Sono gli ultimi giorni di scuola. E in tutti vi è la consapevolezza di essere riusciti, nonostante mille difficoltà, a portare in porto la barca della formazione e del suo sottofondo educativo.
Un grazie corale, dunque, ai docenti, ai presidi e al personale, ma anzitutto agli studenti e ai loro genitori.
Un fine d’anno scolastico che va vissuto con un grande respiro, che dica un’aria di libertà capace di non ripiegarmi su se stessa, sapendo che i due anni e mezzo di pandemia hanno segnato un po’ tutti, ma che a segnare la comune percezione del tempo che stiamo vivendo si è aggiunta ora anche la tragedia ucraina, la quale ci dice che il cuscinetto di sicurezza di cui eravamo abituati ora non è più scontato. I punti fermi del nostro modo di vivere e pensare, cioè, non sono così ovvii. Perchè sembrava che queste tragedie fossero sempre e comunque lontane, mentre sono a noi vicine e, per le interconnessioni, stanno comunque segnando anche le nostre vite.
Finisce la scuola, dunque, ma il tempo complicato sembra essere l’unico punto fermo, con una domanda di futuro che è tutt’altro che scontata, nonostante tutti gli sforzi.
La scuola, perciò, è sempre meno parentesi della vita, ma è vita a tutto tondo.
Perché questo fa la scuola, assieme alle famiglie, accompagnare la crescita di bambini, ragazzi, giovani. Una maturazione, si spera, sempre equilibrata, creativa, positiva.
Oggi si crede che ciò che non fa il passato riesca a farlo la tecnologia, con tutta la serie di innovazioni che stanno segnando il nostro quotidiano.
Quasi a dire che ciò che la realtà non garantisce più, è comunque il virtuale a supplire o a reinventare.
Ma il virtuale, appunto, non è il reale, nonostante voglia essere letto come una sua proiezione.
E questo è il vero punto critico di questi nostri tempi iper-tecnologici.
Punto critico che ritroviamo nel rapporto o nesso tra mezzi e fini. Perché le tecnologie, come tutti gli strumenti, non sono dei fini, mentre il rischio dei nostri giorni è proprio questo, che i mezzi, e la loro utilizzabilità, diventino fine a se stessi, e non al servizio delle persone e delle reti di relazioni.
In termini formativi, che non si traducano in apertura mentale di pensiero pensante.
Se consideriamo, ad esempio, i risultati degli ultimi anni sui processi cognitivi dei nostri ragazzi e adolescenti troviamo infatti diverse criticità sui loro percorsi di conoscenza e di maturazione formativa a tutto tondo.
Cosa abbiamo ad esempio imparato dalle vicende di questi due anni e mezzo, oltre alla rivoluzione digitale degli ultimi decenni?
Abbiamo imparato che nessuna tecnologia sostituirà mai il ruolo del docente e della vita di classe.
Non sempre ce ne rendiamo conto.
Una cosa non semplice, ma questa è la realtà.
Anche la scuola italiana da un po’ di anni sta inseguendo questa nuova stagione, con investimenti di non poco conto, sulle strutture e sulla formazione delle persone.
Con rilievi critici che sono sospesi tra una frenesia in alcuni casi ideologica dei nuovi profeti del “tutto tecnologia”, e la difficoltà di corrispondere con un “pensiero pensante” alle nuove sfide culturali e psico-sociali. Mi verrebbe da aggiungere: sfide spirituali .
Basta vedere i nostri ragazzi come crescono con pane e cellulare, ma anche noi stessi, incapaci di staccarci, per un attimo, dai nostri aggeggi elettronici. Tutti sempre connessi, forse per paura di ritrovarci soli a reggere la scorza dura della realtà.
Per questo rischio dell’eterna connessione, perché a volte senza relazione, abbiamo bisogno di una scuola che sia sempre altro dagli strumenti, seppur sempre più raffinati.
Per quello sfondo educativo che ci vede tutti coinvolti, non solo i bambini e gli adolescenti, in ragione di una responsabilità di crescita aperta, creativa, equilibrata, secondo talento, capacità e preparazione di base.
Non è forse vero, sentendo ad esempio tanti adolescenti, che sono aumentate le difficoltà di concentrazione a scuola, con una immagine della vita di classe che troppe volte sembra essere una replica della DaD, di una connessione ancora virtuale, sul piano delle socialità? Un punto sul quale dovremo tornare, finita la scuola, e a mente fredda.
Qui non si tratta di fare voli pindarici o di aprire il libro dei sogni, ma di proporre un vero aggiornamento, centrato sul cuore della formazione, che è il pensiero pensante, personalizzato ma relazionalmente aperto.
Le persone, cioè, al centro. E le persone non sono un mero, come si suol dire, capitale umano, per le tante implicazioni del nostro esserci. Sono sempre di più e oltre.
Il problema rimane dunque legato alle persone, al loro esserci, per tutte le età e tutti i contesti. E tutti si devono far persuasi, a partire da bambini, ragazzi e giovani, che anche la tecnologia va pensata, cioè mediata. Dunque non subìta.
Perché internet e questi aggeggi spingono fortemente sulla via della percezione frammentaria, immediata, ma facendo correre a tutti il rischio reale, al tempo stesso, di togliere spazio al cuore del nostro vissuto e delle nostre relazioni, cioè alla mediazione dell’intelligenza, cioè alla regia della propria e comune coscienza. Non ci possono essere formazione e cultura senza la mediazione dell’intelligenza, per cui nessuna tecnologia sostituirà mai il ruolo del docente in classe. Cambierà la modalità di questa presenza, ma, direttamente o indirettamente, sarà comunque insostituibile. Le stesse tecnologie, in fondo, sono e rimarranno sempre degli strumenti, dei meri strumenti.
, 2022-06-03 14:11:00, Sono gli ultimi giorni di scuola. E in tutti vi è la consapevolezza di essere riusciti, nonostante mille difficoltà, a portare in porto la barca della formazione e del suo sottofondo educativo. Un grazie corale, dunque, ai docenti, ai presidi e al personale, ma anzitutto agli studenti e ai loro genitori. Un fine d’anno scolastico […]
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