Ucraina, la politologa Slaughter: «Sì alle armi per Kiev. Un intervento? Dopo la Libia gli Usa sono più cauti»

Ucraina, la politologa Slaughter: «Sì alle armi per Kiev. Un intervento? Dopo la Libia gli Usa sono più cauti»

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di Viviana Mazza«Dal Rwanda al Kosovo ho creduto nella “responsabilità di proteggere”, ma non puoi devastare un Paese per salvarlo»

Ricordiamo tutti quel momento: nel marzo 2009 Hillary Clinton, segretaria di Stato di Obama, consegnò al ministro degli Esteri Sergej Lavrov il simbolicoreset button
, che avrebbe dovuto «resettare» i rapporti tra Stati Uniti e Russia (in realtà era tradotto male in russo: diceva non “reset” ma “sovrapprezzo” e ora è in un museo del Cremlino). Anne-Marie Slaughter, che guida il think tank New America, lo ricorda benissimo: c’era. Dirigeva la pianificazione politica per il dipartimento di Stato. Quando andò via, prese il suo posto Jake Sullivan, oggi consigliere per la sicurezza nazionale e uno degli uomini di maggior fiducia di Biden.
Perché quel tentativo di avvicinamento è fallito?
«Dopo il crollo del Muro, la storia dei rapporti tra Russia, Europa e Stati Uniti è complicata da molti fattori, tra i quali il saccheggio dello Stato russo. L’esportazione del capitalismo trasformò il Partito comunista in oligarchi. Ci fu il caos: aspettativa di vita in calo, aumento del consumo di alcol. Putin ripristinò il rispetto e una certa prosperità grazie ai prezzi del petrolio, ma una cleptocrazia trae beneficio dall’esagerazione delle minacce esterne. Quando sono arrivati Obama e Hillary Clinton, siamo riusciti a firmare il trattato New Start sulle armi e cooperare su altre cose minori, ma è anche vero che incoraggiavamo e certo non scoraggiavamo la Georgia, la Moldavia, l’Ucraina nelle loro aspirazioni di unirsi alla Nato. E l’Ue si muoveva verso Est. C’era lo spettro di un governo democratico occidentale ai confini russi e Putin non poteva accettarlo».
Sono stati fatti errori?
«Difficile individuale errori specifici. L’Amministrazione Obama ha davvero provato a resettare i rapporti; quando Medvedev era presidente pensammo ci fosse una via. Io credo che, tornando agli anni Novanta, la decisione di continuare l’architettura di sicurezza della Guerra Fredda ed espanderla, anziché pensare a come ampliare la sicurezza e la prosperità europea dall’Atlantico agli Urali, sia stata un’opportunità perduta. Ma sono passati trent’anni. Ciò che va detto ora è che Putin è un dittatore corrotto e paranoico e non credo che nessuna recente Amministrazione potesse fare qualcosa per fermarlo. Ma dovremo ripensarci di nuovo dopo Putin: l’Europa giocherà un ruolo cruciale. Gli Stati Uniti rimangono impegnati in Europa ma diventano sempre meno europei-americani dal punto di vista demografico e guardano sempre più a Sud e Ovest».
Che fine ha fatto l’interventismo liberal americano?
«Ero parte di quel gruppo, anche se non lo chiamerei così: per me, almeno, si trattava di “responsabilità di proteggere”. È qualcosa in cui ho creduto fermamente dopo il Rwanda e il Kosovo. Come disse Kofi Annan quando fondò la Commissione internazionale sull’intervento e la sovranità degli Stati, in Kosovo fu illegale ma legittimo, in Rwanda legale ma non legittimo. Io credo che ci sia un modo di intervenire non in nome del potere statale ma per proteggere le persone, come in Timor Est e in Kosovo, e credevamo che fosse questo l’0biettivo dell’intervento in Libia. Ma senza un piano e le capacità per aiutare concretamente le persone nel nome delle quali intervieni, puoi peggiorare le cose: la Libia oggi è peggio che sotto Gheddafi. Penso che avremmo dovuto intervenire in Siria, bombardando le piste e gli aerei di Assad, senza intervenire nella guerra ma impedendo che usasse armi chimiche e barili bomba. Ma queste esperienze ci hanno resi tutti molto più cauti. Distruggere un Paese per cercare di salvarlo non è giusto. Quelli che ora chiedono la no-fly zone in Ucraina sono soprattutto i neocon».
Ci sono anche democratici come la senatrice Klobuchar del Minnesota favorevoli a valutare l’invio di jet.
«A lungo molti non erano favorevoli a mandare armi a Kiev temendo che avrebbero ulteriormente militarizzato il conflitto. Non più. Io stessa dico che dovremmo fare di tutto per aiutare gli ucraini a difendersi, ma sono assolutamente d’accordo con l’Amministrazione nell’evitare i rischi di una guerra totale, mentre si cerca di fermare il conflitto prima possibile, di fermare Putin. Ma nei due partiti, specie nell’estrema sinistra, ci sono anche coloro che non vedono il conflitto nell’ottica della Guerra fredda, non lo reputano tanto diverso dalla Siria o dall’Etiopia. Klobuchar viene da uno Stato con molti ucraini ed europei».

L’Ucraina ha fatto capire a Biden che, accanto alla Cina, dovrà occuparsi di Europa?

«Spero di sì. Posso essere in disaccordo su questioni più ampie, l’Amministrazione ha gestito bene questa crisi. Ciò cambierà ilpivot to Asia
? Ci sono figure dominanti nel governo che anche ora dicono che è il focus sull’Asia va solo intensificato. Il ruolo della Cina in questa crisi è un aspetto serio. Ma io penso da sempre che il pivot to Asia nel senso di allontanarsi dall’Europa sia un errore. La Casa Bianca non ha un coordinatore senior per l’Europa. Tendiamo a vedere l’Europa del XX secolo, non la più grande economia del mondo né il suo approccio distintivo alla sicurezza: sì, avete bisogno di maggiori capacità militari ma l’Europa è già un potenza civile che ha fatto più degli Usa per integrare gli ex Stati del blocco sovietico e ha legami formidabili con la Cina. Non possiamo per un altro secolo riproporre la contrapposizione Nato-Russia. La Russia è in molti modi parte dell’Europa, va pensata un’architettura di sicurezza comune, il che significa anche un’Europa meno dipendente dagli Stati Uniti. Non adesso: non possiamo cedere a Putin; ma Putin non sarà là per sempre. Io penso che sia l’ora di un reset nel modo in cui gli Stati Uniti vedono l’Europa».

18 marzo 2022 (modifica il 18 marzo 2022 | 22:27)
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, 2022-03-18 21:27:00, «Dal Rwanda al Kosovo ho creduto nella “responsabilità di proteggere”, ma non puoi devastare un Paese per salvarlo», Viviana Mazza

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