Non una soluzione ottimale, lascerebbe aperti molti problemi, oltre a rappresentare uno strappo doloroso ai principi morali e giuridici della comunit internazionale. Ma si fa strada in America un’ipotesi di congelamento della guerra in Ucraina, all’insegna del meno peggio (se l’alternativa continuare i combattimenti a tempo indefinito).
Il precedente pi citato quello della guerra di Corea 1950-53, tuttora irrisolta visto che non esiste un trattato di pace tra i belligeranti. Quel cessate il fuoco di settant’anni fa per ha consentito alla Corea del Sud di “vincere la pace”, diventando uno dei paesi pi progrediti e benestanti al mondo. Dopo un anno di feroci combattimenti, molte migliaia di vittime, infrastrutture civili distrutte ed enormi altri danni, la guerra in uno stallo. Nessuna delle parti accetta un negoziato. Sul campo di battaglia gli eserciti stremati si contendono piccole strisce di territorio a dei prezzi terribili. Incombe la minaccia di una escalation nucleare. Cos comincia un’analisi sul New York Times di oggi a firma di Sergey Radchenko, docente di relazioni internazionali alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies. L’effetto a sorpresa arriva subito dopo questo primo paragrafo: non si riferisce all’Ucraina di oggi bens descrive la situazione in Corea nel 1951.
Radchenko non il primo a usare questo gioco delle analogie e in passato anch’io ho scritto sul “modello coreano”. Che non certo esemplare: la Corea del Nord rimane una dittatura feroce, un regime del terrore dove la monarchia rossa dei Kim sottopone il suo popolo ad abusi, privazioni e sofferenze enormi. Inoltre Pyongyang una minaccia per il mondo intero, a cominciare dai suoi vicini (Corea del Sud e Giappone) che sottopone a lanci missilistici, mentre persegue il suo programma di armamento nucleare. Per un modello del “meno peggio”, visto che in settant’anni una nuova guerra l non c’ stata, e a Seul fiorita una delle economie pi avanzate del pianeta nonch una democrazia rispettosa dei diritti umani.
Radchenko ricorda il contesto del 1950-53. Anche in quel caso tutto ebbe inizio con una brutale aggressione, l’invasione della Corea del Sud voluta dal dittatore nordcoreano Kim Il-Song (il nonno dell’attuale despota, Kim Jong-Un). Fu decisivo il via libera dato dal leader sovietico Josif Stalin, che a sua volta si garant l’appoggio del fondatore della Repubblica Popolare cinese, Mao Zedong. L’Unione sovietica forniva il grosso degli armamenti, ma la Cina comunista fece molto di pi, mobilitando in appoggio ai nordcoreani fino a un milione di “volontari”, in realt soldati del suo Esercito Popolare di Liberazione. In quel caso non ci fu una guerra per procura ma un conflitto diretto, l’unico (finora) nella storia ad aver opposto cinesi e americani. A evocare l’uso dell’arma nucleare fu soprattutto il comandante delle forze americane, generale Douglas MacArthur, ma fu sonoramente sconfessato e licenziato dal suo presidente, il democratico Harry Truman. A parte il tab del nucleare, al generale MacArthur veniva anche addebitato un errore strategico, l’illusione di poter liberare anche la Corea del Nord, dopo aver ricacciato l’invasore oltre il confine del 38esimo parallelo.
Anche in Corea era chiaro che vi era un aggressore e un aggredito. L’Onu condann all’unanimit l’invasione del Sud. Gli americani vennero chiamati in soccorso da Seul ma non da soli, accanto alle loro truppe intervenne un corpo multinazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. Una fine giusta di quel conflitto avrebbe dovuto infliggere dure sanzioni ai colpevoli. Ma prevalse in Occidente la stanchezza, in particolare fra gli americani che erano freschi reduci della seconda guerra mondiale. Le forze del blocco comunista sembravano disposte a combattere a oltranza, fino a che mor Stalin e la nuova leadership sovietica nel 1953 cambi atteggiamento. La frontiera tra le due Coree fu ristabilita dov’era stata fissata dopo la seconda guerra mondiale, lungo il 38esimo parallelo. N la Corea del Nord, n la Cina n l’Urss pagarono per l’aggressione criminale di cui erano colpevoli.
