La terra  promessa del Pd

La terra promessa del Pd

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editoriale Mezzogiorno, 10 novembre 2022 – 09:51 di Fabio Calenda L’immagine biblica della traversata del deserto proposta da Letta è insieme onesta e suggestiva: onesta, in quanto non dissimula le attuali difficoltà del suo partito; suggestiva, nell’individuare la durata del percorso. I cinque mesi previsti per il congresso di rifondazione equivalgono al giorno d’oggi ai quaranta anni di peregrinazioni degli ebrei nel Sinai. La metafora è illuminante anche per altri spunti. Durante l’impervio cammino, Mosè dovette fare i conti con la riottosità dei propri seguaci, reclamanti il ritorno in Egitto. «Dove almeno sedevamo presso le pignatte di carne e mangiavamo pane a sazietà, invece di essere condotti in questo deserto a morire di fame! (Esodo, 16, 4)». Il Patriarca la spuntò a fatica sulle resistenze al cambiamento del suo popolo, superando i suoi stessi dubbi e incertezze, determinato a raggiungere «la terra dove scorre il latte e il miele». Un luogo fertile e sicuro, dove costruire (o ricostruire?) l’identità di una nazione. Acquista quindi particolare rilevanza la traiettoria necessaria per giungere all’approdo auspicato, dalle coordinate ancora non ben definite. La direzione di marcia è suggerita da Mario Rusciano in un interessante articolo su queste colonne (I tormenti dei democrat 2910), nel quale delinea le vicende recenti del partito, senza concedere sconti, ma sfatando luoghi comuni propagandistici contrari, e individua infine la bussola per orientarlo nella «traversata», ovvero i tre «pilastri su cui fondare una ferma opposizione». Primo pilastro, «la difesa della Costituzione antifascista». Ovvio, ci mancherebbe! L’attributo tuttavia è pleonastico, a meno che non intenda alludere alla minaccia fascista, che ha impregnato gran parte della campagna elettorale più inefficace della sua storia, condotta dal Pd: minaccia percepita giustamente dall’elettorato come tentativo, tanto ricorrente quanto strumentale, per delegittimare gli avversari. Nonché del tutto estraneo ai gravi problemi che affliggono la gente. Secondo pilastro, «opposizione al presidenzialismo, anticamera dell’autoritarismo». Qui occorre intendersi. La difficoltà dei governi di ogni colore a svolgere il proprio compito è stata da lungo tempo ampiamente certificata, tanto da suscitare iniziative di cambiamento, regolarmente naufragate. Personalmente, sono contrario al presidenzialismo, ma ritengo ineludibile una riforma costituzionale, volta a imprimere maggiore snellezza alle procedure legislative e incisività all’esecutivo. Tema delicato, da gestire ponderando pesi e contrappesi, non da stigmatizzare, come sempre è accaduto, quale presupposto di svolte autoritarie. Di più stringente attualità il terzo pilastro, intorno al quale già rullano i tamburi: «Lotta all’autonomia differenziata che mortifica il Mezzogiorno». Non è detto, se concepita in modo da imprimere maggiore responsabilità ed efficienza nella spesa e da equità nei criteri di ripartizione delle risorse. Ci sarà da combattere per contemperare trasparenza con solidarietà, ma ne vale la pena, trattandosi di obiettivi non necessariamente in conflitto. Tenuto conto che l’autonomia va rivista anche alla luce delle ben note disfunzionalità prodotte dalla riforma del 2001 in tema di legislazione concorrente, causa di strapotere di interdizione da parte di sultanati – superfluo citare esempi dalle nostre parti -, nonché di sprechi di cui viene presentato il conto allo Stato. Piuttosto che individuare la direzione di una traversata, i pilastri sembrano mappare un’area di arroccamento identitario: i primi due, su valori ormai del tutto (o quasi) assodati a livello sociale, quali l’antifascismo e l’antiautoritarismo; il terzo, in difesa pregiudiziale dello status quo. Eppure, prima delle conclusioni, l’Autore aveva individuato la bussola per orientare la rifondazione del partito: «Capire la realtà di un Paese in sofferenza, andando tra la gente al Nord e al Sud». Certo, una bussola più complicata da mettere a punto rispetto a parole d’ordine gratificanti. Che richiede l’assunzione di opzioni chiare, spesso scomode. In favore di uno sviluppo basato su occupazione e dignità, anziché su elargizioni e sussidi; di un’istruzione atta ad assicurare cultura e competenza, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per attenuare le diseguaglianze, soprattutto al Sud; di una sanità pubblica funzionante, per evitare i costi del ricorso al privato; di non lasciare alla destra il monopolio del merito e della sicurezza, ambedue cause non secondarie della sconfitta elettorale. Idee e strumenti idonei ad affrontare queste e altre simili sfide sono già in larga misura delineati. Per superarle occorre battere il conformismo culturale annidato tra le sue file, nonché la demagogia imperante presso i 5 Stelle, concorrenti a sinistra. Altrimenti il partito sarà destinato a vagabondare nel deserto, oppure ripiegare nell’irrilevanza del soggiorno in Egitto. E «la terra in cui scorre il latte e il miele» resterà un miraggio. 