Usa, Cina e Russia: i troppi fronti e il rischio di fare il gioco di Xi e Putin

Usa, Cina e Russia: i troppi fronti e il rischio di fare il gioco di Xi e Putin

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di Danilo Taino

La visita di Nancy Pelosi a Taipei ha aperto un altro fronte che la Casa Bianca deve gestire: Joe Biden ne avrebbe fatto a meno. Ora la superpotenza americana rischia un sovraccarico di impegni

Affrontare una crisi che ha aspetti militari è un’impresa seria. Affrontarne due, a ottomila chilometri l’una dall’altra, diventa impervio. Ora, gli Stati Uniti sono finiti in questa situazione: grande sforzo per sostenere l’indipendenza dell’Ucraina, impegno obbligatorio per sostenere Taiwan. La visita di Nancy Pelosi a Taipei ha aperto un altro fronte che la Casa Bianca deve gestire: Joe Biden ne avrebbe fatto a meno ma, una volta che la speaker della Camera dei Rappresentanti americana è arrivata nell’isola, non può che difendere il suo diritto di visitare qualsiasi Paese sia disposto a riceverla.

Il problema, adesso, è che la superpotenza americana rischia un sovraccarico di impegni: dal punto di vista militare, delle risorse, della logistica, della politica, della diplomazia. Overstretched, temono a Washington, tirata all’eccesso. Ed è quello che Vladimir Putin e Xi Jinping desiderano: impegnare gli Stati Uniti su più crisi per rendere evidente che la loro egemonia globale è alla fine, che occorrono nuovi equilibri internazionali. Che la Pax Americana non ha più metri da correre. L’Ucraina, Taiwan, il Medio Oriente con l’Iran che si avvicina all’arma nucleare, l’America Latina ogni settimana più instabile: nuovi fuochi si accendono nei presidi storici degli Stati Uniti.

Nancy Pelosi ha tutto il diritto di visitare Taiwan e di incontrare la presidente Tsai Ing-wen. Non è Pechino che può compilare la sua agenda e imporre divieti. Ma ora siamo di fronte a un salto di qualità. Negli ultimi anni, soprattutto da quando Xi Jinping è salito al potere, nel 2012, la Cina ha minacciato e bullizzato numerosi Paesi che non rispettano le sue volontà politiche, ha usato la forza, soprattutto economica, per impedire prese di posizione a lei sgradite: sul rispetto dei diritti umani, sul ruolo del Dalai Lama, sulle pratiche commerciali, sulle responsabilità nell’inizio e nella gestione della pandemia da Covid-19. Il fatto nuovo è che adesso applica lo stesso metodo alla terza carica istituzionale della superpotenza americana.

Il viaggio di Pelosi a Taiwan non ha grandi contenuti politici concreti. Ha un valore soprattutto simbolico per affermare il sostegno del Congresso americano alla fiorente democrazia dell’isola (l’ottava al mondo e prima in Asia per qualità, secondo un indice elaborato dall’Economist Intelligence Unit). Xi avrebbe potuto istruire i membri del Partito Comunista, del governo e i media cinesi perché protestassero per la visita a quella che Pechino considera una sua provincia ribelle; per il resto avrebbe potuto in teoria evitare un’escalation di minacce e di mobilitazioni militari in terra, mare e cielo, declassare a poca cosa il viaggio della speaker. Ha invece alzato i toni e le azioni come mai prima. La visita si è trasformata così in una crisi tra Pechino e Washington. Nancy Pelosi non poteva non prevederlo: qui, entra quello che molti osservatori considerano un suo errore di giudizio.

Una cosa, infatti, è il diritto di visitare Taiwan. Un’altra è l’opportunità politica di farlo in questo momento. La situazione internazionale è tesissima, non ci sono ragioni apparenti per alimentare le tensioni. È vero che l’aggressività verbale di Pechino contro Taiwan è molto aumentata e i caccia cinesi sono entrati 555 volte nella Zona di identificazione di difesa aerea dell’isola nei primi sei mesi dell’anno. Ma il sostegno a Taiwan passa, più che per viaggi a effetto, per la garanzia di Washington di difenderla e nel rifornirla di armi. Inoltre, Pelosi doveva sapere che per Xi la visita sarebbe stata un affronto. Il leader cinese ha messo in alto nella lista delle priorità politiche l’obiettivo di riunire l’isola alla madrepatria. In autunno affronterà il congresso del Partito Comunista che gli rinnoverà il mandato a guidare il Paese per il terzo quinquennio consecutivo, cosa mai successa dagli Anni Ottanta. Ci arriva però con un’economia indebolita, con proteste popolari causati da scandali nel settore immobiliare, con la politica di Zero-Covid e conseguenti lockdown sempre meno sopportati dai cinesi. Le insoddisfazioni nel partito per la difficile situazione economica e sociale si sarebbero esaltate se Xi non avesse reagito alla sfida.

Ora, in qualsiasi modo evolva, la disputa che si è aperta nello Stretto di Taiwan mette in tensione ulteriore le relazioni tra Washington e Pechino. Nel breve, comporta pericoli di scontro e nel lungo termine accelera la creazione di blocchi contrapposti tra Est e Ovest. Si cementa il muro tra Usa e Cina. Ed è un nuovo test sulla capacità degli Stati Uniti di gestire crisi che si creano a ripetizione in diverse parti del mondo. Non era probabilmente il primo obiettivo della speaker Pelosi.

2 agosto 2022 (modifica il 2 agosto 2022 | 21:16)

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, 2022-08-02 19:27:00, La visita di Nancy Pelosi a Taipei ha aperto un altro fronte che la Casa Bianca deve gestire: Joe Biden ne avrebbe fatto a meno. Ora la superpotenza americana rischia un sovraccarico di impegni, Danilo Taino

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