Troppi compiti sotto inchiesta: sovraccarico cognitivo e calo di prestazioni. Vi do qualche consiglio, INTERVISTA a Giuseppe Lavenia

Troppi compiti sotto inchiesta: sovraccarico cognitivo e calo di prestazioni. Vi do qualche consiglio, INTERVISTA a Giuseppe Lavenia

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“I docenti non dovrebbero farsi prendere la mano dalla corsa o rincorsa al programma didattico ministeriale, che dichiaratamente è e deve restare una guida, una traccia da percorrere per la crescita secondo la linea di sviluppo prossimale dei propri discenti”.

Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e docente universitario, mette in luce dal punto di vista della psicologia dello sviluppo un tema sempre dibattuto e mai risolto negli ambienti scolastici: quello del carico di compiti e quello della riorganizzazione del tempo scuola e del modello scolastico. Lo psicoterapeuta – che è anche docente presso l’Università Politecnica delle Marche, insegnante di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e psicologia delle dipendenze tecnologiche per l’Università telematica Ecampus, nonché presidente dell’Associazione Di.Te., che sta per Dipendenze Tecnologiche – ha le idee chiare: “Il problema – spiega – non è la tecnologia, ma l’eccesso di compiti a casa. Se mediamente in un pomeriggio devono fare: un riassunto di 8 pagine di letteratura, 21 problemi di matematica, un disegno di Arte, un Power Point di almeno 10 slide sulla cultura ucraina, allora forse trovare soluzioni alternative per sopravvivere, può essere giustificabile. Da parte loro, molti docenti sostengono che il problema principale non sono i compiti. Semmai, negli ultimi anni, sostengono, si assiste a un’overdose di impegni extra curriculari e di progetti di ogni tipo che da un lato appesantiscono il lavoro dei ragazzi e dall’alto finiscono per costringere i docenti a correre con il programma e con compiti a casa per recuperare il tempo “perso”. Probabilmente il problema ruota attorno alla necessità di una riorganizzazione del tempo scuola e del modello scolastico attuale, facendo i dovuti distinguo tra i vari ordini di scuola, tra i diversi indirizzi, e, ad esempio, tra il tempo pieno, alla primaria, e il tempo normale. Se non ha molto senso caricare di compiti domiciliari quotidiani bambini che frequentano il tempo pieno alla primaria – eppure succede – non vale la stessa considerazione per i bambini che frequentano solo al mattino.

Professor Giuseppe Lavenia, il tema dei compiti a casa e il carico di lavoro didattico in classe dividono la classe docente. I docenti sono certo affezionati ai compiti e sanno che se anche non esistono più i programmi, sostituiti dalle Indicazioni Nazionali, essi stessi non possono trascurare le scadenze né gli impegni ministeriali. Incombono le prove Invalsi, i docenti devono fare i conti con la necessità che gli studenti maturino delle conoscenze e delle competenze che non possono essere acquisite senza un studio domiciliare”.

“È l’eccesso di compiti a casa a dover essere messo sotto inchiesta. In nessun altro paese al mondo esiste una sproporzione fra lavoro a scuola e lavoro a casa. Ciò va a discapito anche delle attività sportive e culturali e aumenta la dispersione scolastica. In classe incontro sempre più ragazzi con disattenzione, disinteresse, paura, noia, ansia perché la scuola di oggi, come la società, prevede alto rendimento e performance immediate. Questo genera in un cervello in crescita un vero e proprio sovraccarico cognitivo e avremo sempre più studenti performanti nelle prestazioni immediate, con sempre meno abitudine a scoprire cose nuove e che dimenticano rapidamente quasi tutto quello che hanno appreso. È assurdo maltrattare così il cervello dei nostri studenti, lo facciamo da troppo tempo ed è il contrario di quello che serve. E ahimè le conseguenze sono sempre più evidenti, com’è dimostrato da vari studi su dispersione e ansia da prestazione. Ma può la scuola di oggi utilizzare il modello triadico, io insegno, tu apprendi e io verifico, a discapito dell’apprendimento attivo ed esperenziale a lungo termine?”