10 novembre 2022 | 09:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-10 08:51:00, editoriale Mezzogiorno, 10 novembre 2022 – 09:51 di Fabio Calenda L’immagine biblica della traversata del deserto proposta da Letta è insieme onesta e suggestiva: onesta, in quanto non dissimula le attuali difficoltà del suo partito; suggestiva, nell’individuare la durata del percorso. I cinque mesi previsti per il congresso di rifondazione equivalgono al giorno d’oggi ai quaranta anni di peregrinazioni degli ebrei nel Sinai. La metafora è illuminante anche per altri spunti. Durante l’impervio cammino, Mosè dovette fare i conti con la riottosità dei propri seguaci, reclamanti il ritorno in Egitto. «Dove almeno sedevamo presso le pignatte di carne e mangiavamo pane a sazietà, invece di essere condotti in questo deserto a morire di fame! (Esodo, 16, 4)». Il Patriarca la spuntò a fatica sulle resistenze al cambiamento del suo popolo, superando i suoi stessi dubbi e incertezze, determinato a raggiungere «la terra dove scorre il latte e il miele». Un luogo fertile e sicuro, dove costruire (o ricostruire?) l’identità di una nazione. Acquista quindi particolare rilevanza la traiettoria necessaria per giungere all’approdo auspicato, dalle coordinate ancora non ben definite. La direzione di marcia è suggerita da Mario Rusciano in un interessante articolo su queste colonne (I tormenti dei democrat 2910), nel quale delinea le vicende recenti del partito, senza concedere sconti, ma sfatando luoghi comuni propagandistici contrari, e individua infine la bussola per orientarlo nella «traversata», ovvero i tre «pilastri su cui fondare una ferma opposizione». Primo pilastro, «la difesa della Costituzione antifascista». Ovvio, ci mancherebbe! L’attributo tuttavia è pleonastico, a meno che non intenda alludere alla minaccia fascista, che ha impregnato gran parte della campagna elettorale più inefficace della sua storia, condotta dal Pd: minaccia percepita giustamente dall’elettorato come tentativo, tanto ricorrente quanto strumentale, per delegittimare gli avversari. Nonché del tutto estraneo ai gravi problemi che affliggono la gente. Secondo pilastro, «opposizione al presidenzialismo, anticamera dell’autoritarismo». Qui occorre intendersi. La difficoltà dei governi di ogni colore a svolgere il proprio compito è stata da lungo tempo ampiamente certificata, tanto da suscitare iniziative di cambiamento, regolarmente naufragate. Personalmente, sono contrario al presidenzialismo, ma ritengo ineludibile una riforma costituzionale, volta a imprimere maggiore snellezza alle procedure legislative e incisività all’esecutivo. Tema delicato, da gestire ponderando pesi e contrappesi, non da stigmatizzare, come sempre è accaduto, quale presupposto di svolte autoritarie. Di più stringente attualità il terzo pilastro, intorno al quale già rullano i tamburi: «Lotta all’autonomia differenziata che mortifica il Mezzogiorno». Non è detto, se concepita in modo da imprimere maggiore responsabilità ed efficienza nella spesa e da equità nei criteri di ripartizione delle risorse. Ci sarà da combattere per contemperare trasparenza con solidarietà, ma ne vale la pena, trattandosi di obiettivi non necessariamente in conflitto. Tenuto conto che l’autonomia va rivista anche alla luce delle ben note disfunzionalità prodotte dalla riforma del 2001 in tema di legislazione concorrente, causa di strapotere di interdizione da parte di sultanati – superfluo citare esempi dalle nostre parti -, nonché di sprechi di cui viene presentato il conto allo Stato. Piuttosto che individuare la direzione di una traversata, i pilastri sembrano mappare un’area di arroccamento identitario: i primi due, su valori ormai del tutto (o quasi) assodati a livello sociale, quali l’antifascismo e l’antiautoritarismo; il terzo, in difesa pregiudiziale dello status quo. Eppure, prima delle conclusioni, l’Autore aveva individuato la bussola per orientare la rifondazione del partito: «Capire la realtà di un Paese in sofferenza, andando tra la gente al Nord e al Sud». Certo, una bussola più complicata da mettere a punto rispetto a parole d’ordine gratificanti. Che richiede l’assunzione di opzioni chiare, spesso scomode. In favore di uno sviluppo basato su occupazione e dignità, anziché su elargizioni e sussidi; di un’istruzione atta ad assicurare cultura e competenza, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per attenuare le diseguaglianze, soprattutto al Sud; di una sanità pubblica funzionante, per evitare i costi del ricorso al privato; di non lasciare alla destra il monopolio del merito e della sicurezza, ambedue cause non secondarie della sconfitta elettorale. Idee e strumenti idonei ad affrontare queste e altre simili sfide sono già in larga misura delineati. Per superarle occorre battere il conformismo culturale annidato tra le sue file, nonché la demagogia imperante presso i 5 Stelle, concorrenti a sinistra. Altrimenti il partito sarà destinato a vagabondare nel deserto, oppure ripiegare nell’irrilevanza del soggiorno in Egitto. E «la terra in cui scorre il latte e il miele» resterà un miraggio. 10 novembre 2022 | 09:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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