Ultime notizie: Bene il ritorno alla politica. Ma a quale politica?

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La vicenda dell’elezione del presidente della Repubblica, da qualsiasi parte la si legga, ha confermato le difficoltà della politica ad avanzare un piano di azioni di politiche proiettate nel lungo periodo. La destra, che aspirava ad esprimere un candidato della propria area di riferimento culturale, non c’è riuscita per il mancato accordo al proprio interno. La sinistra ha avuto buon gioco a giocare di rimessa, con un Parlamento determinato nel ridurre i rischi di elezioni anticipate. Così alla fine ha prevalso la soluzione migliore, ovvero la riconferma di Mattarella.
Ad elezione conclusa, nella consapevolezza che il vincitore era stata la forza d’inerzia del sistema, immediatamente è partito il richiamo da parte di tutti per un «ritorno alla politica»; a sua volta rafforzata dal discorso del Presidente: un vigoroso richiamo agli impegni dell’Italia; al proprio interno con una ripresa dell’attività riformatrice; nei riguardi dell’Europa con l’attuazione progressiva e accelerata del programma a sostegno del Pnrr.
Ma c’è una domanda alla quale non è ancora stata data risposta: ben venga un ritorno alla politica, già, ma a quale politica? In effetti a questa domanda la risposta c’è stata (ed è quella richiamata -più o meno- da tutti), cioè «il ritorno alla Costituzione».

La nostra Costituzione fu il risultato preziosissimo di una cooperazione trasversale, in buona fede (cioè senza calcoli elettorali), molto intensa, delle tre anime spirituale dell’Italia post-fascista e post-bellica: quelle cattolica, laica e social-comunista.
Nella prima parte della Costituzione vengono ribaditi i valori fondanti di una convivenza civile, basata sul consenso, organizzata in forma democratica nella tripartizione dei poteri. Nella seconda parte viene tracciato un “disegno” costituzionale, costruito sui corpi intermedie: i partiti, i sindacati, le varie articolazioni delle società civili a partire dal volontariato diffuso. Nel pieno rispetto delle autonomie reciproche.
Oggi basta guardarsi intorno per osservare immediatamente che queste fondamenta di architettura organizzativa dello stato, gradualmente non esistono più, almeno nella forma originariamente immaginata. Non tanto (meglio, non solo) per azioni malevoli finalizzate, ma perché è cambiato “il contesto”, ovvero il mondo. La lista dei cambiamenti sarebbe interminabile e accuratamente la evitiamo.
Ma soprattutto è cambiata la cultura del “fare politica”; che oggi si è ridotta, in gran parte per chi la pratica, all’intreccio tra la propria carriera privata e l’ineludibile necessità di raccogliere i voti necessari per la rielezione.
Per questo la politica è diventata “banale”: si è imprenditorializzata. Gli elettori sono i clienti, la politica si fa marketing (ed ai clienti si offre il prodotto che vogliono), le regole sono quelle di un qualsiasi mercato, senza particolari qualità. Se così è, i valori tradizionali della politica – il bene comune, l’equità nella distribuzione dei redditi, l’inclusione – perdono di significato.
Restano solo bandierine per gli irriducibili, peraltro sempre meno per le leggi ferree della demografia.
O per gli ipocriti. Il dibattito televisivo è ben lontano rispetto all’eleganza e sobrietà delle vecchie tribune elettorali; oggi prevalgono le voci forti (non di rado volgari), gli scontri verbali, toni che ormai hanno finito per stancare tutti.
In queste condizioni è naturale che il paese sia diventato una specie di società per azioni, strumento perfetto per il funzionamento dei mercati. I voti degli elettori-azionisti si contano, ma soprattutto si pesano.
Ed è quindi normale che con questa organizzazione siano fondamentali il presidente, che è il garante del rispetto dello statuto (per noi la Costituzione), e l’amministratore delegato, cioè il presidente del consiglio, che non è più un “primo tra pari”, ma un capo che decide in autonomia.
E, detto tra le righe, in Italia siamo fortunati che il presidente sia un garante di sicuro riferimento, e che l’amministratore delegato, Mario Draghi, sia tra i migliori disponibili al mondo. Approfittiamone per tenerceli ben stretti!
I politici che vogliono cambiare, magari con la finzione di richiamarsi alla Costituzione, dovrebbero almeno riconoscere: primo, che siamo arrivati qua perché qua ci ha condotti una politica banale, che ha contato sul supporto (magari inconsapevole, comunque ingenuo) degli elettori. Secondo, che per cambiare, gli stessi politici dovrebbero cominciare a cambiare sé stessi. Che, come canta Vasco, è quasi impossibile.

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