di Marco Ricucci*
Molti stamattina hanno occhi stanchi per i bagordi di ieri notte. E trepidanti perché temono un debito a settembre o peggio la bocciatura. Io rileggo di nascosto la pagina di «Cuore» che invita ad amare i propri maestri
«E già in lontananza fumano i tetti dei casolari/e più lunghe, discendono, dall’alto dei monti, le ombre». Così si chiude la prima egloga delle celeberrime Bucoliche di Virgilio e così, oggi, si chiude un anno scolastico: mentre i pastori rievocano, nel loro paesaggio arcadico, la notte di una lunga giornata che piano piano muore, oggi è la fine della scuola, con l’arrivo della luce accecante dell’estate, foriera di vacanze spensierate. Oggi si celebra un rito, come tutti noi adulti ricordiamo: stamattina, molte alunne e molti alunni chiederanno conferma ai prof, in tutta preoccupazione, se avranno i «debiti» a settembre, capaci di rovinare due mesi, al fine di consolidare gli apprendimenti ritenuti inadeguati per l’ammissione alla classe successiva. Così ci si esprime nel gergo del burocratese scolastico. Giudizio sospeso, insomma, come questa giornata che tutti sentono passare velocemente, come una lunga ombra che si accorcia nella scalata della montagna, chiamata scuola. Fuor di metafora, c’è chi ha faticato molto in questo anno scolastico e non avrà, subito, l’agognata promozione; e qualche genitore già incomincia a temere lo squillo del cellulare dove comparirà il numero della scuola, tra qualche giorno, dopo gli scrutini, da parte del coordinatore per annunciare il verdetto, ovvero la bocciatura! Oggi è l’ultimo giorno anche di interrogazioni che sono la extrema ratio per «salvare» l’anno.
Passando, infatti, tra le classi che hanno la porta aperta per arieggiare il caldo milanese, si ha la prova se professoresse e colleghi sono «buoni»: ci sono studenti ancora seduti vicino alla cattedra. Altrimenti, l’ultimo giorno di scuola si passa insieme: si gioca, si parla, si progettano le vacanze, un allegro vociare, non più bofonchiare, per un anno trattenuto dal reverenziale silenzio in ascolto delle lezioni di matematica e latino. Non è dappertutto uguale l’ultimo giorno di scuola, in Italia: qualche collega e amico del Sud, infatti, mi riferisce che la scuola per alcuni è finita da un pezzo, e il mare ha preso il sopravvento. Oggi gli occhi di molti ragazzi sono stanchi, perché hanno fatto «notte»: hanno esorcizzato la fine di un anno trascorso insieme andando in discoteca, all’insegna del divertimento. Una piccola constatazione, che suscita un movimento di tenerezza, è passare all’intervallo, che oggi ha la magia di allungarsi oltre il limite dell’orario consueto, se si ha la fortuna di avere un prof comprensivo, nelle prime superiori, in cui l’adolescenza è appena sbocciata: si banchetta con il junk food, che stomaci di corpi in pieno sviluppo possono ingurgitare: patatine, biscotti, bibite, pizzette. Una sorta di Paese del Bengodi in senso modernista e su format di teenagers: «Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce… ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato…presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua». Così racconta Boccaccio in una celebre novella.
Ma finisce la scuola anche per chi è dall’altra parte della barricata, ovvero in cattedra, ma non subito. Inizia per la maggioranza dei docenti la parte più indigesta ma tanto fondante, cioè la burocrazia, che non riguarda gli scrutini, ma consiste la realizzazione degli adempimenti finali, che, mutatis mutandis, si potrebbe paragonare, impropriamente, alla chiusura di un bilancio aziendale, al cui vertice ci sta un dirigente, figura che nella scuola è sempre meno un leader pedagogico-educativo, come dovrebbe essere.
Consumo io una piccola cerimonia personale, come segno apotropaico per l’anno scolastico che si chiude, e il nuovo che verrà. Rileggo, segretamente, come se mi vergognassi di parole tanto lontane, di un mondo ormai storicamente concluso, e già illo tempore idealizzato, una pagina del libro Cuore: «Ama il tuo maestro, perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari, sparsi per tutta Italia, i quali sono come i padri intellettuali dei milioni di ragazzi che crescon con te; i lavoratori mal riconosciuti e mal ricompensati, che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente». Naturalmente occorre amplificare la categoria dei «maestri» e i numeri di chi lavora nel mondo della scuola; per il resto le considerazioni che Edmondo de Amicis rivolge a un ipotetico scolare dell’Italia di fine Ottocento valgono ancora. Le vacanze estive, dunque, sono quasi alle porte: prima però bisogna consultare i famigerati tabelloni, anche se con il registro elettronico si è un po’ persa la magia della calca di studenti ammassati per trovare il proprio nome su miriadi di fogli appesi. Ma ogni cosa a suo tempo: oggi è l’ultimo giorno di scuola e il resto può attendere.
*professore di Italiano e Latino presso il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Milano e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Milano
8 giugno 2022 (modifica il 8 giugno 2022 | 10:04)
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, 2022-06-08 21:01:00, Molti stamattina hanno occhi stanchi per i bagordi di ieri notte. E trepidanti perché temono un debito a settembre o peggio la bocciatura. Io rileggo di nascosto la pagina di «Cuore» che invita ad amare i propri maestri, Marco Ricucci*