Mezzogiorno, 29 maggio 2022 – 08:25 di Mario Rusciano «Fibrillazione» è termine cardiologico utilizzato metaforicamente per segnalare il susseguirsi, su importanti scelte politiche, di continue tensioni: tra e dentro i Partiti che sostengono il Governo Draghi. La metafora è azzeccata: l’eterogenea maggioranza governativa, litigiosa e instabile, rischia di bloccare l’azione del Governo o addirittura di porvi fine. Lo stesso fa la fibrillazione: altera il ritmo cardiaco, ostacola la regolarità della circolazione sanguigna, provoca la paralisi della struttura o, in casi gravi, la morte istantanea. Questo malessere del «corpo politico» si trasferisce sul «corpo istituzionale», cioè sui «poteri» costituzionali, pilastri della democrazia. Esistono tensioni tra Governo e Parlamento, che gruppi o singoli parlamentari tengono a rendere palesi per differenziarsi. Mentre le tensioni tra Governo, Parlamento e Magistratura restano in genere sotto traccia, benché siano molti e gravi i problemi della giustizia. Basta ricordare il recente «sciopero politico» dei Magistrati e l’attesa preoccupata dei risultati referendari del 12 giugno sui problemi medesimi. Nel complicato rapporto dialettico tra Parlamento e Governo — a parte l’opposizione di Giorgia Meloni — spicca la critica di Giuseppe Conte. Che non perde occasione di rimproverare a Draghi la scarsa attenzione al Parlamento: dove — lo ricorda e rivendica — il M5S ha la maggioranza relativa (in verità, dopo tante defezioni, poco rappresentativa). Del resto, in un periodo difficile come quello in cui viviamo, le occasioni non mancano: per esempio le posizioni sulla guerra, specie l’invio di armi all’Ucraina, su cui Conte e Salvini sono sulla stessa linea. Coll’unica differenza che Salvini vuole ora salvare la pace andando a trovare privatamente Putin. Mah! Ci sono poi le riforme cui l’Ue condiziona le varie tranches del Next Generation Eu : concorrenza e concessioni balneari, catasto, fisco, giustizia. Tutte materie con nodi complicati e destinati a intricarsi coll’avvicinarsi di nuove campagne elettorali: l’imminenza del 12 giugno, in cui si vota ai referendum e al rinnovo di alcune amministrazioni locali (tra cui l’importantissima Regione Siciliana). E poi la scadenza elettorale del 2023, meno ravvicinata ma decisiva, dopo l’esperienza dell’attuale Governo, certo politicamente anomala. È evidente che, in un contesto del genere, pretendere che «questi» partiti esprimano idee chiare e distinte è una pia illusione. Nel Mezzogiorno poi, alle nazionali, s’aggiungono le fibrillazioni locali: in Campania, per esempio, Carfagna ha organizzato un grande forum sul Sud che De Luca ha disertato. Difficile capire esattamente cosa divide il Ministro del Mezzogiorno e il Presidente campano: due istituzioni che, per noi cittadini, avrebbero il dovere di collaborare nell’interesse generale della crescita e dello sviluppo meridionale. Non sarà che litigano nel proprio interesse alla conquista elettorale del medesimo territorio? Né più né meno di come fanno presunti leader e capibastone di partitini e liste civiche? Stranamente però, nonostante tante fibrillazioni, il Governo più d’una volta è parso sull’orlo del precipizio, senza però mai cadere: almeno finora. Per quale magia rimane sempre in piedi? In realtà nessuna magia! C’è soltanto il paradosso del rapporto singolare tra Draghi (che è un «senza-partito») e i partiti: sono ostaggio l’uno degli altri e viceversa. La debolezza politica dei partiti che sostengono il Governo è compensata dalla forza istituzionale di Draghi, che comunque dei partiti, per Costituzione, non può fare a meno. Egli però, da tecnico prestato alla politica, non deve preoccuparsi di elezioni vicine o lontane, ma solo di obiettivi da raggiungere — persino entro fine-maggio — e di come conservare fiducia e credibilità dell’Ue. Si spiega così la convocazione ad horas di un Consiglio dei Ministri, durato dieci minuti, solo per rinfacciare ai partiti un’incredibile contraddizione, su cui nessuno ha fiatato. I Ministri sono espressi dai partiti e condividono i provvedimenti del Governo nel Consiglio dei Ministri. Come possono i parlamentari degli stessi partiti, e talora financo i loro leader , manifestare un contrario avviso? In effetti Draghi sa bene che nessun partito può far cadere il Governo mentre s’imposta e realizza il Pnrr, col probabile rischio d’esser penalizzato alle elezioni: non verrebbe perdonato chi fa perdere al Paese un mucchio di miliardi. Tuttavia, da parte sua, il Presidente del Consiglio deve badare sia al consenso del Parlamento sia alla sua reputazione, messa in gioco nell’emergenza del Paese su invito del Capo dello Stato. Perciò non può certo tirare troppo la corda, deve anzi mediare il più possibile e arrivare a un risultato accettabile sia dai partiti sia dall’Ue. Mediazioni ovviamente difficilissime se si affrontano problemi strutturali, causa dei ritardi e delle anomalie italiane. Qui affiorano le reali differenze tra destra e sinistra e tra i valori che ne connotano l’identità: come l’eguaglianza delle opportunità, la giustizia sociale, la dignità e sicurezza del lavoro ecc. Il vero timore dei cittadini è che, a furia di mediare e cercare compromessi, per giunta col fiato sul collo della scadenza temporale, le riforme vengano fuori raffazzonate e frettolose. In una parola che a essere sacrificata sia la buona fattura della legislazione riformatrice, con effetti imprevedibili. 