di Aldo Grasso
Prima del’arrivo del var il gol significava immediatezza, gioia o dolore non importa.
L’assenza dell’Italia ai Mondial del Qatar ci aiuta a capire meglio certe trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo del calcio o meglio nella ormai dominante rappresentazione televisiva del calcio. Lasciamo per una volta in sospeso il discorso sulle telecronache (ne ho scritto più volte), lasciamo anche da parte il dibattito sull’allungamento dei tempi di recupero, il «terzo tempo» delle partite di calcio (anche di questo ho scritto). Vorrei invece affrontare un tema nuovo di carattere pratico ma anche e soprattutto psicologico: il gol. Prima dell’introduzione del Var, la validità del gol era solo di competenza dell’arbitro. Gol significava immediatezza, gioia o dolore non importa. Significava manifestazioni d’entusiasmo da parte dei calciatori culminante spesso nel lancio della maglia (con relativa ammonizione), festeggiamenti o disperazioni sugli spalti o nei salotti di casa.
Adesso c’è il Var e molto spesso il gol è solo un «gol interruptus». Sigmund Freud considerava pericolosa questa forma interrotta di rapporto (non si riferiva al calcio) in quanto poteva innescare nell’uomo una «nevrosi d’angoscia». Dopo ogni gol, i calciatori che lo hanno subito alzano le mani al cielo, mimano lo schermo del televisore, chiedono l’intervento del Var. E, non di rado, il gol viene annullato. Ecco, adesso bisogna imparare a gioire o a deprimersi dopo l’intervento del Var: spesso sono minuti di angoscia che il calcio di ieri non conosceva, sono minuti che provocano uno stato d’animo mai provato prima, sono minuti interminabili. Anche la storia del calcio non si fa con i se e con i ma. Tuttavia, penso alla letteratura nata dal gol di mano di Maradona (la mano de Dios) o ad altre occasioni simili. Che letteratura potrà mai nascere dal «gol interruptus», da quell’attesa che calciatori e spettatori non hanno ancora imparato a gestire?
30 novembre 2022 (modifica il 30 novembre 2022 | 15:56)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-11-30 18:01:00,
di Aldo Grasso
Prima del’arrivo del var il gol significava immediatezza, gioia o dolore non importa.
L’assenza dell’Italia ai Mondial del Qatar ci aiuta a capire meglio certe trasformazioni che stanno avvenendo nel mondo del calcio o meglio nella ormai dominante rappresentazione televisiva del calcio. Lasciamo per una volta in sospeso il discorso sulle telecronache (ne ho scritto più volte), lasciamo anche da parte il dibattito sull’allungamento dei tempi di recupero, il «terzo tempo» delle partite di calcio (anche di questo ho scritto). Vorrei invece affrontare un tema nuovo di carattere pratico ma anche e soprattutto psicologico: il gol. Prima dell’introduzione del Var, la validità del gol era solo di competenza dell’arbitro. Gol significava immediatezza, gioia o dolore non importa. Significava manifestazioni d’entusiasmo da parte dei calciatori culminante spesso nel lancio della maglia (con relativa ammonizione), festeggiamenti o disperazioni sugli spalti o nei salotti di casa.
Adesso c’è il Var e molto spesso il gol è solo un «gol interruptus». Sigmund Freud considerava pericolosa questa forma interrotta di rapporto (non si riferiva al calcio) in quanto poteva innescare nell’uomo una «nevrosi d’angoscia». Dopo ogni gol, i calciatori che lo hanno subito alzano le mani al cielo, mimano lo schermo del televisore, chiedono l’intervento del Var. E, non di rado, il gol viene annullato. Ecco, adesso bisogna imparare a gioire o a deprimersi dopo l’intervento del Var: spesso sono minuti di angoscia che il calcio di ieri non conosceva, sono minuti che provocano uno stato d’animo mai provato prima, sono minuti interminabili. Anche la storia del calcio non si fa con i se e con i ma. Tuttavia, penso alla letteratura nata dal gol di mano di Maradona (la mano de Dios) o ad altre occasioni simili. Che letteratura potrà mai nascere dal «gol interruptus», da quell’attesa che calciatori e spettatori non hanno ancora imparato a gestire?
30 novembre 2022 (modifica il 30 novembre 2022 | 15:56)
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