La Tunisia al voto tra crisi perenne e sogni autoritari

La Tunisia al voto tra crisi perenne e sogni autoritari

Spread the love

di Francesco Battistini

I cittadini eleggeranno oggi il nuovo Parlamento, che sar formato per lo pi da sconosciuti ras locali. E il presidente Saied sogna di diventare l’Erdogan del Nordafrica

DAL NOSTRO INVIATO
TUNISI — Stavolta si vince facile. Al buon candidato non serve seguire la linea del partito, perch i partiti non ci sono. E non c’ bisogno di fare spot in tv: chi pu pagarseli? E nemmeno di rilasciare interviste: sono vietate per legge, specie ai giornalisti stranieri. E neppure conta aver qualcosa di forte da dire: chi critica il governo, rischia l’arresto. Sull’unico muro di calce bianca in rue 9 Avril 1938, alla Marsa, hanno numerato a vernice grigia novanta quadratini. Sono gli spazi elettorali riservati ai manifesti di questo 17 dicembre. Ma tranne tre riquadri — ci hanno affisso il faccione d’un impiegato delle poste e di due insegnanti di scuola media, sguardi sorridenti e sotto solo i nomi coi numeri di lista: 1, 03, 4 -, tranne quei tre, gli altri quadrati sono tutti vuoti. Anche l’avenue Bourghiba, il cuore di Tunisi dove tutto accade, transennata e pattugliata come nei mesi pi duri della Rivoluzione: ogni tanto compare qualche gruppetto che grida Saied vattene!, ma non ci sono troupe tv a mostrarlo perch tutti i media sono in sciopero e anche se non lo fossero, con l’aria che tira, eviterebbero volentieri. In dodici anni di democrazia — riassume il politologo Hamadi Redissi —, queste sono le elezioni pi silenziose che abbiamo mai avuto. E anche le pi rischiose.

Via dai radar

Sei presidenti e undici governi dopo, la Rivoluzione dei Gelsomini non esiste pi. L’unica democrazia uscita dalle Primavere arabe chiamata a eleggere, per la prima volta, un Parlamento che non sar un Parlamento. Il presidente populista Kais Saied, incoronato col 72% dei voti nell’ottobre 2019, riuscito a smantellare quel (poco) che s’era costruito in questi dodici anni. Avevamo trepidato per la piccola e coraggiosa Tunisia che in quest’ultimo decennio era riuscita a sbarazzarsi di Ben Ali? Che aveva resistito all’assassinio del suo leader laico Chokri Belaid, aveva cacciato nell’angolo la fratellanza musulmana, era sopravvissuta ai 72 morti nelle stragi del Bardo e di Sousse e di Tunisi, aveva respinto le invasioni jihadiste dalla Libia, aveva evitato la deriva egiziana restando in un miracoloso galleggiamento tra fondamentalismo islamico e tentazioni di golpismo militare? Tutto passato. Tutto dimenticato. La Tunisia sparita dai radar dell’attenzione internazionale. Lasciata sola nella sua crisi economica, nel grande gioco del nuovo Maghreb, coi suoi barconi di migranti . Nel silenzio del mondo, s’ ritrovata un Saied che ha riscritto la Costituzione, sciolto le Camere, ridimensionato il Consiglio superiore della magistratura e avocato a s molti poteri giudiziari, cacciato una sessantina tra funzionari pubblici e magistrati troppo politicizzati, imbavagliato la stampa con una legge che punisce fino a 5 anni chiunque diffonda fake news (leggi: critiche al presidente)… E con l’ultimo decreto elettorale, sta per darsi un’Assemblea dei rappresentanti del Popolo a sua immagine e somiglianza.

Modello Erdogan

L’uno vale uno non pi un’utopia, a Tunisi. Perch il nuovo sistema uninominale diretto, imposto dal presidente, sostituisce lo scrutinio di lista e premia i singoli, penalizzando i partiti e di fatto azzerandone il ruolo. Il risultato che stavolta, ai 161 seggi parlamentari, aspirino mille candidati totalmente sconosciuti — solo 112 donne —, tutti quanti scollegati da qualsiasi progetto politico che non sia il piccolo mandato territoriale, ciascuno in rappresentanza di se stesso. In un Parlamento che sar ridotto a una specie di consiglio municipale, dove le proposte di legge dovranno essere firmate come minimo da una decina di deputati: tutti cani sciolti e senza alcuna sintesi politica, che dovranno comunque dare la precedenza alle proposte di Saied, nell’edificazione d’un vero regime presidenziale, quasi impossibile da sfiduciare o anche solo censurare per via parlamentare.

