Tumore alseno primadei 40 anni: la maternità non è preclusa

Tumore alseno primadei 40 anni: la maternità non è preclusa

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di Vera Martinella

Avere un figlio sano senza correre rischi per la madre fattibile ma per ora solo 5 donne su cento sono consapevoli che possibile conservate la fertilit

Devono affrontare una diagnosi di tumore al seno prima dei 40 anni, quando non hanno ancora avuto figli o non hanno completato il loro desiderio di famiglia. Succede a circa tremila giovani donne italiane ogni anno e soltanto cinque su cento diventano poi madri dopo la malattia. Un’opportunit che invece esiste, sicura per le pazienti (che possono anche sospendere le cure ormonali per portare avanti una gravidanza) e per i nascituri, ma che nel nostro Paese viene ancora poco sfruttata. Nonostante proprio dal Policlinico San Martino di Genova siano arrivate, negli ultimi anni, alcune ricerche scientifiche che in tutto il mondo hanno migliorato l’approccio alla preservazione della fertilit. Dopo aver dimostrato che possibile avere un figlio sano senza rischi per la mamma curata per un tumore al seno, i ricercatori liguri hanno di recente fatto un passo avanti. Gli esiti dello studio “POSITIVE”, presentato durante il San Antonio Breast Cancer Symposium (il pi importante convegno internazionale sul cancro al seno) che si svolto a dicembre negli Stati Uniti, hanno infatti indicato che le giovani donne colpite da carcinoma mammario in stadio iniziale possono interrompere per due anni la terapia ormonale adiuvante (cio successiva all’intervento chirurgico) per cercare una gravidanza.

Sospendere la terapia ormonale per avere un figlio

La ricerca ha coinvolto 518 donne di et pari o inferiore a 42 anni con carcinoma mammario in stadio iniziale positivo per i recettori ormonali. In questi casi, la terapia endocrina viene somministrata per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti. Lo studio ha dimostrato che il tasso di recidiva a tre anni stato dell’8,9%, simile a quello dello studio “SOFT/TEXT” (9,2%) che aveva incluso donne in premenopausa sottoposte alla stessa terapia e utilizzato come confronto. Il 74% delle donne ha avuto almeno una gravidanza, che terminata con successo nel 64% dei casi. In circa il 70% dei casi il carcinoma della mammella presenta i recettori ormonali positivi e richiede per un periodo di cinque anni il trattamento adiuvante con la terapia endocrina, che da un lato riduce il rischio di recidiva, dall’altro sopprime la funzione ovarica e, quindi, la possibilit di avere un figlio — spiega Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Universit di Genova —. Le sperimentazioni condotte fino a oggi avevano dimostrato la sicurezza della gravidanza al termine delle cure anticancro. Per la prima volta, lo studio “POSITIVE” evidenzia che, dopo almeno un anno e mezzo, possibile sospendere la terapia endocrina per due anni con l’obiettivo di avere un figlio, per poi riprendere il trattamento. Sono state osservate anomalie congenite nel 2% dei bambini, percentuale simile alla popolazione generale, e il 60% delle donne ha allattato.

Diventare madri, desiderio sottovalutato

Il carcinoma mammario la neoplasia pi frequente nelle donne, i casi sono in continuo aumento (in Italia nel 2022 sono state stimate 55.700 nuove diagnosi), ma fortunatamente la mortalit in calo e le guarigioni sfiorano il 90%. Nell’80% dei casi la malattia colpisce dopo i 50 anni, ma l’incidenza nelle 30-40enni in crescita: il 5% riguarda donne under 40 e il desiderio di diventare madri dopo la malattia continua a essere sottovalutato. Oggi, nel nostro Paese, la bassa percentuale di giovani pazienti che riescono ad avere un figlio dopo il tumore del seno contrasta nettamente con il 50% di donne che, al momento della diagnosi, dichiara di desiderare una maternit — continua Del Mastro —. Quali i motivi? Sicuramente c’ il fatto che, prima dello studio “POSITIVE”, le donne con neoplasia endocrinoresponsiva dovevano aspettare almeno cinque anni prima di provare ad avere una gravidanza, andando quindi incontro a un’et pi matura. Questo studio dimostra che la sospensione della terapia ormonale una procedura sicura e pu incrementare la percentuale di giovani donne che riescono ad avere un figlio prima di terminare le cure. Non solo. Nel nostro Paese vanno create collaborazioni strutturate fra le Oncologie e i Centri di Procreazione medicalmente assistita, per rispondere tempestivamente alle richieste delle pazienti. L’aspetto fondamentale delle tecniche di preservazione della fertilit il tempismo: per esempio la crioconservazione degli ovociti deve avvenire prima dell’inizio della chemioterapia. La creazione di una Rete consente di definire percorsi dedicati e riconosciuti, oggi presenti solo in alcuni ospedali.