Non ci fu alcun trattato di pace e il confine coreano rimane una zona ad altissima tensione, dove un conflitto potrebbe riesplodere in qualsiasi momento. Per in questi settant’anni la Corea del Sud ha operato due transizioni che hanno del miracoloso (per lo meno se viste alla luce della situazione nel 1953). Seul passata da una dittatura di destra a una liberaldemocrazia, stata un modello di riforme politiche. Al tempo stesso passata dall’essere un paese poverissimo – negli anni Cinquanta era meno sviluppata di molte nazioni del Nordafrica o del Medio Oriente – al rango di superpotenza tecnologica. Due anni fa ha superato il Pil dell’Italia, pur avendo una popolazione pi piccola (solo 51 milioni di abitanti). un laboratorio di modernit per tanti aspetti fra cui la qualit dell’istruzione, che vede i suoi licei ai primissimi posti nelle classifiche internazionali PISA. La Corea del Sud diventata perfino un’esportatrice di soft power, con la sua creativit culturale che spazia dal cinema alla musica K-Pop alla letteratura. Non si pu replicare altrove un contesto storico ovviamente irripetibile.
Per, tra chi riflette su come uscire dallo stallo attuale in Ucraina, il precedente coreano serve a ricordare che a volte la storia costringe ad accontentarsi del “meno peggio”. Tanto pi se l’Occidente dovesse convincersi che una vittoria dell’Ucraina impossibile. La voglia di voltare pagina nei nostri paesi non giustificata dai sacrifici che abbiamo fatto: sono stati molto inferiori a quel che si temeva. Un anno fa l’Occidente cominciava a varare le prime sanzioni contro la Russia, che furono accompagnate da previsioni iper-allarmiste sui danni che ci saremmo auto-inflitti. Inverno al gelo! Maxi-recessione! Penurie alimentari! Milioni di profughi dall’emisfero Sud! Nessuno di quegli scenari apocalittici si realizzato. Anche il costo dei nostri aiuti all’Ucraina rimane limitato (0,2% del Pil per gli Stati Uniti, la nazione che sta facendo di pi) ed una frazione di quel che abbiamo speso per proteggere noi stessi dal caro-energia.
La guerra in Corea cost 13 volte di pi al contribuente americano, senza contare i 34.000 soldati americani morti su quel fronte. Per i sondaggi indicano ovunque la stessa tendenza, dagli Usa all’Italia: una progressiva erosione dei consensi verso gli aiuti a Kiev. Per quanto riguarda gli Stati Uniti mi riferisco per esempio all’ultimo sondaggio Associated Press-Norc Center: mentre nel maggio 2022 il 60% degli americani intervistati si diceva favorevole all’invio di armi all’Ucraina, nove mesi dopo questa percentuale scesa al 48%, pur rimanendo la maggioranza relativa (i contrari sono il 29%). I consensi sono pi bassi sugli aiuti economici, forse una conseguenza della pubblicit data ai casi di corruzione per i quali Zelensky ha licenziato alcuni ministri. L’opinione pubblica americana, su questo come su quasi ogni altro tema, divisa per simpatie di partito: l’appoggio all’Ucraina ha numeri maggiori tra i democratici, inferiori tra i repubblicani. Non vacilla per adesso il consenso bipartisan al Congresso, dove i repubblicani si limitano a chiedere maggiori controlli sul modo in cui gli aiuti vengono spesi. Per il tema dell’Ucraina torner in gioco durante la battaglia per la nomination repubblicana, visto che Donald Trump contesta tutto ci che Joe Biden sta facendo (anche) in questo campo. Giusta o sbagliata, la stanchezza delle opinioni pubbliche condizioner alcuni governi.
Il “modello coreano” torner ad essere discusso, con tutti gli svantaggi che comporta: primo fra questi va ricordata la dimensione dell’aggressore; ben pi della Corea del Nord, infatti, la Russia potrebbe usare un cessate-il-fuoco per riarmarsi, ricostituire i suoi arsenali, e preparare nuovi attacchi. In questo senso interessante uno scenario evocato pochi giorni fa sul Wall Street Journal E’ la possibilit che le tre maggiori potenze europee (Regno Unito, Francia e Germania) offrano delle formali garanzie di sicurezza all’Ucraina: promesse vincolanti di intervenire in sua difesa, forse sotto forma di trattati. Queste garanzie potrebbero fare da “ponte” in attesa di un ingresso di Kiev nella Nato, che non pu avvenire in tempi brevi.
27 febbraio 2023, 18:57 – modifica il 27 febbraio 2023 | 20:49
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