29 maggio 2022 | 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-29 06:26:00, Mezzogiorno, 29 maggio 2022 – 08:25 di Mario Rusciano «Fibrillazione» è termine cardiologico utilizzato metaforicamente per segnalare il susseguirsi, su importanti scelte politiche, di continue tensioni: tra e dentro i Partiti che sostengono il Governo Draghi. La metafora è azzeccata: l’eterogenea maggioranza governativa, litigiosa e instabile, rischia di bloccare l’azione del Governo o addirittura di porvi fine. Lo stesso fa la fibrillazione: altera il ritmo cardiaco, ostacola la regolarità della circolazione sanguigna, provoca la paralisi della struttura o, in casi gravi, la morte istantanea. Questo malessere del «corpo politico» si trasferisce sul «corpo istituzionale», cioè sui «poteri» costituzionali, pilastri della democrazia. Esistono tensioni tra Governo e Parlamento, che gruppi o singoli parlamentari tengono a rendere palesi per differenziarsi. Mentre le tensioni tra Governo, Parlamento e Magistratura restano in genere sotto traccia, benché siano molti e gravi i problemi della giustizia. Basta ricordare il recente «sciopero politico» dei Magistrati e l’attesa preoccupata dei risultati referendari del 12 giugno sui problemi medesimi. Nel complicato rapporto dialettico tra Parlamento e Governo — a parte l’opposizione di Giorgia Meloni — spicca la critica di Giuseppe Conte. Che non perde occasione di rimproverare a Draghi la scarsa attenzione al Parlamento: dove — lo ricorda e rivendica — il M5S ha la maggioranza relativa (in verità, dopo tante defezioni, poco rappresentativa). Del resto, in un periodo difficile come quello in cui viviamo, le occasioni non mancano: per esempio le posizioni sulla guerra, specie l’invio di armi all’Ucraina, su cui Conte e Salvini sono sulla stessa linea. Coll’unica differenza che Salvini vuole ora salvare la pace andando a trovare privatamente Putin. Mah! Ci sono poi le riforme cui l’Ue condiziona le varie tranches del Next Generation Eu : concorrenza e concessioni balneari, catasto, fisco, giustizia. Tutte materie con nodi complicati e destinati a intricarsi coll’avvicinarsi di nuove campagne elettorali: l’imminenza del 12 giugno, in cui si vota ai referendum e al rinnovo di alcune amministrazioni locali (tra cui l’importantissima Regione Siciliana). E poi la scadenza elettorale del 2023, meno ravvicinata ma decisiva, dopo l’esperienza dell’attuale Governo, certo politicamente anomala. È evidente che, in un contesto del genere, pretendere che «questi» partiti esprimano idee chiare e distinte è una pia illusione. Nel Mezzogiorno poi, alle nazionali, s’aggiungono le fibrillazioni locali: in Campania, per esempio, Carfagna ha organizzato un grande forum sul Sud che De Luca ha disertato. Difficile capire esattamente cosa divide il Ministro del Mezzogiorno e il Presidente campano: due istituzioni che, per noi cittadini, avrebbero il dovere di collaborare nell’interesse generale della crescita e dello sviluppo meridionale. Non sarà che litigano nel proprio interesse alla conquista elettorale del medesimo territorio? Né più né meno di come fanno presunti leader e capibastone di partitini e liste civiche? Stranamente però, nonostante tante fibrillazioni, il Governo più d’una volta è parso sull’orlo del precipizio, senza però mai cadere: almeno finora. Per quale magia rimane sempre in piedi? In realtà nessuna magia! C’è soltanto il paradosso del rapporto singolare tra Draghi (che è un «senza-partito») e i partiti: sono ostaggio l’uno degli altri e viceversa. La debolezza politica dei partiti che sostengono il Governo è compensata dalla forza istituzionale di Draghi, che comunque dei partiti, per Costituzione, non può fare a meno. Egli però, da tecnico prestato alla politica, non deve preoccuparsi di elezioni vicine o lontane, ma solo di obiettivi da raggiungere — persino entro fine-maggio — e di come conservare fiducia e credibilità dell’Ue. Si spiega così la convocazione ad horas di un Consiglio dei Ministri, durato dieci minuti, solo per rinfacciare ai partiti un’incredibile contraddizione, su cui nessuno ha fiatato. I Ministri sono espressi dai partiti e condividono i provvedimenti del Governo nel Consiglio dei Ministri. Come possono i parlamentari degli stessi partiti, e talora financo i loro leader , manifestare un contrario avviso? In effetti Draghi sa bene che nessun partito può far cadere il Governo mentre s’imposta e realizza il Pnrr, col probabile rischio d’esser penalizzato alle elezioni: non verrebbe perdonato chi fa perdere al Paese un mucchio di miliardi. Tuttavia, da parte sua, il Presidente del Consiglio deve badare sia al consenso del Parlamento sia alla sua reputazione, messa in gioco nell’emergenza del Paese su invito del Capo dello Stato. Perciò non può certo tirare troppo la corda, deve anzi mediare il più possibile e arrivare a un risultato accettabile sia dai partiti sia dall’Ue. Mediazioni ovviamente difficilissime se si affrontano problemi strutturali, causa dei ritardi e delle anomalie italiane. Qui affiorano le reali differenze tra destra e sinistra e tra i valori che ne connotano l’identità: come l’eguaglianza delle opportunità, la giustizia sociale, la dignità e sicurezza del lavoro ecc. Il vero timore dei cittadini è che, a furia di mediare e cercare compromessi, per giunta col fiato sul collo della scadenza temporale, le riforme vengano fuori raffazzonate e frettolose. In una parola che a essere sacrificata sia la buona fattura della legislazione riformatrice, con effetti imprevedibili. 29 maggio 2022 | 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,