Il modello Erdogan. Il progetto, inquietante. E un’elezione del genere, ovvio, di colpo insospettisce e preoccupa la comunit internazionale. Gli Usa parlano di allarmante erosione di regole democratiche. Il Parlamento europeo non manda osservatori, invitando gli eurodeputati a non legittimare questo voto con missioni individuali. Tutti i partiti tunisini hanno deciso il boicottaggio. Vanno sull’Aventino i potenti islamici di Ennahda, da sempre maggioranza relativa, che parlano di golpe (golpista io? – replica Saied —. Siete voi che in questi anni avete paralizzato tutte le riforme!). Pure i laici e i nostalgici del Grande Padre tunisino Bourghiba, tutta l’opposizione del Fronte di salvezza nazionale, i nazionalisti Pdl e i liberali, i benalisti e i rivoluzionari, tutti quanti si chiamano fuori dal voto e chiedono di disertare le urne. Solo il sindacato Ugtt, quello che nel 2015 fu premiato col Nobel per la pace, ha deciso di non boicottare (preferiamo il dialogo), ma anche qui s’ passati dall’appoggio convinto di tre anni fa a una prudente distanza, criticando questo voto senza sapore, n colore. Tutto va nel segno d’una veloce restaurazione e anche la scelta del 17 dicembre non casuale: il dodicesimo anniversario della morte di Mohamed Bouazizi, l’ortolano ambulante che nel 2010 si diede fuoco e incendi prima la Tunisia, poi via via l’Egitto e la Libia e la Siria, accendendo la speranza delle Primavere arabe. Saied non vuole saperne di celebrare quel giorno e, se proprio deve, per lui conta solo la fuga di Ben Ali del 14 gennaio. Perch in fondo sa bene come la pensino anche i tunisini: solo il due per cento onora ancora la memoria di Bouazizi, pi del 60 rimpiange l’era prerivoluzionaria, l’84 detesta tutti i politici nati dalla Rivoluzione. C’era proprio bisogno di questa svolta autoritaria?, gli ha chiesto mercoled il segretario di Stato americano, Antoni Blinken. Eravamo sull’orlo d’una guerra civile – ha risposto il presidente —. Ovunque andassi, i tunisini mi chiedevano tutti di sciogliere il Parlamento. Cos, alla fine, l’ho sciolto. Erano cos gioiosi e felici, come se si stessero liberando d’un vero incubo.

