Un sindaco ancora in attesa

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l’editoriale
Mezzogiorno, 20 marzo 2022 – 10:28

Il limbo di Manfredi: per la legge è il primo cittadino, ma non può esercitare la funzione

di Mario Rusciano

Più che di complimenti gratificanti, il sindaco Manfredi ha bisogno di sostegni concreti dell’azione politico-amministrativa, specie critiche costruttive e suggerimenti. D’altronde un apprezzamento anticipato l’ha ottenuto dai napoletani a ottobre scorso: votato al primo turno con vasto consenso, seppure a bassa percentuale di votanti. I cittadini, dandogli fiducia alla cieca, hanno premiato soprattutto il coraggio di caricarsi d’un compito assai gravoso. Ma candidandosi a sindaco d’un Comune praticamente fallito, e dopo il decennio d’un’amministrazione da dimenticare, Manfredi sapeva di sottoporsi a un’ardua prova. Tanto da porre una condizione: il famoso «patto per Napoli» (utile poi a varie altre città) approvato dal Parlamento nell’ultima legge finanziaria benché non ancora completo nel suo iter. Fu chiaro dicendo che, in mancanza, avrebbe rinunciato alla carica. Ora ha ribadito che, se non venisse versata tempestivamente la prima tranche, sarebbe impossibile approvare il bilancio comunale con gl’intuibili esiti negativi. È ovvio che un Comune, senza risorse umane e finanziare, non può funzionare, nemmeno con un sindaco fuoriclasse: competente volenteroso autorevole ma privo di bacchette magiche.

In pratica Manfredi ha posto il «patto col Governo» come «condizione sospensiva» della pienezza della carica. Non verificandosi la condizione, lui sta in un limbo: è sindaco a tutti gli effetti di legge, ma non può esercitare la funzione. Siccome, senza la firma del Governo, la condizione non s’è ancora verificata, la sua azione è limitata: può arare il campo da seminare (e non è poco!), non può realizzare cose visibili.

Intanto però il desiderio dei napoletani è proprio cogliere subito il cambiamento rispetto al passato: nei fatidici primi cento giorni. Desiderio giusto ma prematuro data la situazione di partenza: prima vanno sgombrate le macerie, poi s’inizia a ricostruire. Il che s’avverte anche nel settore della cultura, quella vera, cruciale per l’educazione e l’economia. Non a caso il raduno (martedì scorso al Mercadante) degli operatori culturali ha rivelato aspetti interessanti del carattere e dello stile di Manfredi. Che si è limitato a tracciare poche linee generali d’indirizzo culturale, sulle quali ha ricevuto più critiche che consensi: alcune fondate altre meno.
Lo stesso Corriere del Mezzogiorno ha segnalato limiti oggettivi nell’azione di governo. A cominciare dall’intollerabile sporcizia che tuttora invade la città (Gennaro Ascione, sabato 12) a finire ai tratti criticabili del programma culturale: genericità; eccesso accademico; mancanza di visione d’insieme; assenza dell’Assessore al ramo (Massimiliano Virgilio e Mirella Armiero, mercoledì 16 e giovedì 17); problemi operativi ed esigenze effettive (Paolo Ricci, venerdì 18). Tutte critiche plausibili su cui Manfredi farà bene a riflettere.
A questo punto però ritengo si debba distinguere tra «politica dei servizi» e «politica culturale». Sulla prima è fin troppo noto il disastro dei trasporti, dell’igiene, del verde e del decoro urbano; non ultimo il dissesto di strade e marciapiedi, per cui il Comune è debitore di enormi risarcimenti. Dunque all’arrivo dei primi trecento milioni del finanziamento governativo, gl’interventi più urgenti devono riguardare appunto i servizi. Vanno anzitutto rimesse in piedi le società partecipate che li gestiscono, il cui riordino è precondizione del cambiamento. Del quale però i cittadini s’accorgeranno quando arriveranno nuovi treni, nuovi autobus, nuovi attrezzi per i rifiuti, nuovi addetti ben selezionati.
Discorso diverso va fatto sulla cultura, dove il metodo di Manfredi appare corretto se intende trarre la visione d’insieme dall’analisi dei progetti che invieranno gli operatori culturali, a tanto sollecitati nell’incontro di martedì scorso. E mentre ritengo indiscutibile la necessità dell’assessore alla Cultura – che, chissà, forse il sindaco nominerà quando avrà chiara la visione d’insieme – capisco meno la critica del ruolo d’intellettuali e accademici. Ma non sono costoro, se non gli unici, i più accreditati esperti nei vari campi della cultura in senso ampio? Logicamente la platea andrà poi allargata, ma preoccupa che al raduno di martedì scorso ci fossero più questuanti che mecenati. Utile quindi condividere coi privati disponibili iniziative culturali: in questo campo il Comune, al contrario della Regione, non può distribuire soldi (che non ha), se mai può allestire e risanare spazi da destinare alla cultura, oltre a patrocinare iniziative di qualità, setacciate da personalità autorevoli e competenti.
Insomma, come non si può chiedere a un artista o a un artigiano di realizzare un’opera senza la cassetta degli attrezzi, così non si può chiedere al sindaco della terza città d’Italia di amministrare un Comune di circa un milione di abitanti (e capoluogo d’un’area metropolitana di circa tre milioni) senza fornirgli risorse pubbliche e private necessarie a guidare una macchina mastodontica. Si deve piuttosto pretendere che spenda il suo prestigio per attrarre l’attenzione su Napoli e sulla sua cultura di istituzioni pubbliche e private, nazionali e internazionali – dalla Rai a importanti Banche, Imprese, Fondazioni, Galleristi e Promotori di grandi mostre ecc. – per evitare l’autoreferenzialità, il vero male del Sud e di Napoli, la cui subalternità culturale è lampante quando i suoi eventi vengono ignorati dai grandi organi d’informazione. Che peccato.

20 marzo 2022 | 10:28
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