Telemedicina, tanti i progetti in corso ma serve coinvolgere di più i pazienti

Telemedicina, tanti i progetti in corso ma serve coinvolgere di più i pazienti

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di Ruggiero Corcella

Una ricerca di Altems-Università Cattolica ne ha censiti 285. Però l’analisi rivela anche carenze in termini di informazione per i destinatari e difficoltà nell’utilizzo

Nei prossimi 18 mesi aziende sanitarie, ospedali e case di cura prevedono di avviare progetti di telemedicina. In una delle tante declinazioni del prefisso «tele» (visita, monitoraggio, consulto, collaborazione), senza dimenticare però il triage (valutazione e selezione rapida dei pazienti in fase di emergenza) e l’assistenza domiciliare integrata. Lo dice il 60% dei responsabili di 128 aziende sanitarie (rappresentative di 327 presidi) coinvolti in uno studio sulle soluzioni di telemedicina implementate e/o in corso di sviluppo lanciato dal Laboratorio sui Sistemi informativi sanitari di Altems, in collaborazione con il Centro di ricerche e studi in management sanitario (Cerismas) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Obiettivo dell’indagine era ottenere una fotografia degli scenari attuali.

La pandemia ha fatto da «booster»

Se è vero che l
a pandemia ha impresso una svolta nell’utilizzo della medicina a distanza
, la ricerca rileva come solo il 53% di quelle riferite sia stato avviato durante la stessa. Dunque l’interesse nei confronti di queste soluzioni esisteva già da tempo e adesso le Indicazioni nazionali sull’erogazione delle prestazioni in telemedicina e il Piano nazionale di ripresa e resilienza offrono gli strumenti per consolidarle.

«Considerata l’esigenza di estrema rapidità nell’implementazione, le soluzioni realizzate si sono basate su strumenti e tecnologie molto differenti (a partire dal semplice contatto telefonico) e sono state in gran parte circoscritte al supporto a singole attività di cura e assistenza, indipendentemente dal contesto complessivo del percorso di cura del paziente», spiegano Fabrizio Massimo Ferrara, Andrea Fracasso e Sara Consilia Papavero di Altems.

«L’obiettivo principale, adesso, deve quindi essere quello di
“mettere a sistema” quanto creato sotto la spinta dell’emergenza
, per integrare le soluzioni realizzate all’interno dei processi clinico-assistenziali e poter capitalizzare sui risultati raggiunti utilizzandoli come base per i successivi passi di evoluzione digitale del sistema sanitario», aggiungono.

«Mali antichi»

Delle 285 soluzioni di telemedicina descritte, due terzi sono dedicate al supporto e all’interazione a distanza con i pazienti e le altre a forme di collaborazione con i servizi socio-sanitari del territorio. Dall’analisi emergono però una serie di «mali» già noti: la struttura organizzativa delle aziende intervistate non si presenta particolarmente completa e omogenea, in particolare per quanto riguarda l’attenzione agli aspetti più propriamente clinici e assistenziali.

Anche gli elementi più strutturali del sistema informativo sanitario nel suo complesso si presentano in gran parte frammentati, così da condizionare in modo significativo la continuità dei processi clinico-organizzativi sia all’interno della struttura sia, a maggior ragione, nelle evoluzioni sul territorio.

Troppe applicazioni, su carta ancora la maggioranza dei dati

Tutto questo in un inevitabile proliferare di applicazioni: il 60% delle aziende non è in grado di specificare il numero di quelle (e di basi dati) esistenti nell’azienda; nel rimanente 40% dei casi viene indicata approssimativamente una media di circa 40 sistemi distinti, con picchi di oltre 100. Senza considerare tutte quelle applicazioni prettamente locali, ad esempio per l’interazione con singoli dispositivi condivisi (ecografi, elettrocardiografi, etc.), sempre più diffusi e rilevanti. Conseguenza di questo scenario è che la gestione cartacea rimane predominante e che due terzi delle aziende dichiara di gestire in forma digitale meno del 50% dei dati sanitari dei pazienti. In questo quadro, senza una strategia di integrazione e condivisione dei dati, la transizione digitale si presenta un processo lungo e molto complesso.

Il ruolo dei pazienti

Ma che cosa ne pensano i pazienti? A guardare le associazioni che li rappresentano il consenso sembra essere ampio. Un’indagine dal titolo «La sanità del futuro. I messaggi delle associazioni di pazienti per l’epoca Covid-19», condotta dal Patient advocacy lab (Pal) di Altems – Università Cattolica del Sacro Cuore, conferma che sono le associazioni stesse ad indicare l’uso della telemedicina come una delle priorità di un servizio sanitario rinnovato. I risultati della survey di Altems parlano però di difficoltà e scarso coinvolgimento dei pazienti: poca informazione dedicata a loro e problemi nell’uso dei sistemi e dei dispositivi. «La stessa indagine poi rileva che solo nel 18% dei casi sono state coinvolte le associazioni dei pazienti relative alla patologia trattata», sottolinea Teresa Petrangolini, direttore di Patient advocacy lab.

«Dunque siamo di fronte ad una strada percorribile, addirittura auspicata. Ma non diventerà una strada praticata se le aziende sanitarie non capiranno che, oltre a migliorare la propria organizzazione interna, sono chiamate a coinvolgere i pazienti mettendoli nelle condizioni di conoscere, capire e auspicare l’uso della telemedicina, dando loro gli strumenti più consoni, rispettando le loro esigenze», aggiunge Petrangolini.

17 marzo 2022 (modifica il 17 marzo 2022 | 19:22)

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, 2022-03-17 18:28:00, Una ricerca di Altems-Università Cattolica ne ha censiti 285. Però l’analisi rivela anche carenze in termini di informazione per i destinatari e difficoltà nell’utilizzo , Ruggiero Corcella

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