l’editoriale Mezzogiorno, 14 settembre 2022 – 08:10 Il governatore e la destra di Michele Cozzi Durante i mesi più bui della pandemia, linguisti, sociologi e psicologi invitavano i media ad un uso equilibrato delle parole: stop alle similitudini tra Covid e guerra, tra dilagare del virus e l’«ora più buia», tra ordinanze dei vari Dpcm e coprifuoco. L’uso bellico e bellicistico del linguaggio è una costante della rappresentazione della vita quotidiana. Dalla politica alla cultura al calcio, è un continuo florilegio di metafore guerriere che incitano alla lotta, allo scontro. Certo, poi, un andazzo ammissibile in tempo di pace, diventa inaccettabile quando la guerra, quella vera, non metaforica, che provoca decine e decine di vittime quotidiane, è in atto nel cuore dell’Europa. In tal caso, alle istituzioni e a chi le rappresenta è richiesto un surplus di linguaggio politicamente corretto per non turbare le coscienze di coloro che – loro sì – vivono l’ora più buia della loro esistenza. Le parole pesano più del pensiero, e quindi, – per citare Louis Ferdinand Celine («Ci si fida sempre troppo delle parole») – alla politica, soprattutto in periodo elettorale, è richiesta la capacità di saper diffidare persino del proprio linguaggio, delle proprie parole, per evitare che la frizione “scappi” e si vada a sbattere. Solo in questo contesto, quello della politica “guerreggiata”, delle parole fulminanti per colpire l’avversario-nemico, si può cercare di capire il quasi soliloquio del presidente Emiliano, alla presenza di Enrico Letta, in un comizio in Puglia. Nell’agone elettorale possono nascere metafore forzate, come assimilare la Puglia a Stalingrado e alzare i toni da casamatta sotto assedio («qualunque cosa accada da qui non passeranno, gli faremo sputare sangue») per vivacizzare il proprio campo. La destra ha protestato, ma nel teatro della politica nessuno potrebbe – con un minimo di credibilità – dare lezioni di stile verbale ai concorrenti. Nell’era del web, ogni misfatto linguistico, è immortalato nella memoria del grande fratello. Ma le parole di Emiliano – più che incitare alla rissa – aprono altri varchi di riflessione sulla fenomenologia del governatore pugliese. Che dopo la rottura a sinistra tra Pd e M5S appare improvvisamente in mare aperto, alla ricerca di un nuovo approdo. Così più che le parole fuggite in un comizio, è meritevole di attenzione l’intervista del governatore al Fatto Quotidiano, in cui definisce Meloni e Fdi “gli eredi del Duce” e invita, collegio per collegio, a votare o Pd o M5S (Letta, che si sta giocando tutto, potrebbe non avere gradito questa sorta di equidistanza). La prima affermazione è forte. Ma la storia recente dell’emilianismo in Puglia è piena di contatti con quel mondo. A partire da Pippi Mellone, sindaco di Nardò, che il governatore con un endorsement che suscitò non poche polemiche ringraziò pubblicamente: «In bocca al lupo al sindaco che ha fatto cadere i miei pregiudizi ideologici». Ora: Melloni è tornato alla casa madre della destra e Emiliano pare che abbia riscoperto i pregiudizi ideologici. Un ribaltamento non di poco conto che, forse, nasconde un posizionamento per il post-voto. In caso di disfatta elettorale del Pd, si aprirebbe la corsa per la segreteria nazionale. In campo sembrano già esserci il presidente emiliano Stefano Bonaccini e Antonio Decaro, sindaco di Bari, come anticipato dal Corriere. Emiliano, probabilmente, vorrebbe essere della partita. Così alzare i toni in campagna elettorale per fermare i “barbari” alle porte, riscoprire le parole d’ordine dell’antifascismo e auspicare una fusione di fatto con il M5S, sono tematiche che possono rappresentare le basi di una piattaforma per scalare il Pd.Un nuovo approccio, quindi, per un abito nuovo e per una nuova politica. Ecco perché, come diceva il sociologo Ortega J Gasset, «alle parole, come alle navi, bisogna qualche volta ripulire la carena». 14 settembre 2022 | 08:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-14 06:11:00, Il governatore e la destra,