Mezzogiorno, 3 aprile 2022 – 08:48 di Mario Rusciano La cerimonia della firma martedì scorso del cosiddetto “Patto per Napoli”, da parte del Presidente Draghi e del Sindaco Manfredi, nella Sala dei Baroni in Castelnuovo, ha avuto una solennità adatta alla natura dell’evento: gioioso e triste. Gioioso perché forse consentirà la ripresa della città; triste perché pone riparo al fallimento napoletano che costerà non poco alla cittadinanza. Con la firma del Patto, com’è noto, il Governo si è impegnato a venire in soccorso del Comune. Il finanziamento di un miliardo e duecento milioni in vent’anni ne evita il dissesto formale, fermo restando quello sostanziale che ci accompagnerà a lungo. Se a tempo debito de Magistris non avesse litigato con tutti su tutto, inutilmente, avrebbe risparmiato a Napoli l’ennesimo disdoro. Ma, da napoletani, scordiamoci il passato e guardiamo al futuro. Qualche riflessione di prospettiva suggeriscono i discorsi del Presidente Draghi e del Sindaco Manfredi alla firma del patto. Il discorso di Draghi su Napoli e Mezzogiorno non è tanto nuovo. Altre volte esponenti governativi hanno detto: «l’Italia non riparte se non riparte il Sud»! Ma dopo le parole niente fatti: il Sud non è ripartito, mentre l’Italia è ripartita solo in parte e al Nord. Va però apprezzata l’onesta cautela di Draghi in quest’occasione. Dicendo che «l’Italia tutta ha bisogno che Napoli e il Mezzogiorno siano un motore del Paese», non si è sbilanciato nella solita cantilena. Si è limitato a considerare Napoli e il Sud «un», non «il», motore del Paese. E, dopo aver richiamato i mali del Mezzogiorno — tra cui: «il reddito pro capite è poco più della metà di quello del Centro-Nord e il tasso di disoccupazione è più del doppio» — ha ribadito che l’obiettivo del Pnrr è «di colmare i divari territoriali, ormai insopportabili». Perciò «il piano destina circa il 40% delle sue risorse al Sud», come del resto ufficialmente affermato a più riprese. Il fatto è che invece, secondo autorevoli economisti meridionali, questo annuncio è stato tanto ripetuto quanto non confermato dalle specifiche previsioni dei ministeri competenti dei vari progetti. Vai a capire! Forse però stavolta l’impegno sul 40% al Sud è più credibile: richiamato da Draghi nella circostanza della sua visita per la firma del patto e nel ribadire che, allo stanziamento pattuito, si aggiungeranno gli stanziamenti del Pnrr. Può darsi cioè che il suo discorso, assieme ai concreti impegni — e alle sue sorridenti espressioni nelle varie tappe della visita napoletana — vada al di là della retorica. Il che, a prima vista, potrebbe sembrare una semplice speranza se non ci fosse stato il discorso del Sindaco, che ha completato il quadro dei reciproci impegni contenuti nel patto, con un’affermazione non banale. Dopo un educato ringraziamento a Draghi, Manfredi ha detto: «ora tocca a noi»! I napoletani naturalmente si sono chiesti: «a noi chi? Con chi ce l’ha?». Domanda legittima poiché la frase è a effetto, ma alquanto generica. La logica di buona parte dei napoletani li ha subito indotti a pensare che l’impegno toccasse a lui stesso, alla Giunta, al Consiglio Comunale e magari ai Dirigenti di Comune e Società partecipate. Tutti pagati, chi più chi meno, per occuparsi della cosa pubblica. Quest’interpretazione restrittiva mi pare sbagliata: se così non fosse Manfredi avrebbe detto un’ovvietà. Secondo gl’ingenui benpensanti invece il Sindaco ha inteso chiamare a raccolta l’intera cittadinanza. Ha voluto cioè richiamare alle proprie responsabilità ogni napoletano. Certamente i singoli dipendenti del Comune, abituati (non tutti) al proverbiale «lassismo municipale». Poi i lavoratori delle varie burocrazie operanti in città, specie se addetti ai servizi essenziali (trasporti e igiene ambientale). Dunque, oltre ai lavoratori del Comune, quelli degli organismi locali di ministeri ed enti pubblici nazionali. L’apparato comunale infatti è parte importante ma non unica della vasta rete organizzativa napoletana. Il funzionamento complessivo della città dipende anche dal serio impegno lavorativo di ogni lavoratore e dall’efficienza degli organismi operanti nei settori pubblici: beni culturali (Soprintendenze); opere pubbliche; prefettura; motorizzazione civile; forze dell’ordine; scuole e università; tribunali amministrativi e giurisdizione ordinaria; ospedali e servizi sanitari; organismi regionali ecc. Insomma la ripresa della città esige uno sforzo collettivo proprio perché le funzioni e i tempi di una città sono interdipendenti. Se i diversi organismi non si parlano tra loro attraverso conferenze di servizi e altri intese — oggi facilitate dalle interconnessioni digitali — non si va da nessuna parte. D’altronde quanti vivono a Napoli stanno tutti nella stessa barca: se ne accorgeranno quando dovranno pagare più tributi per far gradualmente rientrare il cospicuo debito comunale. Perciò forse la frase del Sindaco — «ora tocca a noi» — va interpretata in questo senso: dobbiamo remare tutti seguendo la rotta d’un’unica bussola. L’attivo coinvolgimento dei cittadini è un aspetto importante della «partecipazione democratica» di cui Napoli e il Sud soffrono l’assenza, nonostante sia un pilastro della convivenza civile. 