Umiliazione, è l’arroganza perversa di chi vuole mortificare la vittima

Umiliazione, è l’arroganza perversa di chi vuole mortificare la vittima

Spread the love

Se avessimo bisogno di una conferma di quanto sia sottile il confine tra una virt e una dolorosa prevaricazione, questa parola perfetta per ricordarcelo e per riportarci con i piedi per terra. Non in senso figurato, proprio letterale.

Una vigliaccheria antica. Anche se in queste settimane ha avuto una rinnovata risonanza, umiliazione una parola antica, cos come sono eterni gli atti di sottomissione che i potenti di turno hanno imposto a chi non poteva ribellarsi. qualcosa di pi dell’affermazione di una superiorit, piuttosto l’arroganza di infliggere la peggiore punizione ad un nemico gi sconfitto.

Le forche caudine. Prendiamo come primo esempio un episodio storico che tutti noi abbiamo incontrato nei primi anni di studio, le forche caudine. Sicuramente ricordiamo questa espressione entrata poi nella lingua come proverbiale per indicare una grande umiliazione. Magari non ci ricordiamo che l’episodio avvenne nel 321 a.C. fra Caserta e Benevento dove si trovava l’antica Caudium che aveva dato il nome alla Valle Caudina. Qui l’esercito romano venne sconfitto dai sanniti, che costrinsero – come racconta Tito Livio – prima i Consoli e poi tutti gli altri superstiti delle legioni a sfilare nudi sotto un giogo formato dalle lance incrociate, subendo lo scherno e le percosse dei vincitori.

La vilt fascista. Se pensate che una vigliaccheria cos ripugnante appartenga solo alla storia antica siete fuori strada. Durante gli anni che portarono Mussolini al potere e il primo periodo del fascismo in Italia la persecuzione degli avversari politici da parte degli squadristi neri non si limitava ad agguati, arresti indiscriminati e omicidi (dal caso Giacomo Matteotti ai molti meno noti). Una delle abitudini degli squadristi (sempre in gran numero contro singoli, spesso presi davanti ai familiari) consisteva nel sequestrare gli avversari e costringerli a bere grande quantit di olio di ricino, un lassativo che provocava ai malcapitati violente scariche di diarrea. L’obiettivo era quello di ridicolizzarli, umiliandoli pubblicamente. Alcuni studi inglesi (Cecil Adams e Richard Doody) hanno sostenuto che questo uso dell’olio di ricino come strumento di tortura stato inventato da Gabriele D’Annunzio durante l’occupazione di Fiume.

L’origine sotto i piedi. Umiliazione ci arriva dal latino tardo humiliatio -onis. Quello che ci interessa la radice che accomuna questa parola all’umilt e all’aggettivo umile. La madre di tutte queste parole il termine humus terra. Il significato del latino hŭmĭle(m) propriamente poco elevato da terra. Se andiamo a cercare le definizioni di umilt, scopriamo una condizione non elevata, modesta, bassa, pi vicina a terra verrebbe da dire; oltre a trovare la consapevolezza dei propri limiti e il rifiuto dell’orgoglio e della sicurezza eccessivi, insomma il contrario della superbia. D’altronde la superbia (parola composta da super sopra e bios, in questo caso essere) in definitiva un crescere sopra e al di l dell’insopportabile arroganza, un allontanarsi da terra.

Un atto concreto. L’umiliazione descrive un fatto concreto, l’atto di umiliare, la grave mortificazione che viene inflitta, ma anche l’assoggettarsi in una condizione di sottomissione. O il fatto stesso, ci che umilia. L’immagine che sembra unire tutte queste situazioni e quella dell’inchino non come omaggio ma come il calare la testa verso il terreno. Un movimento che rende il corpo indifeso, abbassa lo sguardo, materializza una condizione di inferiorit.

Un’emozione dolorosa. L’umiliazione sempre una mancanza di rispetto che vuole mettere in evidenza gli errori e i difetti (veri o presunti, non importante) di chi viene colpito. L’obiettivo non solo denigrare la vittima ma colpirne la personalit, contando sulla sua impossibilit o incapacit di reazione. Per questo l’umiliazione una tortura tipica di chi detiene o crede di avere un potere ed del tutto indifferente al dolore che provoca. Quando non ne compiaciuto e in questo caso si tratta di cinismo e di una pericolosa perversione.

Il pubblico essenziale. Esiste una componente che potremmo definire spettacolare nell’umiliazione. Chi la infligge non mira solo a mortificare la vittima, vuole che questo estremo imbarazzo sia pubblico, sia visibile e lasci delle impronte destinate a durare dolorosamente nel tempo. Per questo le umiliazioni sono spesso portate da gruppi di mediocri nei confronti di singoli. Perch la massa (squadristi o bulli non cambia molto) rassicurata dal numero e ritiene che il singolo non possa reagire. Chi umilia ha bisogno di spettatori complici, vigliacchi almeno quanto lui.

Azioni e reazioni. L’umiliazione lascia un rancore profondo che dura quanto il dolore. Se non ci si trova in una condizione oggettiva di sudditanza (pensate ai manifestanti arrestati in paesi dittatoriali), pensare che accettare una umiliazione sia un modo per ridurne le conseguenze sempre un grave errore. Piegarsi all’arroganza, alla perversione, al disprezzo, lascia ferite molto maggiori rispetto a quelle che potrebbe provocare una coraggiosa reazione. Denunciare i bulli e i violenti pi semplice di quanto potrebbe sembrare, perch tolti dall’alone arrogante del gruppo restano sempre dei codardi. Magari riservando loro insieme a un giusto castigo, l’indifferenza e il disprezzo che meritano. Pensare di punire chi umilia, umiliandolo, una concezione primitiva lontana da una semplice idea di giustizia e dalla nostra civilt. Che i bulli, prima o poi, li ha sconfitti sempre.

30 novembre 2022 (modifica il 30 novembre 2022 | 09:42)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-11-30 09:34:00, Deriva dal termine humus «terra». È la viltà di mediocri che si credono impuniti. E ha bisogno di una decisa e giusta reazione, Paolo Fallai

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.