Ultime notizie: La toga rossa: “Ora una legge sui pm che fanno politica”

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Le toghe di sinistra dicono basta alle toghe che scendono in politica e poi fanno carriera con la toga. «È inaccettabile – dice al Giornale Stefano Musolino, leader di Md e pm antimafia in prima linea contro la ‘ndrangheta – come ci insegna Stefano Rodotà è indispensabile prima tutelare le istituzioni».

Per Sergio Mattarella il Csm deve essere efficiente e credibile…

«La sfida coinvolge tutti. Quanto al Csm confido che una buona riforma elettorale lo faccia tornare ad essere la casa trasparente dei magistrati. Organizzazione degli uffici, criteri di valutazione della professionalità e disciplinare vanno riviste alla luce delle pessime condizioni di lavoro con cui si confrontano i magistrati».

La magistratura ha gli anticorpi necessari per contrastare corruzione e carrierismo?

«Servono regole che sdrammatizzino lo strisciante carrierismo che si nutre di una diffusa deferenza gerarchica, contraria allo spirito costituzionale».

La profezia di Craxi (le toghe si arresteranno tra di loro) sembra miseramente avverarsi

«A me non sembra affatto! Quella profezia muoveva da un radicato pregiudizio: l’uso politico della giustizia. Ed immaginava, perciò, la magistratura come uno spazio di contesa del potere. Non è questo. E infatti, anche se è in profonda crisi d’identità e di prospettive, ha dimostrato di avere gli anticorpi per sapere reagire, accertando e sanzionando le condotte insane di alcuni colleghi. Il problema del carrierismo è un veleno culturale diffuso che mette in crisi la magistratura orizzontale, prevista dall’articolo 107 Costituzione, senza che di ciò si abbia adeguata consapevolezza dentro e, soprattutto, fuori dalla magistratura».

Ma niente separazione delle carriere…

«Insistiamo per riforme che impediscano la formazione di carriere parallele dentro la magistratura. La Costituzione ha stabilito che i magistrati siano tutti uguali e si distinguano solo per le funzioni che svolgono. Una giustizia inefficiente frustra tanto chi la riceve, quanto chi l’amministra e questo spinge molti a cercare vie di fuga verso incarichi direttivi o fuori ruolo. Ridare dignità e incisività al nostro lavoro è una delle chiavi per battere il carrierismo».

È più preoccupato per la riforma del Csm in discussione in Parlamento o del referendum?

«Sono preoccupato dagli slogan e dalla semplificazione che stanno alla base dei referendum sulla giustizia, che influenzano il dibattito parlamentare e la pubblica opinione, non aiutando la comprensione reale dei problemi. La crisi della giustizia è la somma di complessi problemi, stratificatisi nel tempo; chi propone soluzioni semplificatorie mente».

C’è margine per il dialogo Anm-Parlamento?

«L’inefficienza della giustizia genera rendite di posizioni economiche e sociali, ormai strutturali nella nostra società, su cui alcune forze parlamentari hanno costruito il consenso. Ma se è davvero venuto il momento di cambiare passo, la magistratura non vede l’ora di garantire il suo contributo».

Ha ancora senso parlare di correnti?

«Corrente è un termine che il mainstream mediatico ha contribuito a fare percepire in termini spregiativi. Eppure trovare un luogo di confronto tra persone che hanno una comune sensibilità è solo una ricchezza da tutelare. I gruppi associativi se restano luoghi di confronto e proposta saranno l’asse portante per un autentico rinnovamento della magistratura, saldamente fondato sui binari costituzionali che ne tutelino autonomia ed indipendenza».

Dopo le fratture interne, cosa resta di Md e delle cosiddette toghe rosse?

«Toghe rosse è uno stereotipo pensato per evocare una magistratura faziosa ed asservita a un’ideologia che avrebbe agito secondo la logica amico/nemico e non secondo diritto. Md non è mai stata questo, se non nel pensiero di chi temeva il controllo di legalità e le attribuiva i suoi cattivi pensieri».

E allora cosa è stata?

«Un gruppo che ha tentato di dare concretezza nella giurisdizione alle promesse costituzionali, smuovendo le acque chete della magistratura. Questa eredità è oggi la nostra sfida, da declinare in modo nuovo, perché sono in crisi i diritti fondamentali delle persone, la loro dignità, mentre le disuguaglianze increspano la trama della solidarietà sociale, per come ci ha rammentato il presidente della Repubblica. Coltivare queste sensibilità nella giurisdizione è la nostra vocazione».

Un’ultima domanda. Ci sono stati Pm eletti che poi si sono rimessi la toga e hanno fatto sentenze tacciate di essere “politiche”. Non è il momento di dire basta alle porte girevoli?

«Vedere un magistrato impegnato in campagna elettorale nel luogo in cui fino a poco prima ha esercitato delicatissime funzioni è istituzionalmente e politicamente inaccettabile. Ogni magistrato che abbia una responsabilità rappresentativa deve far prevalere l’esigenza di salvaguardare la giurisdizione dalle accuse (vere o false) di strumentalizzazione politica, anche al prezzo di sacrificare la tensione civile e l’impegno di cittadino. Così fece uno degli storici esponenti di Md come Franco Ippolito, la legge glielo consentiva, ma prevalse in lui la spinta etica. Se la decadenza dei tempi, ci ha fatto dimenticare queste regole minime che non c’era bisogno fossero scritte, è tempo che il Parlamento si assuma la responsabilità di ribadirle con forza in una norma primaria».

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