La verità sul cuneo fiscale:  qual è l’unico sistema  per aumentare la busta paga

La verità sul cuneo fiscale: qual è l’unico sistema per aumentare la busta paga

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La verità sul cuneo fiscale e l'unico sistema efficace per aumentare il netto in busta paga

Potremmo definirlo un miraggio quello che si gioca attorno all’ormai mitico cuneo fiscale e contributivo per il semplice motivo che il cuneo esiste, ma non c’è. Le vittime del miraggio sono tutti i lavoratori, le future generazioni e gli italiani onesti che pagano tasse e contributi. Quelli che fanno balenare cose senza sostanza sono tutte le parti sociali cui si sono accodati, pur di raccattare qualche consenso, i politici in modo bipartisan.

Perché il cuneo esiste ma non c’è? Perché la differenza tra il costo per l’azienda e quello che il lavoratore si trova netto in busta paga è elevato, ma la quasi totalità della differenza va in modo indiretto o differito al lavoratore: sono soldi o benefici che incassa a seguito di quanto previsto dai contratti nazionali. E perché è un’inganno? Perché tutti i promotori sanno benissimo o dovrebbero sapere che il 75% dei lavoratori dipendenti che dichiarano fino a 26 mila euro lordi l’anno, e ai quali vorrebbero ridurre il cuneo, non sono oppressi dalle tasse.

I numeri

Prendiamo il 2019 perché il 2020 per il gettito fiscale e i redditi è ancora peggio. I lavoratori con guadagni fino a 15 mila euro lordi hanno un’Irpef negativa (vanno a credito); fino a 26 mila euro versano meno di quello che costano pro capite come sola sanità grazie al Tir (Trattamento integrativo del reddito) introdotto in ampliamento dell’ex bonus Renzi, e all’assegno unico e universale per i figli, mentre pagano qualcosa di Irpef dopo i 26 mila euro lasciando la gran parte del carico fiscale a chi dichiara da 35 mila euro lordi in su. Contribuenti che neppure con l’efficiente governo Draghi hanno beneficiato di nulla. Quindi, per ridurre il cuneo, in campagna elettorale Enrico Letta si è buttato sull’unico istituto usabile, la decontribuzione, promettendo addirittura una 14ª mensilità. In pratica per dare qualche spicciolo in più in busta paga si proponeva di mettere a carico dello Stato, quindi di tutti noi, una parte del 9,19% di contributi a carico dei lavoratori senza però ridurre la loro futura pensione, incurante del fatto che per garantire la sola sanità ai redditi fino a 26 mila euro, gli altri contribuenti devono mettere sul piatto 52 miliardi l’anno cioè la differenza tra il costo pro capite della sanità (1.930 euro nel 2019) e quello che questi pagano di Irpef. Tutto il resto e tutti i servizi, scuola compresa sono letteralmente gratis a debito o a carico di quel 13,07%, i nuovi schiavi che dichiarano più di 35 mila euro.

Ma analizziamo la proposta Pd: il contributo previdenziale a carico dei lavoratori dipendenti è pari al 9,19% della retribuzione annua lorda; per un reddito di 15 mila euro lordi l’anno il contributo è pari a 1.378,5 euro mentre la retribuzione per 13 mensilità è pari a 1.153,8 euro mese. Quindi per garantire una mensilità in più occorrerebbe uno sconto di 7,5 punti di contribuzione (quasi tutta) con un costo di 6,24 miliardi strutturali l’anno che diventano quasi 9 se si estende lo sconto ai redditi tra 15 e 20 mila euro e quasi 19 miliardi strutturali se vuole estenderlo a chi guadagna tra i 20 e i 29 mila euro, raddoppiando il disavanzo Inps.

Cos’è il cuneo fiscale e come si calcola

Ma cos’è il cuneo fiscale e contributivo:? E’ la differenza tra lo stipendio netto in busta paga e il costo sostenuto dall’azienda che comprende imposte e contributi pagati da lavoratori e imprese e anche gli istituti contrattuali che gravano sul costo del lavoro.

A esempio, un lavoratore con un reddito fino a 26 mila euro, fatto 100 quello che prende in busta, paga il 9,19% in contributi pensionistici e sul restante 90,8%, in media versa circa 425 euro annui di Irpef cioè 32 euro al mese, grazie a deduzioni e detrazioni; restano 88 euro. Il 100 in busta paga del lavoratore, al datore di lavoro costa circa 135 per via dei contributi previdenziali versati all’Inps (23,8), per le prestazioni temporanee all’Inps (malattia, maternità, disoccupazione ecc.) e all’Inail per l’assicurazione contro gli infortuni. La differenza tra netto e costo azienda è pari a 1,53 volte.

Vista l’inesistenza del cuneo fiscale, quello contributivo è riducibile? No, perché meno contributi pagati significa che la futura pensione si ridurrà oppure che le grandi conquiste sociali che garantiscono un salario se uno si ammala, diviene inabile, infortunato, invalido, disoccupato o se si è in maternità o paternità, si riducono.

E il resto della differenza tra il netto in busta paga e il costo azienda che arriva a 2,2 volte si può ridurre? Prendiamo il contratto commercio e servizi; su ogni ora lavorata sono caricati i costi dei trattamenti di cui beneficiano i lavoratori: la tredicesima e quattordicesima mensilità, il premio di risultato dei contratti territoriali o aziendali (circa mezza mensilità), il Tfr ( una mensilità), le ferie e festività (più di un mese), i costi per l’adesione al fondo di assistenza sanitaria integrativa e quello per il fondo pensione. In totale il nostro 1,53 volte passa a oltre 2,2 volte.

È persino evidente che su questo fronte è impossibile ridurre il costo del lavoro, perché tutto va a beneficio del lavoratore, in modo diretto (i soldi della 13ª e 14ª mensilità, il Tfr, il premio di risultato) o indiretto (fondo pensione, assistenza sanitaria, contributi all’Inps, assicurazioni sociali e così via). Riduciamo le ferie, eliminiamo la Quattordicesima? Ovvio che no. E allora ecco l’inganno: riduciamo di 2 o 3 punti i contributi al lavoratore a parità di pensione e mettiamo il costo a carico dei contribuenti che già oggi pagano circa 24 miliardi l’anno per tutte le decontribuzioni gentilmente concesse da politica e parti sociali, alla faccia del debito pubblico che lievita e del futuro del Paese.

La grande novità che potrebbe finalmente risolvere la questione senza grandi costi per lo Stato, e senza ingenti oneri sulle future pensioni, è stata introdotta da Draghi con i 600 euro esenti da tasse e contributi e i 60 euro del bonus trasporti. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha incrementato tali importi fino a 3 mila euro per il 2022 oltre al buono benzina di 200 euro. Tutto ciò significa che i redditi fino a 26 mila euro avranno di colpo un incremento del 15% netto che consentirà di recuperare ampiamente l’inflazione e la perdita di potere reale del 2,9% che l’Italia, unico Paese Ue ha avuto negli ultimi 30 anni sui redditi dei lavoratori. Ora manca solo un raccordo con il welfare aziendale, una semplificazione delle procedure e l’aumento dei buoni pasto elettronici e il grande miraggio, dopo la proroga per il 2023 della decontribuzione, speriamo finisca.

*Presidente Itinerari previdenziali

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, 2022-11-30 13:29:00, Da 0 a 15 mila euro l’Irpef è negativa, fino a 26 mila si pareggia grazie ai bonus. Dopo si paga qualcosa. Ma il carico maggiore…, Alberto Brambilla*

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