Torino, tassista aggredito. Il figlio: «Giustizia per mio papà, ucciso in strada per una collanina»

Torino, tassista aggredito. Il figlio: «Giustizia per mio papà, ucciso in strada per una collanina»

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di Massimiliano Nerozzi

Pasquale Di Francesco era stato picchiato in piazza Bengasi la notte del 23 giugno ed è morto dopo 73 giorni di coma. E si affaccia anche l’ipotesi di una colpa medica

Cerco solo giustizia per mio papà, non vendetta, per sapere come sono andate le cose e se qualcuno ha sbagliato, dice il figlio di Pasquale Di Francesco, il tassista di 63 anni morto lo scorso 22 ottobre, dopo 73 giorni di coma. Era finito alle Molinette dopo essere stato aggredito e picchiato in piazza Bengasi, la notte del 23 giugno, episodio che aveva poi spalancato un tragico e surreale via-vai da pronto soccorso e ospedali, con in mezzo un’altra operazione, oltre all’intervento chirurgico fatale. Storia intricata e per la quale, al momento, il pubblico ministero Alessandra Provazza ha indagato una donna di 26 anni e due uomini di 28, accusati di rapina e morte come conseguenza di altro delitto. Ora s’affaccia pure l’ipotesi di una responsabilità medica, che potrebbe aver concorso nel decesso del tassista: ipotesi che i legali del figlio e di sua sorella — gli avvocati Davide Neboli e Sabrina La Corte — vogliono verificare. Anche con una consulenza medico-legale affidata al dottor Andrea De Nicolò, che oltre ai risultati dell’autopsia, esaminerà la documentazione clinica della vittima.

Che persona era suo papà?

«Un papà coraggioso e sempre presente, nonostante il lavoro. Faceva il tassista da quasi vent’anni, quando io ero piccolo, sempre il turno di notte. Ma se ci doveva portare da qualche parte, o se c’era il pranzo dai nonni, non andava neppure a dormire».

Perché la notte?

«C’era meno traffico, un aspetto che, se fai il tassista, ti agevola il lavoro. Anche se poi, ovviamente, i clienti sono quel che sono: cioè, potevano capitarti di ogni genere».

Per esempio?

«Fin da quando ero piccolo, io chiedevo e lui raccontava. Operatori sanitari, panettieri, personaggi dello spettacolo. Poi, certo, a volte qualche persona un pochino malfamata: non è che ti scegli la clientela».

Mai avuto problemi prima di questa tragedia?

«No. Capitavano persone magari un po’ così, ma che pagavano sempre: in fondo, si trattava di portarle da un punto A a un punto B. Sui clienti non faceva discriminazioni».

Tra gli aggressori di suo papà ci sarebbe una ragazza: cosa le aveva raccontato?

«Era di quella zona, piazza Bengasi, e capitava che la trasportasse: lei ha sempre pagato le corse».

E invece quella notte cos’è successo?

«Lei era un pochino alterata, e anche il ragazzo che l’accompagnava. Lui gli aveva strappato la collanina, quella che era di suo papà, mio nonno, e che portava da quando era morto. Ci teneva».

Era dispiaciuto per quello?

«Aveva provato a ritrovarla, cercando e chiedendo in giro».

Cos’è accaduto la sera seguente?

«L’hanno nuovamente aggredito, e picchiato, con calci e pugni in testa».

Perché?

«Forse rivoleva la collanina, non so. Non mi sembra si possano ipotizzare comportamenti razionali da gente che ti aggredisce e ti ammazza in mezzo alla strada. Persone che non si fanno molti problemi».

Lei come l’ha saputo?

«Mi ha chiamato dal pronto soccorso, per andarlo a prendere».

Come stava?

«Aveva il viso con i segni dell’aggressione e una ferita alla testa. Ma quando siamo tornati a casa, credevo che fosse finita lì».

E invece?

«Io e mia sorella gli siamo stati vicino, sembrava in ripresa, ma poi diceva che aveva continuamente mal di testa, tanto che un giorno era tornato a farsi a controllare».

Poi com’è andata?

«Ero andato via per lavoro e quando l’ho rivisto, il 31 luglio, era molto più giù: soffriva per i dolori alla testa».

Possibile abbia subito altri traumi, a casa?

«No. Anche perché, ogni volta, controllavo che la garza fosse messa bene sulla ferita: era dietro al capo, e lui da solo non avrebbe potuto vederla. Se si fosse fatto altre lesioni, magari cadendo, me ne sarei certamente accorto».

Cosa avete fatto?

«Abbiamo chiamato l’ambulanza. All’ospedale ci dicono che aveva un ematoma e lo operano. E per un po’, sembrava rinato: uno, giustamente, si fida».

Invece?

«L’hanno mandato a casa dopo tre giorni. Ma continuava ad avere dolori alla testa: ci dissero che era normale».

Quindi?

«Stava male, non era lucido. Altra ambulanza, sempre alle Molinette. L’hanno operato di nuovo il 10 agosto, e non si è più risvegliato».

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3 novembre 2022 (modifica il 3 novembre 2022 | 20:40)

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, 2022-11-03 20:25:00, Pasquale Di Francesco era stato picchiato in piazza Bengasi la notte del 23 giugno ed è morto dopo 73 giorni di coma. E si affaccia anche l’ipotesi di una colpa medica, Massimiliano Nerozzi

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