Lo dica lei

“La nostra mente può contenere un tot di informazioni e se io la riempio costantemente di nozioni e procedure, senza mai fare esperienza, ad un certo punto andrà in difficoltà portandoci velocemente a bruciarci, si arriva al burnout. E’ come se ad un bambino che gioca a calcio spiegassimo costantemente le tecniche e le regole di gioco senza mai fargli sperimentare l’esperienza di una partitella. L’intelligenza cresce anche con l’esperienza. E non è vero che se non riesco immediatamente a ricordare la tabellina del 4 o a ricordare la capitale della Russia il modo migliore per incoraggiarmi sia naturalmente un brutto voto. Anzi: sappiamo molto bene che provoca l’effetto opposto”.

Cioè?

“Quello di associare cognitivamente quel voto e l’emozione associata alla frustrazione provata alla materia con il facile risultato che quel ragazzo possa pensare erroneamente di non essere portato per quella materia ed invece andava solo guidato”.

E’ dunque una questione di modello da cambiare. Come fare?

“La scuola di oggi non può continuare con questo modello e soprattutto non si può pensare di continuare a selezionare docenti che siano solo portatori di competenze, indubbiamente necessarie, a discapito delle competenze motivazionali ed emotive. Bisogna portare l’intelligenza emotiva e le tecniche motivazionali nei piani formativi didattici e soprattutto bisogna selezionale il personale scolastico anche per le proprie competenze empatiche. Peraltro, non devo e non voglio inventare nulla. Basterebbe mettere in pratica ciò che è già stato affermato, provato e confermato da illustri pedagogisti. Le skills dei nostri figli sono e sarebbero a portata di mano se know how, know what e know why e know who non facessero a cazzotti nel mondo della scuola”

Scendendo nel concreto, cosa potrebbero fare gli insegnati, dal suo punto di vista?

“Basta che gli insegnanti puntino maggiormente sull’interazione coordinata di due o più discipline. L’interdisciplinarità come metodologia dell’insegnamento che restituisce una visione globale anziché particolaristica di problemi o argomenti attinenti a varie discipline agevola nettamente il carico cognitivo degli studenti tutti. Se l’insegnamento fosse interdisciplinare, gli alunni non verrebbero sovraccaricati da conoscenze slegate tra loro e apparentemente inconciliabili”.

Faccia un esempio

“Faccio un esempio banale: nel momento in cui in italiano spiego gli avverbi contemporaneamente nella lezione di inglese affronto lo stesso argomento. Ulteriore accorgimento, sempre valido e da potenziare per tutti i gradi dell’istruzione, è la preventiva e costante concordanza tra i docenti rispetto all’assegnazione dei momenti di verifica dell’apprendimento oltre che della mole di lavoro di compiti a casa, parte fondamentale dell’apprendimento continuo. Intendendo infatti la valutazione come bilancio formativo e sommativo del processo di apprendimento, è funzionale che essa debba e possa avvenire senza rimandare ad una sola prova specifica – spesso mai calibrata ma anzi standardizzata e scollata dalla quotidiana realtà scolastica – il più delle volte mortificante per gli alunni”.

In tutto questo discorso c’è un convitato di pietra, anzi più di uno, che condiziona un po’ tutti gli attori scolastici: i programmi, le scadenze, le verifiche, la valutazione…

“I docenti non dovrebbero farsi prendere la mano dalla corsa o rincorsa al programma didattico ministeriale che dichiaratamente è e deve restare una guida, una traccia da percorrere per la crescita secondo la linea di sviluppo prossimale dei propri discenti. E non lo dico io, ma il caro Vigotskij. La personalizzazione del piano di studi per quanto non sempre realizzabile a livello individuale, troverebbe già la sua forza se fosse perseguita con costanza almeno in ogni gruppo classe. Questo è fattibile con l’esercizio di buone e quotidiane pratiche scolastiche: cooperative learning, peer tutoring, didattica laboratoriale, e altro. Dunque, mai perdere di vista il progetto di vita dei nostri ragazzi che un’istruzione emotivamente esperenziale può permetter loro di concretizzare.

Già solo valorizzando questi aspetti, citati da tempo nelle documenti ministeriali ma che non trovano ancora piena attuazione nella pratica didattica, il carico di lavoro casalingo dei nostri figli si alleggerirebbe senza perdere di efficacia ma al contrario beneficiando di coerenza, facendoli crescere in autonomia didattica e personale. Auspico e auguro buone pratiche a tutti i motivati docenti. Ne abbiamo bisogno”

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