di Fabrizio Roncone
Le facce terree dei dem, l’istinto di Renzi («Si mette male»). E Salvini si stappa una Coca. Cronaca del grande tonfo
Rocco, calmati.
«E-le-zio-ni! E-le-zio-ni!».
Rocco, dai, non fare così.
«Ma sono troppo felice! Troppo!» (Rocco Casalino saltella, stringe i pugni, eccitazione efferata: già si immagina finalmente candidato qui al Senato, un bell’accredito sicuro sul conto corrente, l’auto blu. Giuseppe Conte, immobile, osserva il suo spin doctor: l’avvocato di Volturara Appula suda freddo, ha il viso tirato e bianco come la pochette. Sta pensando: questo festeggia, però io intanto ho fatto un casino, ho acceso la miccia della crisi e — adesso — non solo mi sono giocato la reputazione ma, forse, pure la guida del Movimento. Il testimone oculare di questa scena esce dalla stanza dicendo: «Vi lascio soli, che è meglio»).
Mario Draghi aveva chiesto che la fiducia fosse votata solo sulla risoluzione firmata da Pier Ferdinando Casini. Due righe. Definitive. «Il Senato, udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio, le approva». Ma Lega e Forza Italia dicono di no. Avrebbero voluto un Draghi Bis: nuovo programma, nuovi ministri, un’altra storia. I 5 Stelle si astengono.
Eccolo laggiù. Sta entrando alla buvette, chiude una telefonata, ripone il cellulare in tasca. Cronisti intorno. Domande.
Perché in aula lei oggi non ha mai preso la parola? Silenzio.
Si vergogna a metterci la faccia sulla fine di questo governo? Silenzio.
È il suo nuovo Papeete? Silenzio (però s’aggiusta la cravatta e poi stappa una lattina di Coca-Cola: al Papeete Beach era a torso nudo, sudato e barcollante, e vuotava un mojito dietro l’altro).
Accanto a Salvini c’è uno dei suoi più cari amici: Claudio Duringon (quello che giusto un anno fa propose di dedicare un parco pubblico di Latina ad Arnaldo Mussolini, fratello minore del Duce; sorvolando sul dettaglio che il parco era già intitolato a Falcone e Borsellino). Duringon cerca di buttarla in allegria. Mostra al capo la foto del figlio: «Mi somiglia, eh?». Nessuno ride. La Lega è scossa. Salvini, pochi minuti fa, ha cercato di dire qualcosa a Giancarlo Giorgetti, il numero due della Lega, che lo ha — letteralmente, brutalmente — ignorato. Giorgetti aveva abbracciato Draghi alla fine del suo discorso. Un gesto di affetto, una plastica dimostrazione di intesa. Da quel momento, numerose telefonate tra Giorgetti e i governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, che chiedevano rassicurazioni. «Matteo che intenzioni ha?». Ma Matteo era con Giorgia Meloni seduto davanti a Silvio Berlusconi, nella sua villa sull’Appia Antica. «Non strapperemo mica?», chiedeva Zaia. E invece qui s’è strappato tutto, tutto è venuto giù. Adesso arriva la notizia che Mariastella Gelmini lascia Forza Italia. Parole come pietre: «Il Cavaliere ha tradito gli italiani e ha passato lo scettro a Salvini».
Sugli appunti resta una scena.
In aula.
Una fiammata improvvisa.
Con lei, l’ormai ex ministra Gelmini, che mette su uno sguardo livido e punta l’indice verso la collega Licia Ronzulli. «Sei contenta, ora che hai mandato a casa il governo?». Ronzulli (dietro un paio di occhiali da sole): «Vai a piangere da un’altra parte… e prenditi uno Xanax!».
Poco prima, dichiarazioni sparse. Emma Bonino: «Presidente Draghi, lei ha il dovere di restare». Poi la grillina Barbara Lezzi (ex impiegata in un’azienda di pezzi di ricambio per orologiai, ministro per il Mezzogiorno nel governo gialloverde): «Lei, presidente Draghi…», ma vabbé, niente di interessante. Quindi il capogruppo leghista Massimiliano Romeo: «Qui deve nascere un nuovo governo, con una nuova maggioranza».
Draghi si alza e se ne va.
Matteo Renzi, di puro istinto: «Si mette male». Luigi Zanda (Pd) di pura autorevolezza: «Draghi, nel suo discorso, è stato netto. Ha chiesto di essere messo nelle condizioni di lavorare per il Paese. Ma se a questa richiesta, si replica dettandogli condizioni, proponendogli di allestire un nuovo esecutivo, beh, significa che si vuole andare diritti verso il baratro». Certi, con spensieratezza. Quella del grillino Danilo Toninelli è leggendaria. Da ministro per le Infrastrutture andò a Porta a Porta per poi sganasciarsi di risate davanti al plastico del ponte Morandi, le cui macerie, a Genova, erano ancora fumanti. «Eh eh… certo che cade il governo. Perché, non l’avete ancora capito?».
Sospensione dei lavori. Passa il sottosegretario Bruno Tabacci, l’aria curiale, le parole come fil di ferro. «Sa qual è la notizia? Che Salvini se ne stava nascosto dietro a Conte. E invece eccolo qui, chi è Salvini». Prima sensazione: quelli del Pd, Franceschini, Orlando, Amendola, tutti muro muro, mogi, rassegnati, hanno capito che il centrodestra è tipo maionese impazzita. Seconda sensazione: quelli di FI paiono un po’ a rimorchio dei leghisti.
Circoletti, chiacchiere, teoremi. «Nel suo intervento, Draghi ha picchiato duro anche sulla Lega pensando: se mi riconfermano, sarò più forte; se mi sfiduciano, esco a testa alta». E il Pnrr? E l’inflazione? E la crisi energetica? Ripassa Renzi: «Ragazzi, si va al voto». Salvini e Berlusconi hanno deciso: questo governo deve morire. Lega e FI escono dall’aula. I 5 Stelle non votano. Carlo Calenda su Twitter: «Sarà un caso, ma il governo più serio e atlantista della storia viene mandato a casa da tutti coloro che hanno sostenuto posizioni filoputiniane» (allega foto di Conte e Berlusconi con Putin, più Salvini con la famosa, tragica maglietta).
Ma quello laggiù non è Rocco?
Ma che fa? Ancora?
20 luglio 2022 (modifica il 20 luglio 2022 | 23:24)
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, 2022-07-20 21:35:00, Le facce terree dei dem, l’istinto di Renzi («Si mette male»). E Salvini si stappa una Coca. Cronaca del grande tonfo, Fabrizio Roncone