Il tempo prezioso: serve una rete fra Centri

Bisogna, insomma, implementare i percorsi dedicati alla prevenzione dell’infertilit nelle pazienti oncologiche in tutte le Regioni perch il tempo, sia per curare il tumore, sia per preservare la fertilit, un fattore decisivo. questo l’appello che arriva dal congresso Back From San Antonio, che si apre a Genova e vede riuniti i maggiori specialisti italiani per discutere delle novit emerse al congresso americano lo scorso dicembre.  Il San Martino di Genova un esempio virtuoso in Italia e a livello internazionale — spiega Salvatore Giuffrida, direttore generale dell’IRCCS Policlinico genovese —. Quasi vent’anni fa siamo stati il primo ospedale in Italia a istituire questa collaborazione fra la struttura di Oncologia e il Centro di Procreazione medicalmente assistita, creando l’unit funzionale di oncofertilit. Nel capoluogo ligure, infatti, il 10% delle giovani donne riesce ad avere un figlio dopo il carcinoma della mammella, il doppio rispetto alla media nazionale, ferma al 5%.

Come preservare la fertilit

Se fino a pochi anni fa l’unica soluzione per avere figli era congelare gli ovuli prima della terapia per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro, oggi possibile proteggere la funzione ovarica dagli effetti tossici della chemioterapia somministrando alle pazienti dei farmaci (ormoni analoghi dell’LHRH, ampiamente usati come terapia antineoplastica nei carcinomi della mammella) che mettono le ovaie a riposo durante i trattamenti, in modo che non vengano danneggiate. Inoltre non sempre obbligatorio interrompere la gravidanza per curare la mamma, anche in caso di chemioterapia. Proprio a Genova stata definita una delle tre principali tecniche di preservazione della fertilit, cio l’utilizzo di farmaci analoghi LH-RH, che riducono in maniera significativa il rischio di danneggiare la funzione riproduttiva e di sviluppare una menopausa precoce — sottolinea Matteo Lambertini, professore associato di Oncologia medica al San Martino —. Le altre tecniche sono costituite dalla crioconservazione, cio dal congelamento, degli ovociti o del tessuto ovarico.

Nuove terapie per il tumore al seno

Nel convegno americano sono state anche presentate importanti novit anche sul fronte delle terapie per il cancro al seno. I dati aggiornati dello studio “monarchE” su abemaciclib, che appartiene alla classe degli inibitori di cicline, in adiuvante, in combinazione con la terapia endocrina standard per il trattamento del carcinoma mammario in fase precoce ad alto rischio, positivo al recettore ormonale, negativo per la proteina HER2 e con linfonodi positivi — spiega Saverio Cinieri, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) —. Dopo un periodo di osservazione mediano di 3,5 anni dalla fine del trattamento, il rischio di sviluppare una recidiva invasiva di malattia si ridotto del 33,6%. L’aggiunta di abemaciclib in adiuvante ha anche ridotto del 34,1% il rischio di sviluppare una malattia metastatica. Sono risultati molto importanti, perch riguardano pazienti con tumore a pi alto rischio di ricaduta dopo l’intervento. Sono significativi anche i passi avanti nel trattamento della malattia metastatica — continua Cinieri —. Gli esiti aggiornati dello studio “DESTINY-Breast03” hanno dimostrato che trastuzumab deruxtecan, anticorpo monoclonale farmaco-coniugato, porta a un miglioramento significativo della sopravvivenza globale rispetto a T-DM1, un altro anticorpo coniugato anti HER2 e precedente standard di cura, in pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico, precedentemente trattate. Trastuzumab deruxtecan ha ridotto del 36% il rischio di morte rispetto a T-DM1. Non solo. La sopravvivenza libera da progressione quadruplicata rispetto alla terapia di riferimento, arrivando a 28,8 mesi. Un vantaggio di entit mai osservata prima nel carcinoma mammario. Infine, sono emersi risultati favorevoli anche con l’impiego di una nuova classe di farmaci, i cosiddetti SERD (degradatori selettivi del recettore degli estrogeni) orali: Camizestrant ed elacestrant sono farmaci utili per le donne con carcinoma mammario ormono-sensibile in fase metastatica — conclude Cinieri —. Sempre per questo sottogruppo di pazienti si conferma l’efficacia degli inibitori di PI3K, come capivasertib, in aggiunta alla endocrinoterapia standard.

13 gennaio 2023 (modifica il 13 gennaio 2023 | 14:13)

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