Non mi schiero

Non fa molto per cercare simpatie, Saied. Il suo Movimento 25 Luglio Hirak dice che i media internazionali e le opposizioni stanno denigrando il voto: per questo il presidente evita interviste a media stranieri, in particolare se si tratta di giornalisti sionisti. L’uomo non appare granch, nelle ultime settimane ha tagliato solo qualche nastro e fatto tutt’al pi qualche tour elettorale fra i commercianti della vecchia Medina o in mezzo agli studenti universitari, che nel 2019 l’avevano spinto al potere. un nostalgico dei Non Allineati anni ’60 e s’ messo di traverso anche sul tema Ucraina, sugli aiuti a una Tunisia affamata dal blocco del grano: Rifiuto di schierarmi con un’alleanza contro un’altra, le soluzioni ai nostri problemi non possono essere risolte solo dai numeri, n dal Fondo monetario internazionale, non vogliamo lezioni o soluzioni dettate dall’estero…. Conservatore sui temi della famiglia e fiero oppositore dei diritti Lgbtq, in ottobre ha nominato a sorpresa una premier: la docente universitaria Najla Bouden, prima donna nella storia tunisina chiamata a governare. Ma la mossa non l’ha fatto risalire nei sondaggi, che lo danno in picchiata: la rivolta del pane in giugno e quella per la benzina, quest’autunno, han fatto capire a Saied che il tempo stringe. L’agenzia di rating internazionale Fitch, che pure ha tolto la Tunisia dai Paesi con la tripla C e sotto osservazione, prevede disordini sociali per l’inflazione e la disoccupazione. E a poche ore dal voto, quasi in risposta alle teorie isolazioniste di Saied, il Fondo monetario internazionale ha rinviato il prestito da 1,9 miliardi di euro, diluito in quattro anni, che doveva essere annunciato luned 19. Perch questo stop imprevisto? Forse c’entrano le pressioni di Washington, dove Saied nei giorni scorsi stato ricevuto con gelida cortesia. Forse non ci si fida delle riforme d’un presidente che non ha firmato nemmeno la legge finanziaria. Forse si teme l’instabilit: in questo dicembre, il Fmi ha concesso pi credito perfino all’Egitto di Al Sisi o all’Armenia sull’orlo d’una guerra perenne… I soldi del Fondo bloccati sono un guaio, perch da quelli dipendeva un ulteriore prestito della Francia e d’altri Paesi europei. Il Pil in calo, l’inflazione quasi al 10%, cresciuta d’un punto e mezzo in sei mesi. Pollame, olio, uova e frutta hanno avuto aumenti fra il 20 e il 30%, vestiti e trasporti del 10. La guerra in Ucraina ha colpito l’economia di molti Paesi africani e alla Tunisia, per evitare il tracollo finanziario, serve subito un miliardo e mezzo d’euro. Saied, prima d’andare in America, nei giorni scorsi era volato in Arabia saudita per partecipare a un vertice con la Cina: la nuova porta a cui bussare, se tutto precipita. Ci sarebbe anche l’Italia, che ha scavalcato i francesi ed diventata primo partner commerciale, firmando un accordo energetico da 300 milioni: passa di qui il gasdotto Enrico Mattei, che ci porta il gas algerino in sostituzione di quello russo, e una nuova opportunit (parole del premier Giorgia Meloni) saranno gl’investimenti europei sull’energia solare. Noi italiani, del resto, non abbiamo altra scelta che guardare con attenzione alla Tunisia. Un Paese che rischia di caderci addosso: gi dal prossimo anno, si stima che i migranti sui barconi tornino ai livelli (180mila l’anno) del 2016.

Nuovo De Gaulle

La crisi morde forte. Ed probabilmente per questo che Saied ha accelerato la presa del potere, il 25 luglio scorso. Ha sottoposto a referendum popolare la sua riforma della Costituzione – una Carta che nel 2014 era stata frutto di faticosi compromessi sui diritti delle donne, sulla limitazione della sharia, sulla separazione dei poteri, sui diritti delle minoranze —, per l’affluenza stata solo del 30%. A questo giro elettorale, non ci s’aspetta molto di pi. Ma in fondo al presidente poco importa: C’ un’agenda che s’ fissato dopo il 25 luglio – dice il politologo Redissi – e questo voto per lui una tappa fondamentale. 64 anni, austero professore di diritto costituzionale spuntato dal nulla e soprannominato “Robocop” per il suo arabo classico esibito nelle conversazioni e per una certa rigidit di modi, Saied s’ imposto come simbolo anti-casta, si paragona spesso a De Gaulle, si sente l’artefice d’una nuova repubblica decisionista che spazzi via l’inconcludenza della “politique politicienne”. Un anno e mezzo fa ha cominciato a rimodellare il Paese a suo favore con provvedimenti via via sempre pi duri, come il contestatissimo decreto numero 54: congelando i conti bancari di 460 uomini d’affari legati al vecchio regime di Ben Ali; attribuendo ai giudici militari il potere di processare anche i civili; circondando il Parlamento coi tank; arrestando il capo d’Ennahda, Rashid Gannouchi, con l’accusa d’avere inviato jihadisti in Siria; ritirando il passaporto a un altro leader dell’opposizione; indagando i giornalisti troppo critici; in definitiva, riportando il potere soprattutto dentro il Palazzo di Cartagine che fu di Ben Ali e oggi di Saied… Il progetto si completa con questo voto. Il nuovo Parlamento, da domani, potr anche rinviare le elezioni presidenziali del 2024. Facendo di Saied un Erdogan a vita. La voglia c’. E questo 17 dicembre, pu essere l’occasione per togliersela.

17 dicembre 2022 (modifica il 17 dicembre 2022 | 07:13)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-12-17 06:35:00, I cittadini eleggeranno oggi il nuovo Parlamento, che sarà formato per lo più da sconosciuti ras locali. E il presidente Saied sogna di diventare l’Erdogan del Nordafrica, Francesco Battistini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.