Tumore al pancreas,  i sintomi da non trascurare: che cosa si può fare oggi  È tra i più letali, ecco perché

Tumore al pancreas,  i sintomi da non trascurare: che cosa si può fare oggi  È tra i più letali, ecco perché

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di Vera Martinella

L’improvvisa comparsa del diabete e le feci chiare tra i segnali della malattia. Gli interventi vanno eseguiti solo in centri con esperienza. A 5 anni dalla diagnosi solo il 10% dei pazienti è ancora vivo

Pochi e lenti, eppure anche per nel tumore al pancreas i progressi negli ultimi anni ci sono stati: l’aspettativa di vita che era per lo più di pochi mesi per un numero crescente di malati che oggi si riescono a operare arriva anche fino a tre anni. Certo molto meno rispetto ad altri tipi di cancro e, soprattutto, di quanto sperano i diretti interessati, le loro famiglie e gli specialisti che li curano.

Che cosa è cambiato

«I pazienti si sentono spesso soli ad affrontare una neoplasia difficile, con una prognosi severa – dice Massimo Falconi, presidente dell’Associazione italiana studio pancreas (AISP) durante il congresso annuale appena tenutosi a Bergamo -. Noi esperti di questa patologia abbiamo lavorato sodo, fatto tante ricerche e siamo arrivati a delle piccole-grandi conquiste: negli ultimi 20 anni l’efficacia e la sicurezza della chemioterapia sono migliorate grazie all’aumento dei farmaci disponibili e al loro utilizzo in combinazione. Abbiamo capito e dimostrato quale chemio somministrare prima dell’intervento chirurgico e per quanto tempo. E’ ormai evidente che l’operazione va fatta solo in centri con determinati requisiti, dove si concentrano più mani esperte. E abbiamo anche scoperto alcune tipologie di persone più a rischio d’ammalarsi, in moto da poterle “sorvegliare” (come i portatori dei geni BRCA mutati). Così abbiamo guadagnato mesi di vita per ciascun paziente, mesi preziosi, ma certo non basta».

Si fa poca ricerca

L’AISP integra da più di 40 anni in un contesto multidisciplinare tutte le professionalità (chirurghi, oncologi, gastroenterologi, radiologi, radioterapisti e altre ancora) interessate alla ricerca scientifica e alla cura delle malattie del pancreas. La missione dell’associazione è educazionale, scientifica e di supporto a pazienti e familiari. «Si fa troppa poca ricerca su questo tumore ed è quasi del tutto finanziata dalle associazioni di malati, nate quasi tutte in ricordo di qualcuno che non c’è più – spiega Silvia Carrara, Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva all’Humanitas di Milano, che in AISP segue i rapporti con i rappresentati dei malati -. Sono i parenti che si rimboccano le maniche per trovare i fondi da destinare a studi e sperimentazioni. Dobbiamo ringraziare loro, l’industria farmaceutica in questo settore investe davvero molto poco».  «Anche dalle Istituzioni, lente nel prendere decisioni, serve molto più sostegno – prosegue Michele Reni, oncologo e responsabile del programma strategico di coordinamento clinico del Centro del Pancreas al San Raffaele di Milano -. Qualche anno fa dalle sperimentazioni emergeva un nuovo farmaco efficace in una piccola percentuale di pazienti, ma in Italia purtroppo non è stato approvato. Da anni, poi, aspettiamo che si creino le Pancreas Unit, ovvero dei centri ospedalieri che abbiamo un’equipe altamente specializzata e determinati criteri per poter trattare un tumore del pancreas: è un passaggio determinante».

I sintomi

«Il tumore del pancreas è insidioso perché in fase precoce non dà sintomi particolari e i segnali più evidenti compaiono quando ha ormai iniziato a diffondersi agli organi circostanti o ha ostruito le vie biliari – ricorda Alessandro Zerbi, responsabile della chirurgia pancreatica dell’Istituto Humanitas di Milano -. È bene parlare con un medico in caso di comparsa improvvisa del diabete in un adulto senza fattori di rischio specifici; dolore persistente nella zona dello stomaco o a livello della schiena al punto di passaggio tra torace e addome; importante calo di peso non giustificabile; steatorrea (cioè feci chiare, oleose, poco formate, che tendono a galleggiare); comparsa di trombi nelle vene delle gambe, soprattutto in età giovanile o senza fattori di rischio specifici; diarrea persistente non spiegata da altre cause».

Troppi morti negli ospedali con poca esperienza

Diversi studi lo dimostrano, numeri alla mano, che servono centri specializzati nella cura: dei 395 ospedali italiani censiti da una ricerca coordinata dal San Raffaele e pubblicata sul British Journal of Surgery nel 2020, ben 300 (il 77% delle strutture) aveva realizzato in media solo tre operazioni al pancreas all’anno. «Un numero troppo basso, considerando che la chirurgia pancreatica è la più complessa di tutta l’area addominale — sottolinea Falconi, direttore del Centro del Pancreas del San Raffaele—. Il risultato è che la mortalità sul territorio varia da un 3% nei centri più eccellenti e a maggior volume fino a oltre il 25% in altri centri di minor esperienza, con risultati disastrosi per i pazienti».

Ogni anno 14 mila nuove diagnosi in Italia

In Italia il tumore al pancreas colpisce ogni anno circa 14.000 persone, la maggior parte delle quali fra i 60 e gli 80 anni. Aggressivo e ancora difficile da combattere (a 5 anni dalla diagnosi è vivo in media il 10% dei pazienti), resta un nemico difficile da combattere anche perché spesso viene scoperto in fase avanzata. «Ma le aspettative di vita aumentano se si riesce ad avere una diagnosi precoce, per cui è bene non trascurare alcuni campanelli d’allarme e fare il possibile per prevenirlo – conclude Reni – . Oltre a fumo, diabete, obesità e vita sedentaria, a far aumentare le possibilità di sviluppare un cancro del pancreas è la pancreatite cronica, uno stato d’infiammazione permanente fra le più gravi conseguenze di un abuso cronico di alcol. Infine, la storia familiare è responsabile di quasi il 10% dei tumori pancreatici, che in alcuni casi è possibile spiegare nel contesto di patologie geneticamente trasmissibili note».

25 ottobre 2022 (modifica il 25 ottobre 2022 | 14:20)

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, 2022-10-26 05:43:00, L’improvvisa comparsa del diabete e le feci chiare tra i segnali della malattia. Gli interventi vanno eseguiti solo in centri con esperienza. A 5 anni dalla diagnosi solo il 10% dei pazienti è ancora vivo , Vera Martinella

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