi tra loro, e decisi ad accaparrarsi i proventi del petrolio. Il greggio alimenta una corruzione spaventosa e Juba una citt di stridenti contrasti, dove gli inviati al seguito del papa hanno trovato hotel a cinque stelle, prezzi carissimi, casin con vista sul Nilo dove si affollano ricchi clienti cinesi. L’ong Transparency International l’anno scorso classificava il Sud Sudan come primo assoluto nella lista dei paesi pi corrotti del pianeta; quest’anno scivolato al secondo posto solo perch lo ha superato la Somalia. Qualche sud-sudanese col petrolio si arricchisce moltissimo; la stragrande maggioranza tagliata fuori dal bottino della rapina.

Il disamore degli occidentali per le cause nobili ha colpito ancora. Delusa per le spaventose ruberie dei governanti di Juba, l’Amministrazione Biden continua a versare un miliardo di dollari di aiuti al Sud Sudan e ne rimane il principale donatore, per ha bloccato gli aiuti non indispensabili per scopi umanitari erogati dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale. George Clooney da sostenitore dell’indipendenza diventato un fustigatore della corruzione dei politici locali. Lo stesso papa che sostiene gli sforzi di Sant’Egidio per la pacificazione, nella sua tappa a Juba ha avuto parole durissime contro i politici ladri. Ma l’attenzione dell’Occidente effimera e sottile anche perch difficile applicare a questa tragedia il teorema abituale secondo cui tutta colpa nostra. In realt se nel Sud Sudan le etne rivali smettessero di combattersi per mettere le mani sulla rendita petrolifera, una pace potrebbe attirare le imprese multinazionali, aumentare la produttivit dell’industria energetica, e creare quella ricchezza nuova che oggi manca crudelmente nel bilancio di 12 anni di indipendenza.

6 febbraio 2023 (modifica il 6 febbraio 2023 | 18:36)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.