Tomas e il «Signor B», un italiano con il sogno dell’Nba

Tomas e il «Signor B», un italiano con il sogno dell’Nba

Spread the love

di Flavio Vanetti

Il sogno di Woldetensae, eritreo di Bologna, cittadino del nostro Paese a 18 anni. La fuga della madre dalla guerra per salvare il figlio. Fino all’incontro con Alfio Benazzi che gli cambia la vita. Gli studi di interior design: «Andare sempre incontro alle sfide e non mollare mai»

U na lettera quale segno di riconoscenza. Una lettera sulla maglia da gioco per dimostrare che anche in un piccolo gesto ci può essere la gratitudine: «Il mio padre naturale è come se non fosse mai esistito: porto il cognome di mia madre che mi ha cresciuto. Ma nella nostra vita è entrata una persona speciale. Voglio allora che la gente sappia il motivo per cui sul retro della mia canotta c’è anche una “B”: è dedicata a quell’uomo che è stato così generoso da adottarci e da nominarci eredi».

Tomas Woldetensae, anzi B. Woldetensae, è un ragazzo di colore che lo scorso 30 aprile ha compiuto 24 anni e che ha appena concluso il campionato di serie A di basket con la Openjobmetis Varese, nella quale è approdato a gennaio da Chieti. Ha radici eritree, ma è nato a Bologna ed è italiano: «A 18 anni ho finalmente ottenuto la cittadinanza» dice sorridendo e domandandosi come mai lo «ius soli» da noi sia applicato solo in casi eccezionali. Questo è un aspetto della storia, legata piuttosto a quella della madre Zaid, classe 1964, «single mother», scappata dall’Eritrea a causa della guerra e arrivata da conoscenti a Bologna, dove si è guadagnata da vivere con i lavori domestici. Ma c’è dell’altro: «Mamma mi ha dato un libro sull’indipendenza eritrea. Ho così scoperto che Bologna è stata un sito di incontri per organizzazioni che supportavano la comunità. Il libro parla pure del ruolo delle donne che destinavano una percentuale degli stipendi per aiutare chi andava al fronte. I contributi confluivano da tutta Europa ed è per questo che in Eritrea tanti bar si chiamano Bologna». Flash back nel passato.

Zaid Woldetensae sceglie l’Italia e quando nasce Tomas è costretta ad arrangiarsi: «Mio padre, a sua volta eritreo, è stato una “assenza”, non una “presenza”. Viveva un po’ a Roma e un po’ chissà dove. Il ricordo più vivo che ho sono i due giorni che ha trascorso con noi quando avevo 6 anni: poi è scomparso, oggi non so dov’è e che cosa fa». Nonostante lo scenario precario, la situazione non gli è pesata: «Non mi sono sentito diverso da altri giovani perché anche dal lato degli zii c’era una madre single: ho ammirato i due cugini, sono stati dei mentori». La svolta avviene per caso. La mamma di Tomas prende sempre l’autobus per andare a lavorare. Ogni giorno incontra Alfio Benazzi, un ex dentista ottantenne che vive con una moglie malata e una badante. Quando la compagna muore e l’assistente se ne va, l’uomo propone a Zaid di dargli una mano. «L’offerta riguardava pure me: così la coppia è diventata un trio». Tomas nel frattempo ha cominciato con il basket, avendo l’Nba come sogno nel segno del mito di Kobe Bryant: «Quando perì nel crash del suo elicottero ero reduce da una partita in cui avevo giocato molto bene. Ebbi uno sbalzo d’umore devastante, avevo l’ambizione di conoscere Kobe». Grazie alla sua cocciutaggine, negli Usa ci va a 16 anni. Non una scelta facile, se ti avventuri da solo: 2 anni di high school, poi 2 in junior college e 2 a Virginia, campione in carica Ncaa, dopo essere stato cercato da tutte le migliori università. Però Woldetensae è sfortunato perché prima arriva il Covid a frenare i campionati e poi, l’anno dopo, Virginia viene eliminata al primo turno della fase finale.

Però il ragazzo di Bologna ci sa fare ed è protagonista. Quel percorso di crescita prosegue ora a Varese (contratto di tre anni) e per lui potrebbe esserci la chiamata in Nazionale. Se un giorno sbarcherà tra i «pro», Tomas si completerà sul piano professionale, detto che si è creato un’alternativa grazie agli studi di «interior design»: «Amo l’arte in genere, però la creatività adesso la spendo sul parquet». Intanto ha chiuso il cerchio di ordine umano, nel ricordo di Alfio Benazzi: «È stato così influente da essersi meritato la “B” sulla maglia. Posso dire di avere avuto un padre dai 14 anni in poi? Chiamarlo così è forte, il papà avrei dovuto averlo fin dall’inizio. Ma è stato una persona fondamentale, alla quale devo riconoscenza». Gliela deve pure per la lezione di vita imparata: «La morale è che si deve andare contro le sfide, senza arretrare: il guadagno è maggiore della perdita»

19 maggio 2022 (modifica il 19 maggio 2022 | 01:49)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-05-18 23:51:00, Il sogno di Woldetensae, eritreo di Bologna, cittadino del nostro Paese a 18 anni. La fuga della madre dalla guerra per salvare il figlio. Fino all’incontro con Alfio Benazzi che gli cambia la vita. Gli studi di interior design: «Andare sempre incontro alle sfide e non mollare mai» , Flavio Vanetti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.