Valentina Cuppi: «Nel Pd la parità per troppi è una cosa da donne»

Valentina Cuppi: «Nel Pd la parità per troppi è una cosa da donne»

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di Maria Teresa MeliLa presidente dei democratici, sindaca di Marzabotto non eletta alle ultime elezioni: «C’è un maschilismo radicato. Nelle candidature ha contato meno il ruolo rispetto alle necessità espresse dalle correnti:è un problema» Valentina Cuppi, lei è la presidente del Pd, eppure è stata messa in una posizione ineleggibile… «Sono certa che si pensasse che fosse una posizione eleggibile. Poi è chiaro che non era una posizione blindata come altre e anche sui collegi sicuri in diversi casi non è andata come previsto. Io ho fatto campagna elettorale senza pensare al mio posto più o meno sicuro, come la avrei fatta anche se non fossi stata in lista. Il problema qui è che effettivamente ha contato meno il ruolo rispetto alle necessità espresse dalle correnti, se in un partito vale di più la logica delle correnti rispetto ai ruoli rivestiti da persone che rappresentano il partito, è un problema non da poco. Per questo credo che il congresso potrà e dovrà costituire una svolta». Voi avete anche una Conferenza delle donne, non è forse anche un po’ colpa vostra? «La Conferenza è un luogo di elaborazione politica e uno spazio autonomo delle donne che è preziosissimo. Dà forza alle donne. Deve contare di più. Oltre alla Conferenza abbiamo lavorato in questi ultimi due anni e mezzo come Partito, con il “Women new deal”, con la campagna “Ogni giorno è 25 novembre”, non ci siamo mai fermate, gli uomini che però hanno creduto con noi in questi percorsi ci sono, a partire dal segretario, ma sono una minoranza. Troppi le considerano ancora cose da donne, di cui si devono occupare le donne. Il partito è in questo senso lo specchio della società, invece dovrebbe essere vero motore di cambiamento ed essere più avanti nella pratica interna e non solo a parole, altrimenti non si è credibili. È urgente che la nostra battaglia diventi davvero di tutto il partito, di fronte a forze politiche che governeranno e hanno una idea della donna relegata al focolare domestico, come vuole Salvini». Cecilia D’Elia, la vostra responsabile, non si è dimessa per segnalare il problema. «Questo problema non ha necessità di essere segnalato, è sotto gli occhi di tutti ed infatti se ne sta parlando da giorni. Non credo che una dimissione possa risolvere il problema, che non deve essere segnalato ma risolto. Sicuramente dobbiamo essere tutte capaci di rifiutare logiche correntizie e pensare meno al destino personale e più alle nostre battaglie collettive, che facciamo più fuori che dentro al partito». Il Pd si dice «femminista» poi però ha eletto solo il 30 per cento di donne: è tutta retorica? «La rivoluzione culturale che si deve fare in questo paese dove ancora impera una cultura patriarcale riguarda anche il partito, è iniziata al nostro interno e ha prodotto i suoi frutti, ma non è ancora finita e quel che è successo con le candidature lo dimostra. C’è il femminismo nel partito, senza dubbio, ma non è di tutti, la cultura maschilista è ancora radicata al suo interno ed evidentemente ha prevalso anche in questa occasione». In direzione ha detto che il Pd è un partito maschilista, c’è qualche episodio in proposito? «Io sono stata scelta come presidente anche per la portata simbolica di quel che sono, donna, amministratrice, sindaca di Marzabotto. Non c’è un episodio in particolare, semplicemente credo che la scelta di darmi quel ruolo per molti uomini che hanno peso nelle conduzione del partito, non avesse contemplato che poi avrebbero avuto a che fare non con una “figurina”, ma con una persona che di correnti non sapeva nulla e non ne voleva sapere e che mette principi e valori davanti agli interessi». 8 ottobre 2022 (modifica il 8 ottobre 2022 | 07:28) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-08 05:28:00, La presidente dei democratici, sindaca di Marzabotto non eletta alle ultime elezioni: «C’è un maschilismo radicato. Nelle candidature ha contato meno il ruolo rispetto alle necessità espresse dalle correnti:è un problema», Maria Teresa Meli

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