di Etgar Keret
L’incapacit di definire con termini simili le violenze: in un epoca di conflitti, sarebbe sufficiente per accendere qualche speranza
Non riesco pi a chiudere occhio, dalla notizia dell’aggressione avvenuta nella cittadina di Hawara, in Cisgiordania, domenica scorsa. E non solo per il dolore, perch di dolore e sofferenza ne abbiamo a palate, dalle nostre parti. Le immagini laceranti delle vittime di violenza e terrorismo scorrono sui nostri schermi televisivi ogni sera. Stavolta, per, c’ qualcosa d’inconsueto. Di pi minaccioso. Come se la terra stessa si fosse messa a sussultare sotto i miei piedi.
Quand’ero bambino, mio padre, ormai scomparso, che era cresciuto in uno shtetl, un piccolo villaggio ebraico dell’Europa orientale, mi aveva spiegato perch i pogrom erano cos traumatici e devastanti. Se la tua cittadina saccheggiata dai soldati, o se i tuoi compaesani vengono trucidati da un assassino o da un terrorista, diceva, puoi ancora recarti nella citt vicina per fare la spesa, e quando il bottegaio ti sorride e ti saluta, tu ricambi il sorriso. Ma quando sai che gli aggressori che hanno attaccato i tuoi vicini e dato alle fiamme la tua casa vengono proprio da quell’altra citt, e che il bottegaio era forse uno di loro, non ce la fai pi a ricambiare il sorriso. A detta di mio padre, l’odio che alimenta ogni pogrom non svanisce con l’estinguersi dell’ultimo tizzone tra le rovine fumanti. Anzi, si rafforza.
Ho condiviso queste riflessioni con il mio tassista l’altro giorno, ma mi sono sentito rimbeccare aspramente per aver definito pogrom i fatti di sangue di Hawara. Ci ha tenuto a ribadire, il conducente, che la parola pogrom vale esclusivamente per le violenze contro gli ebrei. Quando parliamo di aggressioni contro altre nazionalit, ci occorre un termine diverso. Gli ho suggerito crimine d’odio, ma nemmeno questo gli andava bene, perch i facinorosi che hanno preso di mira Hawara erano spinti dalla rabbia e dal dolore per l’orrendo assassinio di due giovani fratelli, quello stesso giorno. E il terrorista stesso, ha precisato il tassista, era di Hawara. Il termine reato motivato dal dolore non ci sembrato convincente, a nessuno dei due, perch suona debole e impreciso, n siamo riusciti ad accordarci su crimine giustificato, perch se giustificato, difficile che sia veramente un crimine. La mia proposta di crimine contro innocenti non risultata gradita al mio tassista, e la corsa finita ancor prima di raggiungere un consenso. Confesso che ne sono rimasto amareggiato. Dopo tutto, sono un uomo che vive di parole.
In questi giorni angosciosi, in Israele e altrove nel mondo, in un’epoca di conflitti e odio tra fazioni opposte, se fossimo almeno capaci di usare le stesse parole per definire certe cose, ecco, basterebbe questo per accendere un barlume di speranza. Quattrocento ebrei, provenienti dagli insediamenti vicini, hanno dato man forte all’esercito israeliano e preso d’assalto una citt palestinese, dove hanno pestato e massacrato la gente del posto e dato fuoco alle case dove le famiglie si erano rifugiate. Non siamo stati capaci di impedirlo, e oggi ci sono membri di questo governo estremista che non sono disposti neppure a condannare l’eccidio. Ma riusciremo almeno a trovare un nome per definire questa tragedia?
1 marzo 2023 (modifica il 1 marzo 2023 | 22:08)
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