3 aprile 2022 | 08:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-03 06:48:00, Mezzogiorno, 3 aprile 2022 – 08:48 di Mario Rusciano La cerimonia della firma martedì scorso del cosiddetto “Patto per Napoli”, da parte del Presidente Draghi e del Sindaco Manfredi, nella Sala dei Baroni in Castelnuovo, ha avuto una solennità adatta alla natura dell’evento: gioioso e triste. Gioioso perché forse consentirà la ripresa della città; triste perché pone riparo al fallimento napoletano che costerà non poco alla cittadinanza. Con la firma del Patto, com’è noto, il Governo si è impegnato a venire in soccorso del Comune. Il finanziamento di un miliardo e duecento milioni in vent’anni ne evita il dissesto formale, fermo restando quello sostanziale che ci accompagnerà a lungo. Se a tempo debito de Magistris non avesse litigato con tutti su tutto, inutilmente, avrebbe risparmiato a Napoli l’ennesimo disdoro. Ma, da napoletani, scordiamoci il passato e guardiamo al futuro. Qualche riflessione di prospettiva suggeriscono i discorsi del Presidente Draghi e del Sindaco Manfredi alla firma del patto. Il discorso di Draghi su Napoli e Mezzogiorno non è tanto nuovo. Altre volte esponenti governativi hanno detto: «l’Italia non riparte se non riparte il Sud»! Ma dopo le parole niente fatti: il Sud non è ripartito, mentre l’Italia è ripartita solo in parte e al Nord. Va però apprezzata l’onesta cautela di Draghi in quest’occasione. Dicendo che «l’Italia tutta ha bisogno che Napoli e il Mezzogiorno siano un motore del Paese», non si è sbilanciato nella solita cantilena. Si è limitato a considerare Napoli e il Sud «un», non «il», motore del Paese. E, dopo aver richiamato i mali del Mezzogiorno — tra cui: «il reddito pro capite è poco più della metà di quello del Centro-Nord e il tasso di disoccupazione è più del doppio» — ha ribadito che l’obiettivo del Pnrr è «di colmare i divari territoriali, ormai insopportabili». Perciò «il piano destina circa il 40% delle sue risorse al Sud», come del resto ufficialmente affermato a più riprese. Il fatto è che invece, secondo autorevoli economisti meridionali, questo annuncio è stato tanto ripetuto quanto non confermato dalle specifiche previsioni dei ministeri competenti dei vari progetti. Vai a capire! Forse però stavolta l’impegno sul 40% al Sud è più credibile: richiamato da Draghi nella circostanza della sua visita per la firma del patto e nel ribadire che, allo stanziamento pattuito, si aggiungeranno gli stanziamenti del Pnrr. Può darsi cioè che il suo discorso, assieme ai concreti impegni — e alle sue sorridenti espressioni nelle varie tappe della visita napoletana — vada al di là della retorica. Il che, a prima vista, potrebbe sembrare una semplice speranza se non ci fosse stato il discorso del Sindaco, che ha completato il quadro dei reciproci impegni contenuti nel patto, con un’affermazione non banale. Dopo un educato ringraziamento a Draghi, Manfredi ha detto: «ora tocca a noi»! I napoletani naturalmente si sono chiesti: «a noi chi? Con chi ce l’ha?». Domanda legittima poiché la frase è a effetto, ma alquanto generica. La logica di buona parte dei napoletani li ha subito indotti a pensare che l’impegno toccasse a lui stesso, alla Giunta, al Consiglio Comunale e magari ai Dirigenti di Comune e Società partecipate. Tutti pagati, chi più chi meno, per occuparsi della cosa pubblica. Quest’interpretazione restrittiva mi pare sbagliata: se così non fosse Manfredi avrebbe detto un’ovvietà. Secondo gl’ingenui benpensanti invece il Sindaco ha inteso chiamare a raccolta l’intera cittadinanza. Ha voluto cioè richiamare alle proprie responsabilità ogni napoletano. Certamente i singoli dipendenti del Comune, abituati (non tutti) al proverbiale «lassismo municipale». Poi i lavoratori delle varie burocrazie operanti in città, specie se addetti ai servizi essenziali (trasporti e igiene ambientale). Dunque, oltre ai lavoratori del Comune, quelli degli organismi locali di ministeri ed enti pubblici nazionali. L’apparato comunale infatti è parte importante ma non unica della vasta rete organizzativa napoletana. Il funzionamento complessivo della città dipende anche dal serio impegno lavorativo di ogni lavoratore e dall’efficienza degli organismi operanti nei settori pubblici: beni culturali (Soprintendenze); opere pubbliche; prefettura; motorizzazione civile; forze dell’ordine; scuole e università; tribunali amministrativi e giurisdizione ordinaria; ospedali e servizi sanitari; organismi regionali ecc. Insomma la ripresa della città esige uno sforzo collettivo proprio perché le funzioni e i tempi di una città sono interdipendenti. Se i diversi organismi non si parlano tra loro attraverso conferenze di servizi e altri intese — oggi facilitate dalle interconnessioni digitali — non si va da nessuna parte. D’altronde quanti vivono a Napoli stanno tutti nella stessa barca: se ne accorgeranno quando dovranno pagare più tributi per far gradualmente rientrare il cospicuo debito comunale. Perciò forse la frase del Sindaco — «ora tocca a noi» — va interpretata in questo senso: dobbiamo remare tutti seguendo la rotta d’un’unica bussola. L’attivo coinvolgimento dei cittadini è un aspetto importante della «partecipazione democratica» di cui Napoli e il Sud soffrono l’assenza, nonostante sia un pilastro della convivenza civile. 3 aprile 2022 | 08:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,