di Paolo ValentinoPer l’accademico tedesco «la svolta della Germania è epocale: la reazione all’aggressione militare di Mosca fa superare vecchi sensi di cola e illusioni da Ostpolitik» «Putin si comporta all’insegna del motto: cos’è una nazione, lo decido io. Ma la definizione democratica di una nazione è quella dell’orientalista francese Ernest Renan: “Una nazione è quello che una nazione vuole essere”». Heinrich August Winkler è uno dei maggiori storici tedeschi. Nato nel 1938 a Könisberg, professore emerito alla Humboldt Universität di Berlino, ha legato il suo nome allo studio della Repubblica di Weimar e ad una lettura della storia tedesca che vede quello della Germania come un lungo cammino verso Occidente. Quindi l’Ucraina, a differenza di quanto afferma Putin, è una nazione per sé? «La costruzione di una nazione ucraina indipendente non è stata opera dell’Urss come sostiene Putin. È iniziata molto prima, nel Diciannovesimo secolo. E nessuno negli ultimi tempi ha contribuito al rafforzamento della coscienza nazionale ucraina più di Putin con l’annessione della Crimea nel 2014 e la guerra ibrida nel Donbass, che da sei settimane è entrata in un nuovo e terribile stadio». La Russia può esistere senza una dimensione imperiale? «La Federazione russa non ha ancora iniziato seriamente la sua decolonizzazione interna. Questo è apparso chiaro già dal 1994 con la prima guerra in Cecenia. Nessuna nazione ha il diritto, invocando una tradizione imperiale, di espandersi a spese di altre nazioni o porle sotto la sua egemonia. La Russia rimane una potenza euroasiatica anche senza le ex Repubbliche sovietiche, che non vogliono diventare parte della Russia o suoi satelliti per nessuna ragione. Le democrazie occidentali negherebbero se stesse, se nei confronti della Russia prendessero una posizione che rifiuta il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Questo diritto è scritto nella Carta dell’Onu, nella Dichiarazione finale della Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1975 e nella carta di Parigi del 1990». Ma ritiene legittime le “garanzie di sicurezza” richieste da Putin per la Russia? «L’Occidente non ha mai messo in discussione i legittimi interessi di sicurezza della Federazione russa. Gli occidentali non possono negoziare insieme alla Russia sulla sicurezza di Stati che non appartengono alla Nato senza il loro consenso. Sarebbe una ricaduta nell’imperialismo oppure, che è la stessa cosa, una capitolazione davanti al neoimperialismo di Putin». Sull’onda della crisi in Ucraina, la Germania ha compiuto una svolta radicale: armi a Kiev, fine del Nord Stream 2, riarmo della Bundeswehr, sanzioni pesanti che in futuro potrebbero addirittura riguardare il blocco delle forniture di gas. È il congedo definitivo dalla Ostpolitik e dal “senso di colpa” verso la Russia per la guerra di sterminio nazista? «Il congedo dalle illusioni tedesche, che Olaf Scholz ha sancito con lo storico discorso al Bundestag del 27 febbraio, era dovuto da tempo. La Ostpolitik di Willy Brandt fu parte della politica di distensione occidentale. Ebbe successo, perché l’Urss sotto Breznev era interessata soprattutto allo status quo, cioè al mantenimento delle aree sotto il suo controllo in Europa. Putin, tuttavia vuole cambiare lo status quo attuale a suo vantaggio. È questo che non vedono i “Putin-Versteher”, quelli che capiscono Putin in Germania e negli altri Paesi occidentali. La grande colpa di cui si è macchiata la Germania con la sua guerra di aggressione e annientamento contro la Russia nel 1941 significa colpa non solo verso i russi ma anche verso i bielorussi, gli ucraini e gli altri popoli dell’ex Unione sovietica. Ma la Germania si macchierebbe di una nuova colpa se facesse propria la lettura grande russa e nazionalista della Storia che è di Putin». La Germania ha finito il lungo viaggio verso Occidente, che lei ha raccontato nella sua opera più celebre? «La Germania è sempre appartenuta al vecchio Occidente, all’Europa latina. Ha contribuito all’Illuminismo europeo, rifiutando tuttavia a lungo di trarne le conseguenze politiche come fecero gli americani nel 1776 e i francesi nel 1789. E se le élite tedesche, tra il XVIII e il XIX secolo, fecero propria l’idea dello Stato di diritto, rifiutarono quelle dei diritti umani generali e inalienabili, della sovranità popolare, della democrazia rappresentativa. Un’apertura piena alla cultura politica occidentale si verificò in Germania solo dopo la sconfitta totale nella Seconda guerra mondiale, ma limitatamente alla Repubblica Federale. Nella Ddr questa apertura ebbe luogo solo dopo la rivoluzione pacifica del 1989-90. Lo sviluppo opposto dei due Stati ha conseguenze fino ad oggi. In questo senso, la lunga strada della Germania verso Occidente non è ancora finita. Quanto alla vecchia idea dello speciale rapporto tra Germania e Russia, Putin fa del suo meglio per smascherarla come un’illusione. Anche da questo punto di vista, con Olaf Scholz, possiamo parlare di una svolta epocale». 4 aprile 2022 (modifica il 4 aprile 2022 | 21:28) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-04 19:28:00, Per l’accademico tedesco «la svolta della Germania è epocale: la reazione all’aggressione militare di Mosca fa superare vecchi sensi di cola e illusioni da Ostpolitik», Paolo Valentino