I russi sono in ritirata ovunque, ma spingono sulla città del Donbass: «È una pubblicità per la Wagner» dicono gli ucraini, che non mollano
DAL NOSTRO INVIATO
BAKHMUT – I colpi sono continui, squassano l’aria, il terreno trema. I soldati più veterani fanno finta di niente, anche quando s’infrangono i vetri e i cani iniziano a latrare; ma altri, se osservi meglio, hanno le mani che tremano e trovano ogni pretesto per scendere nelle cantine organizzate a ricoveri. Esplosioni ora secche e nervose, come sono quelle dei razzi Grad, che arrivano a pioggia e sono il terrore delle fanterie: talvolta vengono preceduti dal ronzio inquietante dei droni spia, che servono agli artiglieri per prendere la mira, quindi, le loro schegge fanno scempio dei corpi e delle cose, bucano le lamiere, diventano sciami letali di metallo incandescente che cauterizza le ferite mentre ancora le sta causando. Ma ci sono anche le deflagrazioni grevi dei missili, armi solitarie, non ne cadono più di tre o quattro al giorno: ultimamente i russi sono tornati a spararli dagli aerei, si vedono sui radar e quando poi impattano generano crateri profondi anche dieci metri.
A Bakhmut ci siamo venuti sei volte negli ultimi sette mesi e ogni viaggio è stato peggio. Ad aprile la linea del fronte restava lontana, i russi combattevano a Mariupol, Kharkiv, nel Donbass orientale. Durante l’estate si era avvicinata di parecchio. I tank riuscivano già a colpire la zona industriale e i civili erano iniziati ad evacuare utilizzando la statale per Sloviansk. Un mese fa, la situazione si era fatta molto più drammatica: i circa 80.000 abitanti erano ridotti a 15.000, gli accessi risultavano molto più difficoltosi, le linee avanzate ucraine stavano trincerando le periferie orientali. Ieri siamo entrati in una città assediata, con i nemici a due chilometri, incomparabilmente più devastata e quasi strangolata dall’assedio delle loro unità migliori inquadrate tra i contractor privati della Wagner. Restano ormai meno di 10.000 civili.
«Non c’è dubbio che i miliziani della Wagner siano i migliori veterani di Putin, ma anche i più crudeli. I comandi di Mosca cercano di risparmiarli, così hanno mandato di rinforzo le giovani reclute inesperte tra le 300.000 della leva più recente e tanti carcerati a cui viene promessa la libertà, se accettano di combattere. Non sanno che firmano la loro condanna a morte. Gli anziani li mandano in avanscoperta, crepano come mosche», racconta Vladimir, un caporale del 30esimo battaglione meccanizzato incontrato nella sua postazione all’entrata meridionale della città. Lui e i suoi quattro compagni stanno riscaldandosi vicini a una stufa a legna. Miracolosamente arriva la luce elettrica e c’è linea telefonica.
Ovunque, dalla zona di Kharkiv al Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson, i russi sono in ritirata, oppure stanno trincerandosi con il progetto di superare i rigori dell’inverno e rilanciare con l’offensiva di primavera. Soltanto a Bakhmut il loro attacco si è fatto più accanito di prima. Qui ogni giorno nei due campi muoiono o restano feriti centinaia di uomini. Occorre tornare alle scene finali dell’assedio di Mariupol, a metà maggio, per ritrovare scambi a fuoco tanto intensi. Come mai investire tante risorse ed energie per questa cittadina, che ha una rilevanza strategica relativa? «Ovvio che questa battaglia è diventata la campagna pubblicitaria della Wagner e del suo proprietario, Yevgeny Prigozhin. Qui lui tiene alta la bandiera della sua società, l’esercito russo perde, ma lui mira a vincere, e magari già pensa alla campagna politica a Mosca, se un giorno Putin dovesse risultare troppo indebolito», dice Andrei, l’ufficiale 38enne che comanda il 30esimo battaglione. Maxim, un soldato che sta cambiando gli scarponi prima di fare il suo turno di guardia con i piedi affondati nel fango gelato della trincea, così racconta la scorza dei nemici della Wagner: «Due giorni fa abbiamo legato seminudo uno dei loro all’albero qui davanti perché si era ribellato alla prigionia. C’è rimasto 24 ore. Chiunque di noi avrebbe perso conoscenza, si sarebbe assiderato ai -10° della notte. Lui no, l’abbiamo slegato all’alba e ha chiesto una sigaretta prima di andare a dormire in cella».
Dal cuore della città spettrale vediamo che le artiglierie russe colpiscono intensamente la strada verso Kramatorsk e le basi ucraine. Un Sukhoi-25 disegna una linea bianca nel cielo freddo, subito inseguita dai traccianti dei terra-aria ucraini. Non c’è palazzo che non mostri i segni delle granate. In una cantina i volontari paramilitari della «Dobro», un’associazione che aiuta i civili, stanno allestendo uno dei 12 ricoveri caldi per la popolazione. Yura, 25 anni di Kiev, ha appena piazzato una stufa a legna. «Noi consigliamo alla gente di partire. Qui si combatterà a lungo», dice. Ma su un punto lui e i suoi compagni non arretrano: «Noi ucraini vinceremo, a tutti i costi, Putin non avrà nulla della nostra terra, dovessimo anche combattere a mani nude». Natalia, una soldatessa di 47 anni originaria di Bakhmut, ha saputo ieri che la sua casa è ridotta in macerie, non è neppure andata a vederla. Dice: «Presto la ricostruirò più bella».
2 dicembre 2022 (modifica il 2 dicembre 2022 | 23:11)
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, 2022-12-02 23:39:00, I russi sono in ritirata ovunque, ma spingono sulla città del Donbass: «È una pubblicità per la Wagner» dicono gli ucraini, che non mollano, Lorenzo Cremonesi